Le prove tangibili dell’inutilità del Covid risiedono in tutte quelle case, e in quei casi, dove la solitudine, a differenza della polvere, non si riesce a scrollare.
Ricapitoliamo.
Nel marzo di inizio anno, il famoso venti venti che tutti, nei social, e con frasi fatte, ritengono nefasto, scoppia qualcosa che leggeranno i nostri nipoti sui libri di storia.
Credo.
Accade una malattia strana, a scavalco tra un raffreddore letale e un’influenza mortale. Tutto chiuso per evitare contatti umani. O, meglio, virali.
Si canta dai balconi, si impasta pizza. Si stendono bandiere.
Si muore.
Viene pressoché sterminata la generazione delle “cento lire” per il gelato, delle storie del dopoguerra, dei grembiuli sporchi di farina.
Muoiono, insieme alla cazzata disumana delle patologie pregresse, migliaia di anziani col respiro mozzato e senza nemmeno un racconto da lasciare tra gli ansimi dell’ultimo fiato.
Prima ondata. Seconda ondata appena subito dopo l’estate.
Primi e secondi morti.
I sintomi sempre uguali.
Tosse, febbre, affanno, perdita del gusto e dell’olfatto, eritemi diffusi.
Solitudine.
L’ultimo sintomo è patologia concomitante e non pregressa.
Alla donna antica di questo mio scritto, ancora non venuta fuori, mi piace pensarla mentre impasta il pane, o mentre con la canna, fa i maccheroni. Oppure, fuori da questi stantii luoghi comuni, mentre amoreggiava con gli sguardi, frontiera erotica ed eroica ai tempi delle seicento e delle cinquecento con i finestrini a manovella, rigorosamente bianche.
Mi piace pensarla accarezzare i nipoti sulla testa sfuggente, mentre tirava fuori dalle tasche del grembiule, o dal borsellino con la chiusura ad incrocio, le monete per il gelato dei nipoti.
Non mi piace pensarla da sola, confusa in una bolla porosa tra il passato e il presente, abbandonata, reclusa da un virus dalla forma bonaria che impedisce i contatti umani perché, come le notizie di Fabrizio, corre veloce di bocca in bocca.
E non è bocca di rosa.
La positività al tampone, quel bastoncino che si infila dal naso al cervello è Corte d’Assise o d’Appello, è custodia cautelare.
Diventa ingiusta, questa, quando si superano per carenza altrui. Quando per inerzia istituzionale, o mancanza di ciò che non sarebbe dovuto mancare già dalla prima ondata, si costringe la gente in casa tra angoscia e fatalismo.
Ci ha provato, sicuramente, la nostra donna del secolo breve, a resistere a questo confino, guardando i giorni fuori dalla finestra, attendendo le bianche figure che infilano nel naso il bastoncino della salvezza.
Ancora, oggi, alle prime piogge, non si fa vedere nessuno.
Tranne le lumache.
I giorni dei vecchi sono tutti uguali. Sono talmente uguali che è facile, dopo un po’, senza che nessuno ne interrompa la perversa sequenza delle ore, perderne i contorni.
Confondersi, disorientarsi. Annebbiarsi.
Nessuno che porti suoni dentro la casa chiusa per Covid.
Nessuno che si possa avvicinare e nessuno che si voglia avvicinare. Anche chi potrebbe per professione, ma non per vocazione. Troppi rischi.
Le professioni d’aiuto sono professioni fragili a causa dei deboli e ritardati pagamenti.
Le scelte di campo sono lontane nel tempo. Un tempo che non appartiene ai nuovi.
Adesso governa il ripiego, l’adattamento.
E dove governa il ripiego, muore la motivazione e la commovente incoscienza che cambia il mondo.
E nel mentre, dietro i vetri, tra la nebbia, la nostra donna del secolo breve, attende.
Non mi addentro per nulla nei ritardi dell’Azienda sanitaria, nei telefoni che squillano invano, nella burocrazia mortifera che si ammanta di giusto proteggendo l’ingiusto.
È argomento di giorni, forse mesi. Direi anni.
Basta così.
Oggi piove fermo e stabile, sulla Locride. Intenzioni di allagamenti, qui e là. Le scogliere di capo Bruzzano sono contornate da onde spumose che ne contornano il profilo greco.
E ciò che voglio vedere. Ma non è ciò che vedo.
In realtà piove sulla nostra umanità perduta, accantonata, seppellita sotto i panni sporchi dell'egoismo. Di noi rimarrà soltanto ciò che abbiamo fatto per gli altri, mentre dimentichiamo di essere un soffio in un’epoca di vento forte.
Se ambivamo ad essere migliori, un'occasione è stata persa.
Almeno oggi, con questa donna di ottantaquattro anni sola in casa col Covid da giorni e giorni, sempre uguali e confusi. Nebbiosi.
Forse, finirà per parlargli, e diventeranno amici. E il Covid andrà via pietoso. Ma nessuno, tra la nebbia, se ne accorgerà.
Viene fuori soltanto la solitudine dolente dei contagiati e una comunità che cerca altrove la via della salvezza, senza sapere, meschina, che questa si chiama, semplicemente, solidarietà.