C’è un film sul potere di Livia, già moglie di un Claudio e madre di figli, poi moglie di Ottaviano, che li adottò; donde la complicata genealogia dei Giulio-Claudi-Agrippa fino a Nerone.
Senza dubbio fu potente, ma altrettanto senza dubbio non fu l’unica. Stando alla legge, le donne non avevano alcuna personalità giuridica, ma non l’avevano nemmeno i figli maschi finché viveva il paterfamilias. Era una primordiale struttura della gens, dalla cui confederazione nacque la res publica, che era un’alleanza tra pochi cives, ciascuno con i suoi figli e clienti, e la componente femminile. La stessa matrona era in loco filiae. Detto così l’argomento sembra chiuso. Se però consultiamo le cronache, e le testimonianze che ci vengono dai poeti, ci sorge il dubbio che una cosa sia la legge, e un’altra la realtà. Intanto, anche per la legge, la matrona è centro della gens, giacché sono legittimi sono i figli nati da un matrimonium, in origine complessa cerimonia detta nuptiae, e che cadde in disuso, come attesta Tacito per i tempi di Tiberio; ma anche il matrimonio diciamo così civile era legale, per quanto facile da divenire di-vortium, come leggiamo dei matrimoni di Cesare, Cicerone, Ottaviano… Le prime matronae sono le sabine, che impongono la pace ai padri e ai mariti, e formano famiglie legittime. Marzia, figlia di Anco, fu complice del parricidio e regicidio. Lucrezia suscitò la rivolta repubblicana. Madre e moglie costrinsero Coriolano a deporre le armi. Quando Pirro voleva corrompere i senatori, inviò doni alle loro mogli, “sapendo che a Roma le donne hanno da sempre grandissimo potere”. Ci stava quasi riuscendo…
Catone, che doveva avere la luna particolarmente storta, dichiarò in senato: Noi Romani comandiamo al mondo intero, e le nostre mogli comandano a noi. Nel 186 a.C. una bella retata arrestò un mucchio di uomini e donne che, di notte, si davano ai culti di Bacco: secondo me, sesso e droga e l’equivalente del rock and roll. Si legga il senatusconsultum de Bacchanalibus. Non parliamo delle doctae puellae, i cui costumi sono ampiamente attestati da Catullo e dalla Pro Caelio. E troviamo delle catilinarie, tra cui Fulvia che spifferò tutto a Cicerone.
I Romani furono i creatori del diritto… e dello storto, dicono i maligni! Non tanto alla poesia, quanto alle leggi si dedicarono, e con i Romani maschi, ci è giunta voce di donne che esercitarono, occasionalmente o per professione, l’avvocatura: Ortensia, figlia del grande rivale di Cicerone; Lelia figlia del Sapiens, di cui Quintiliano (I, 1); Afrania, celebre per la litigiosità; Amesia di Sentino, detta Androgine; di entrambe, Valerio Massimo (VIII, 3), e nello stesso luogo, di Ortensia racconta: “Ortensia, figlia di Quinto Ortensio, poiché l’ordine delle matrone era stato gravato di pesante tributo dai triumviri, e nessun uomo osava offrire loro il suo patrocinio, discusse la causa delle donne di fronte ai triumviri e francamente e con successo: facendo appello all’eloquenza paterna, ottenne venisse rimessa la maggior parte della somma disposta…”