Arance, mandarini, limoni sono solo alcune delle virtuose produzioni della nostra Calabria, meravigliosi frutti di una terra generosa di cui tutti dovremmo andare fieri. Sono bellissimi da vedere, dolcissimi da assaporare e il profumo delle loro zagare è intenso ed inebriante. Quintali e quintali di agrumi vengono giornalmente venduti sui banchi dei mercati, negli scaffali dei supermercati, ma quanti si sono mai chiesti che cosa avviene all’interno della loro filiera produttiva? Proviamo allora ad immaginare il percorso dalla produzione alla vendita di questi prodotti, soffermandoci sulla fase della raccolta in una delle zone maggiormente ricche di questi pregiati frutti. Parliamo della Piana di Gioia Tauro, notoriamente al centro dell’attenzione mediatica per storie di sfruttamento e di degrado che riguardano i lavoratori immigrati ai quali è destinato il mestiere più duro. Fatica, sudore e diritti negati a povera gente in fuga da guerre e carestie, a cui non viene riconosciuta la dignità del lavoro. Da decenni tutti sanno cosa succede in quei luoghi ma pochi si interessano fattivamente alla risoluzione delle problematiche dei lavoratori agricoli, il cui grido di dolore rimane spesso inascoltato.
Ne parlo con una persona che conosce molto bene ciò che avviene in quei contesti, Don Pino Demasi, vicario generale della Diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera per la piana di Gioia Tauro, Associazione molto impegnata nel sociale e nel contrasto alla ‘ndrangheta.
- Qual è la situazione attuale della Piana di Gioia Tauro nella quale un migliaio di immigrati vive in condizioni drammatiche? In particolare, dallo smantellamento della baraccopoli di San Ferdinando avvenuta nel marzo 2019 ad oggi, è cambiato qualcosa? Come vivono quelle persone? O forse sarebbe più corretto dire come “sopravvivono”?
- La storia dei migranti cosiddetti “economici” della Piana di Gioia Tauro è, purtroppo, una triste storia di persone emarginate, “ghettizzate”, bloccate sempre più in uno spiraglio di degrado, di esclusione, di violazione dei diritti umani fondamentali.
Dal 2010, anno della cosiddetta “rivolta” nulla è cambiato nel modus vivendi dei migranti se non lo scenario dentro il quale si è svolta e continua a svolgersi la loro vita tra un ciclico alternarsi di tendopoli e baraccopoli.
Le varie tragedie di questi anni, i vari roghi, la morte di Becky Moses, di Moussa Ba e di altri “dannati”, la scomparsa di tanti “invisibili”, i tanti episodi delinquenziali legati in qualche modo alla ‘ndrangheta e alle mafie straniere presenti all’interno dei migranti stessi, l’anarchia completa che, eccetto qualche breve periodo, è regnata all’interno tendopoli/baraccopoli unitamente allo sfruttamento lavorativo sono l’immagine più eloquente delle condizioni di vita dei migranti della Piana di Gioia Tauro. Una vita fatta di stenti in condizioni di assoluto degrado che logora il corpo e la mente.
- Cosa hanno fatto e cosa stanno facendo lo Stato, la Regione o semplicemente il comune per risolvere definitivamente questa vergogna? È a conoscenza del programma Su.Pr.Eme.Italia finanziato dalla Commissione Europea per superare lo sfruttamento lavorativo e promuovere l’inclusione sociale promosso dalla regione Puglia ed esteso anche alla Calabria? Crede che questo od altri strumenti possano essere utili a migliorare la condizione dei lavoratori immigrati?
- Quando l’emergenza diventa normalità significa che lo Stato è assente o in ogni caso ha fallito. È quello che è accaduto nella Piana di Gioia Tauro. Eppure, non son mancati gli appelli, le proposte di adesione a programmi europei quale quello che lei cita, la disponibilità a collaborare da parte di tante realtà e persone che in questi anni si si sono fatti carico di questa triste situazione di sofferenza. Mi riferisco a rappresentanti delle Istituzioni, quali prefetti, questori, sindaci, rappresentanti delle forze dell’ordine, del volontariato cattolico e laico, dell’associazionismo e del sindacato. Da parte dello Stato centrale e della Regione, che avrebbero dovuto impegnarsi a pieno titolo, solo parole e sperpero di denaro pubblico con iniziative sporadiche senza nessuna progettualità a lungo termine, mirate solo a “tappare” l’emergenza, che in realtà è diventata, come dicevo, sempre più “normalità”.
Una cosa, a questo punto, credo sia certa: l’emarginazione dei migranti nella Piana di Gioia Tauro è una scelta voluta e consapevole.
- Sappiamo tutti che i migranti vengono utilizzati nella raccolta degli agrumi, sottopagati e privati della dignità umana. Si ripete in sostanza la storia dello sfruttamento sistematico dei lavoratori provenienti da zone a rischio per guerre e condizioni socioeconomiche difficili, che da decenni insiste in particolare sul Meridione.
- Il lavoro “nero” e non il lavoro “vero” è stata sostanzialmente l’unica proposta lavorativa per i migranti in un territorio dove spesso e volentieri la stessa proposta viene fatta alla nostra gente. Il che ha significato e continua significare sistematico sfruttamento lavorativo. Qualcosa è cambiato grazie agli strumenti legislativi approvati in questi anni relativamente al lavoro nero e al caporalato. Ma anche qui non sempre si è registrata la volontà politica di agire con determinazione. C’è da notare, però, positivamente che in questo periodo non sono mancate buone prassi che hanno permesso lavoro vero ed integrazione ad alcuni migranti.
- Di fronte a questa vera e propria emergenza umanitaria, aggravata dalla diffusione della pandemia, quali misure sono state prese per arginare la diffusione del virus?
L’emergenza sanitaria ha aggravato moltissimo la situazione dei migranti. Il periodo del lockdown è stato maggiormente “subìto” dai migranti e non poteva non essere così dal momento che nelle situazioni di maggiore difficoltà loro sono l’anello più debole della catena. C’è stato anche qualche tafferuglio, ma alla fine, l’impegno di tutte quelle realtà, che citavo prima e che si stanno sporcando le mani a fianco a loro, è stato di enorme sollievo ed aiuto, specialmente per la vaccinazione, onde evitare la diffusione del virus.
- Qual è l’impegno dell’associazionismo italiano ed internazionale e il suo, in qualità di referente di Libera, per combattere questa piaga sociale?
- In situazioni difficili e quando manca la volontà politica di affrontare seriamente i problemi, l’associazionismo ed il volontariato non possono fare grandi cose, se non seria opera di supplenza ed essere una spina a fianco delle Istituzioni per spronarle ad agire.
Ma a monte c’è anche un ruolo importante che il mondo dell’associazionismo e del volontariato devono svolgere, unitamente alle agenzie educative. È quello di contribuire ad una elaborazione “culturale” del problema. I migranti non sono un peso, ma una ricchezza. È importante lavorare per aiutare le persone ad un cambiamento di mentalità, per una convivenza alla quale ancora non si è pronti. Si è fatto, infatti, un certo cammino, ma è ancora molto lontana l’accettazione della diversità, soprattutto dell’accettazione del “nero”, rispetto al “bianco”.
L’associazionismo in generale e Libera in particolare in questi anni si sono seriamente impegnati su tutte e due i fronti.
- Molto spesso allo sfruttamento lavorativo dei migranti si associa anche quello sessuale. Come è possibile che la gente comune conviva con questa realtà vergognosa? Qual è il sentire comune del mondo cattolico e di quello laico di fronte a questa miserevole condizione umana?
- Nel contesto della Piana di Gioia Tauro lo sfruttamento sessuale dei migranti esiste ma in modo marginale. Sappiamo, però, che nel mondo, invece, sono oltre 40 milioni le vittime di tratta. Tra queste, il 72% sono donne, mentre il 23% sono minori. Fra le principali finalità della tratta vi sono lo sfruttamento sessuale (quasi 60%) e il lavoro forzato (34%). In questi ultimi anni il fenomeno della tratta è cambiato anche in Italia, specialmente per quanto riguarda la prostituzione coatta. Sono diminuite infatti le donne nigeriane – i cui sbarchi sono calati drasticamente, ma il cui sfruttamento è diventato ancora più brutale in Libia – e sono aumentate le donne di altre nazionalità così come le persone transessuali. Il fenomeno, inoltre – anche a causa del Coronavirus – si è ulteriormente spostato dalla strada all’indoor (e all’online), rendendo le vittime ancora più invisibili, inavvicinabili e vulnerabili. Si tratta di una piaga indegna di una società civile. Il mondo cattolico e non solo si sente impegnato ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Nello stesso tempo, a partire da Papa Francesco, non si stanca di sollecitare quanti hanno responsabilità di governo perché si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga, che umilia le persone nella loro dignità.
- Quello che avviene a Rosarno non può lasciare indifferente nessuno. Sappiamo tutti che dietro questa storia c’è la mano della ‘ndrangheta. Mi chiedo, da cittadina e da educatrice, se sarà mai possibile cambiare le cose.
- Dove la politica è debole, le mafie sono forti. Dove c’è miseria e povertà e dove non sono tutelati i diritti, le mafie fanno il loro gioco. Non dico nulla di nuovo se affermo, quindi, che nella vicenda dei migranti della Piana di Gioia Tauro la ndrangheta è entrata in vari modi e a pieno titolo.
Anche per questo motivo, la lotta alle mafie e la lotta per la tutela dei diritti e della dignità di ogni uomo devono quindi continuare. Non possiamo permetterci il lusso di fermarci. Oggi più che mai è il tempo di lavorare ad ogni livello per “includere”, e non per “escludere”. A titolo personale e come Libera continueremo quindi ad impegnarci. Siamo nati e viviamo per questo. Ma è giunto il momento nel nostro Paese e, in modo particolare, in questo territorio che la Politica si riappropri del suo compito e dei suoi doveri. In questo senso la nuova Giunta Regionale è “avvisata”!