Dom Christopher Zieliński ricorda una conversazione intrattenuta, allora all’Abbazia di San Miniato al Monte, con il frate pistoiese Giovanni Vannucci (1913-1984), presbitero e teologo dell'Ordine dei Servi di Maria, animatore della comunità all'Eremo di San Pietro a Le Stinche, nonché autore di “Alchimia e liturgia” (Lorenzo de’ Medici press, Firenze 2019), a proposito del pensiero junghiano: “Mi sono incantato sentendolo parlare dell’archetipo del Sé e Cristo e come la vita religiosa dell’uomo moderno è, adesso, ‘inconscio’. Solo l’inconscio è rimasto ancora ‘religioso’. Padre Giovanni sosteneva che gli atei, o non-credenti, hanno sogni profondamente religiosi. Io argomentai che Jung ha scritto troppo e ciò non mi permetteva di seguirlo in tutto e per tutto, e lui, candidamente, ha aggiunto: ‘Non c’è bisogno, si trova tutto Jung nel XII volume: Psicologia e Alchmia. Tutto!’. Abbiamo concluso la dissertazione su Jung condividendo la tesi che ’l’uomo diurno’ è secolarizzato, mentre ‘l’uomo notturno’ è ancora in stretto rapporto con la zona interiore.” (prefazione ad Alberto Camici: “Uomo di luce”, 2001).
Ne “Il libro della preghiera universale” (Lef 1978), Vannucci accoglie i vari contributi spirituali provenienti da tutte le regioni, e religioni, del mondo, distribuendoli lungo i giorni della settimana; così i buddisti di giovedì, ortodossi al venerdì, ebrei ovviamente al sabato, cattolici alla domenica, riservando il lunedì agli indù, e ai musulmani, forse in maniera non consuetudinaria, il martedì, perché il giorno di Mercurio (Hermes psicopompo, “principio attivo d’ogni trasformazione, sintesi dell’ispirazione, della ragione e della sapienza”) lo attribuiva ai “cercatori dell’occulto”, esoteristi e magi zoroastriani compresi.
“…E se la tradizione ha fatto pervenire sino a noi qualche briciola della conoscenza dei saggi antichi e della primitiva rivelazione, rendici degni di ricevere la nostra parte di questa eredità…”. La liturgia cristiana deriva dall’antica pratica ermetica, mediata dalla simbologia alchemica che è riuscita a conservare il valore tradizionale della filosofia classica e il significato più profondo di quanto viene impropriamente definito paganesimo.
Il venerdì era perciò “intasato” dalle altre confessioni cristiane, anche le protestanti e riformate, da richiami ai padri della chiesa pre-scismatici, dai mistici, dagli apocrifi, fino ai contemporanei che si esprimono negli Spirituals afroamericani. Per cui, ripescando scritti del Gatha, Zend-Avesta, Tabula smaragdina, Zohar, Pistis Sophia, Vangelo della Verità, riflessioni di Pitagora, Proclo, Grillot de Givry, Charles Pinchon, Jeanne Le Veilleur, Schwaller de Lubicz, e persino testi gaelici, albigesi, mandei, manichei, l’aggettivo “cattolico” (καϑολικός «universale») acquisiva così il suo originale e veritiero senso etimologico.
Con quella modalità olistica, che condensa il pensiero scientifico in una concezione sapienziale atta al risveglio della coscienza e d’una particolare attenzione alla dimensione sottile delle cose, la Liturgia viene considerata una specie di Alchimia in grado di facilitare quella trasmutazione da compiere al tempo opportuno, in consonanza con il significato intrinseco alle manifestazioni stagionali e alle vicende terrene e spirituali del Figlio dell’Uomo. Ad attingere al simbolismo esoterico è l’intera opera “cristica”, se vogliamo, per cui una ripetizione dell’insieme delle operazioni trascendenti non può che rientrare in una forma di Alchimia rivelatrice delle sezioni di quell’opera che si svolge in fasi successive sia con le parole, e parabole, di Gesù sia negli insegnamenti evangelici.
Giovanni concretizza proprio quest’aspetto quando scrive testualmente: «il Logos (λόγος, il Verbo, dal greco λέγω, che significa scegliere, raccontare, enumerare, argomentare, dire…) s’è fatto carne (σὰρξ ἐγένετο) e abita fra di noi» (1, 14). A cui fa eco il cosiddetto “Apòcrifo (ἀπόκρυϕος, occulto, segreto, da ἀποκρύπτω, nascondere) di Tommaso”, a completamento del reversibile processo, quando dichiara: «Prodigio grande è lo Spirito che diviene carne, ben più grande prodigio è la carne che diviene Spirito». Didimo Giuda Tommaso, o chi per lui, alludeva al miracolo della manifestazione teofanica di un eone spirituale sotto aspetto di uomo terrestre. Questo almeno il succo, testualmente: “Gesù disse: - Se la carne è venuta nell'esistenza per opera dello spirito, è un miracolo; ma se lo spirito per opera della carne, questo è un miracolo di un miracolo. E io mi meraviglio di come una così grande ricchezza abbia preso dimora in tale povertà.” (34ma di “Queste sono le parole segrete che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha trascritto”). Incredibile, addirittura superiore al miracoloso, che la materia generi lo spirito; il testo giovanneo non ne accentua il significato gnostico, limitandosi all’affermazione: “Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito” (III, 6). L’appendice di soggettivo stupore, secondo i biblisti Jean Doresse (1917-2007), studioso dei manoscritti copti, e Marcello Craveri (1914-2002), a cui si deve un insolito inquadramento de “La vita di Gesù” (1966), potrebbe essere a commento di quanto ammesso dal compilatore del testo di Tommaso circa la “grande ricchezza” dello spirito contrapposta alla “tanta povertà” della materia, oppure una mera aggiunta da parte d’un successivo copista.
In idoneo abbinamento ai colori della goethiana Farbentheorie, il Calendario liturgico si sviluppa a cominciare da quel periodo di attesa messianica che è l’Avvento (violetto), segue Natale (bianco e oro), Epifania (verde), Quaresima (viola), Pentecoste (rosso).
L’oro può sostituire tutti gli altri colori, mentre il colore rosa non sarebbe consentito, pur se tollerato, vedi per esempio “il Risorto” di Piero della Francesca, a Sansepolcro, che divide verticalmente il paesaggio spoglio tipicamente invernale dalla primaverile rinascita, laddove invece le vesti dei soldati, nel documentare l’inferiore condizione dei dormienti, s’alternano con un ritmo cromatico che sembra rafforzare quella precisione prospettica incorniciata da colonne, basamento e architrave; e il verde contrassegna chi potrebbe trovarsi in una fase intermedia di dormiveglia, incredulità e stupore. Speranza in un rinnovamento ciclico della natura, il verde è giovanile principio d’eterno ritorno, e, pei musulmani, anche paradiso senza tempo, in quanto emblema di salvezza e redenzione.
Il nero non può che caratterizzare il Venerdì Santo e il giorno dei morti, la mistica e indispensabile Nigredo della “via umida”. Quando dalla vegetazione viene estratta la vita, per mezzo del fuoco, rimane carbonizzata. Eppure, come il bianco, si tratta d’un colore ambiguo, ai limiti tra i colori freddi, se opaco, e quelli caldi, se traslucido e luminoso, dunque emblema di terra fertile e d’una morte, in tal caso, “feconda”. Ma se il trapasso viene evidenziato dai paramenti neri, il cadavere viene deposto su di un lenzuolo bianco. A occidente, quest’ultimo colore assorbe e introduce al freddo della dimensione lunare, a oriente la luce brilla e l’alba risplende nella positiva solarità del giorno che dal candore abbagliante s’avvicina all’oro.
Il viola quaresimale e delle vigilie si compone di parti uguali di rosso e di blu; scambio perenne, allora, tra vitalità tellurica e celeste, continuo moto di ascesa e discesa, da equilibrarsi con la temperanza (l’Arcano XIV dei Tarocchi), tra istinti e aspirazioni. Alla soglia dell’invisibile, favorisce la devozione concentrata e cosciente.
Del rosso esiste una modalità “doppia” ed esoterica, propria della scienza ermetica, notturna, occulta, segreta, proibita ai non iniziati, e concepibile dagli adepti soltanto dopo il risveglio interiore, perché appartenente all’anima, al cuore, alla passione e alla libido, nonché fuoco centrale dell’intero universo. Il sangue è quel rosso nascosto che diventa visibile se fuoriesce e l’organismo muore, oppure quando viene estromesso dal sesso femminile. Il tabù del ciclo mestruale si fonda proprio su questo presupposto. E tale rosso interno appare centripeto, mentre quel fuoco interiore che va esteriorizzandosi imprime forza centrifuga, solare, e corrisponde all’ardore della forza vitale, nel fornire il senso della bellezza e del fulgore. Come Dioniso, lo Spirito Santo erompe nella sfera della libertà e della potenzialità; mistero cosmico ormai compiutosi in Cristo, offre l’opportunità di realizzarsi in ognuno di noi.
Al tempo pasquale, la meditazione si sofferma sul simbolismo, non soltanto della Croce, ma anche in particolare della “lavanda dei piedi”, per via del significato che questi assumono un po’ in tutte le mitologie: basti menzionare i Lares, Ra, Vulcano, Edipo, Achille, Filottete, Krishna, Baldur...
Uno dei gemelli di Isacco e Rebecca, avendo provato a trattenere nell’utero attempato il prediletto dal padre, stringendogli il tallone, prende il nome (ãqeb) da questa estremità calcaneare (Genesi 25, 26), mentre l’iniziale yod sigla la divinità nella sua opera creatrice. In seguito alla misteriosa teomachia, che lo lascia claudicante, assume un altisonante nome teoforico, come altri biblici di rilievo (Elia, Ezechiele, Gioele, Emmanuel, Gabriel, Michael, Rafael, Samael, ecc.), dall'unione di sciarach: "chi combatte" ed El (il Signore). Inganna il genitore divenuto cieco come Edipo e, come il labdacide che impalma Giocasta, va a cercar moglie presso un parente prossimo della madre, il “candido” Labano. Mentre il “peloso” Esaù diventa Edom, cioè rosso, giusto come il piatto di lenticchie che gli è costato la primogenitura.
La prima profezia, quella di Genesi (“Io porrò inimicizia tra te e la donna…”, 3: 15), aveva predetto che il “serpente” avrebbe ferito al calcagno il ‘seme della donna’; piaga che, per quanto dolorosa, non procura invalidità permanente. Il “seme” (Galati 3, 16: “… come parlando di una sola, dice: «E alla tua progenie», che è Cristo…”) è Gesù messo a morte dagli agenti terreni del gran dragone (Apocalisse 12, 9: “… l’antico serpente, colui che è chiamato Diavolo e Satana…”), ma guarito da quella ‘ferita al calcagno’, il terzo giorno (Atti 2, 24: “… Dio lo ha risuscitato, liberandolo dalla morsa della morte, perché non era possibile che la morte lo trattenesse…”; 10, 40: “… Dio lo risuscitò il terzo giorno e permise che si manifestasse…”).
Satana rappresenta il polo negativo, che unito all’altro, appena potenziale tra i mortali, produce la trasformazione dell’uomo rosso in verde (Osiride). L’Idumea, la terra di Esaù (Edom, rosso come Adam), equivale alla regione di Us, dove vive Giobbe, abituato a vantarsi di “avere”, possedere, fin quando non passò definitivamente al piano dell’«essere».
Dagli inferi ascende solo chi intercetta questa luce «essenziale», discernendo il sottile da ciò che è destinato a rimanere denso. Fu per questo che Orfeo (᾿Ορϕεύς, da cui ὀρϕανός, privato, vedovo), figlio di Eagro (Οἴαγρος, "solitario agreste"), a causa del morso d’un serpente, perse la sua Euridice (Εὐρυδίκη), colei che stende lontano la propria “giustizia” (δίκη), rende più ampia (εὐρύς, vasta) la giurisdizione sulle cose di cui vuole appropriarsi, in quell’incaponirsi a riemergere nella coscienza ordinaria; e non sentendo dietro di sé i passi di chi era ombra, Orfeo si voltò, non adempiendo alla promessa. Avvertire lo stimolo dell’amore divino non significa provarlo e, se ci si limita a concettualizzarlo, lo si racchiude ancor più costrittivamente in quegli schemi mentali dai quali non lo si potrà mai più liberare.