Scrivo di getto, come sempre, questo pezzo al mattino presto, mentre i social mi ricordano che ricorre oggi la giornata mondiale della salute mentale. E subito mi viene un pensiero.
Perché "non essere in salute mentale" non provoca la stessa accettazione da parte di chi sta bene rispetto a chi, per esempio, vive un problema cardiaco, oncologico, o di qualsiasi natura? Per rispondere forse occorrerebbe andare indietro, fino ai tempi di Pinel, che fece togliere le catene ai malati mentali. Si, abbiamo capito bene. Delle persone stavano in catene perché sofferenti, deliranti. Semplicemente diverse.
O meglio, cambiò tipo di catene,
Pinel permise di distinguere queste persone dai criminali, in ragione di una patologia. E fu, per l’epoca, una rivoluzione in ambito medico.
Siamo a cavallo tra il millesettecento e il milleottocento, in Francia. Periodo fertile di idee. Diciamo rivoluzionario. E in questo periodo, in Francia, nacquero i manicomi. Che divennero la "casa degli alienati".
Quindi le persone malate mentali di Pinel vennero richiuse in una fortezza e non in una prigione con i delinquenti comuni.
Beh, poco più di un secolo dopo, in Italia, e sempre durante un periodo rivoluzionario, gli anni Sessanta e Settanta, Franco Basaglia consentì che al malato mentale venisse riconosciuto, in Italia, lo status, appunto, di malato.
E quindi curabile in un contesto di normalità, e soprattutto sul suo territorio, senza alcuna alienazione.
I luoghi e gli affetti divennero parte della cura.
E si chiusero sotto il profilo legislativo i manicomi di Pinel.
Ma in realtà non si chiusero veramente, perché il manicomio non è soltanto un luogo fisico, ma una categoria di pregiudizio culturale.
E qui veniamo all’epoca attuale.
La risposta al disagio mentale è a macchia di leopardo.
Abbiamo le innovazioni emiliane, da sempre culla del welfare. Abbiamo la Calabria dove non esiste un solo posto letto di neuropsichiatria infantile.
Qui direi che la regionalizzazione della Sanità penalizza le Regioni che spendono ciò che possono, lo fanno male, non producono welfare. Ovvero, benessere.
Tant’è che la Calabria è commissariata da anni, ma nessun beneficio si registra per i cittadini in termini di qualità dei servizi sanitari.
Ivi compresa una adeguata risposta alle problematiche delle persone con disagio mentale e delle loro famiglie, specie per quanto concerne l’inserimento nei ritmi vitali del territorio che li ospita.
La comunità, se attivata, diventa terapia. Se attivata.
Altrimenti esclude, e non lo fa manco apposta.
Franco Basaglia, ancora lui, affermava che la storia della psichiatria non è la storia dei medici, ma dei “malati”.
Non faccio articoli scientifici, non li so fare.
Ma porto esperienze.
Ricordo come ieri i vialoni del Manicomio di Reggio Calabria, dove sulle due sponde stavano appoggiate persone. E ci dovevi passare dentro, per arrivare ai reparti.
Forche caudine di lacera umanità.
E mentre ci passavi dentro, braccia tese verso di te a chiedere una sigaretta, una moneta. Un bacio.
Un bacio mi chiese una donna con i capelli rasati a zero.
Merce di scambio tra gli alienati di Pinel e il mondo esterno che entrava nell’aorta della sofferenza attraverso dei giovani come stent ostinati.
Alienati anche loro, forse.
Ma due alienati, sommati, fanno una salvezza.
E che dire alla memoria che mi porta compare Peppe, scalzo con la mano tesa, e Carmelo, nudo, avvolto in una coperta?
E tutti sulla mia macchina a fuggire verso la libertà.
Fuga per la vittoria.
Devo tenerla a bada, questa memoria, che mi porta indietro di troppo tempo. La tengo a bada ma la ringrazio, perché mantiene in vita la bellezza, e seda le oppressioni.
Ma solo dentro. Fuori le oppressioni rimangono, e la lotta per la liberazione non appartiene a chi la vive.
Per cui, azzardo un sogno. Tanto, i sogni sono gratis.
È il sogno di un mondo dove i diritti di alcuni, se lesi, se violati, se inesistenti, violano tutto il resto dell’umanità.
Che da indifferente, diventa impicciona.
Si fa i fatti degli altri, questa umanità impicciona, e li protegge dalle inerzie della burocrazia. Si prende cura delle fragilità.
Esattamente cosa non accade oggi.
Ma non significa che ciò non possa accadere.
La società non è un soggetto inerte e virtuale, ma un insieme di persone che portano emozioni, vivono sentimenti.
E voglio sperare che le immagini che ho provato ad evocare consentano ai pochi che leggeranno di approcciarsi diversamente di fronte al ragazzone tenuto per mano dalla mamma che sembra la nonna e viaggia in treno per chissà dove.
Oppure al barbone scapigliato che chiede sempre la monetina alla stazione, ma sotto dell’euro ti guarda male.
Oppure a chi non conosciamo e porta nella tasca del cappotto scalcianti demoni.
Spero da domani in uno sguardo benevolo verso questa umanità dolorosa che passa dai nostri sentieri per far fiorire le spine della comprensione, dell’accettazione, della solidarietà.
Sogno tutto ciò, e con un lieve soprapprezzo ci aggiungo anche la speranza.
E magari queste quattro righe confuse.
Senza sovrapprezzo.