Quel momento in cui si riempie il cuore di gioia.
Quando viaggio oltre il confine calabrese verso nord, da qualche anno rigorosamente in auto, i più fantastici spunti di riflessione cominciano al termine, durante il ritorno, arrivato all’altezza di Scilla. Anche se in realtà comincio a riflettere già da Rende.
Si, perché lì vedo tutto molto uguale e squadrato (qualcuno direbbe ordinato), facciate intonacate e pitturate (qualche altro direbbe “finite”), colori uniformi e filologici (...? ...eccolo…piano regolatore). Dice: sei stato in giro per l’Italia dove tutto era “perfetto” e te ne accorgi solo a Rende?
…
Il fatto è che da Rende, provincia di Cosenza, mi aspetto di più.
Ordinato, finito, in regola (decisa da chi?)…cosa c’entrano questi termini con l’anticonformismo calabrese?
Che accada altrove è comprensibile: è “cultura” loro. Spesso quella è la massima espressione da raccontare. Ma possono gli uomini liberi sottostare alle regole? Non parlo di quelle dell’educazione, della fratellanza, del rispetto reciproco…in quello spesso facciamo scuola. Le regole, quelle di tutti, che secondo gli indiscutibili giudicatori “o le segui o sei incivile”.
Intanto arrivo a Scilla, li vedo…i primi mattoni forati mostrati bene, pilastri vaganti. Sono a casa. Mi dispiace per Rende.
…
Da anni leggiamo articoli, addirittura assistiamo ad incontri e convegni dedicati al “non finito calabrese”. Mi chiedo: chi stabilisce che un immobile con i mattoni in vista non sia finito? Se io che l’ho fatto mi sono fermato lì, significa che in quel momento ho finito. Magari ho finito i soldi, oppure le forze, il supporto, l’inspirazione. O semplicemente mi piace in quel modo, o preferisco rendere abitabile un piano per mia figlia (perché non si sa mai…). Nella migliore delle ipotesi voglio conservare un po' di denaro (nell’incertezza della sopravvivenza, sarebbe più che responsabile farlo).
Perché, quindi, dire che non è finito? Quale legge morale o divina lo decide? E dove sta scritto che tutto uguale o simile è indiscutibilmente bello, mentre al contrario è indiscutibilmente brutto?
Maggior parte degli edifici in questione sono fatti con gli stenti ed il sudore di gente con un reddito di gran lunga sotto la media nazionale. Gente dimenticata “da Dio e dal governo” scriveva circa un secolo fa Mastro Bruno Pelaggi. Gente che “a poco a poco” (che civiltà estrema…) ha sistemato la famiglia o ha lasciato la “predisposizione” per farlo. Non sarà forse che “a poco a poco” può significare non indebitarsi a vita con le banche o, peggio (per loro), non avere tutto e subito?
La verità è che siamo tra i peggiori nemici del consumismo. Lo dimostra il mattone forato.
Università, studiosi, appassionati, anticonformisti ed aspiranti tali, sociologi, pacifisti del mondo, dovrebbero analizzarci come fenomeno umano raro. Dovrebbero venire a vedere come vengono segnati i confini dei terreni di proprietà nelle campagne aspromontane. Ci avete mai fatto caso? Probabilmente si, anche se in maniera dispregiativa: reti del letto, una accanto all’altra, quale in piedi, quale coricata o messa trasversalmente, che altrimenti sarebbero diventate spazzatura. Pensate, ricicliamo da quando ancora non andava di moda farlo. Che, infondo, anche il rispetto dell’ambiente è arrivato nelle società perché adesso “fa figo”.
Inoltre, francamente, “finito” fa paura. Nemmeno la vita finisce con la morte. “Finito” significa stop, basta. Il nulla dopo. Mentre i centri urbani di Calabria, molte volte, sono delle mostre d’arte perpetue. Dei lasciti di speranza.
Arrivato in quel tratto di viaggio mi accorgo che vivo in una terra di uomini liberi, in costante resistenza al neoliberismo. L’abitazione col mattone forato in vista è una genuina, spontanea e civile forma resistenza. Perché dalla casa parte tutto.
Dice ancora: “ma stai zitto, lasciano i mattoni forati e poi dentro hanno la vasca con l’idromassaggio!”
Giusto! L’esempio lampante dell’essere anziché apparire. Siamo un popolo concreto, responsabile, che non fa il passo più lungo della gamba. Resistiamo a oltranza. Storicamente chi lo ha fatto, anche in maniera estrema, discussa, poco convincente, ha vinto.
Ecco come il famoso “non finito” può diventare raffinata filosofia. C’è poesia in questa “imperfezione”.
Azzardo, sogno (ma non troppo): mi piace pensare anche che i nostri anziani le abbiano tenute in quel modo appositamente per incidere una traccia, incitare al dubbio, testimoniare, spronare a fare, dare un proseguo. Avevano intuito che il “dopo” sarebbe stato scialbo.
Pensando altrimenti agli schemi: se perdiamo i mattoni forati, rischiamo di perdere la memoria.
Chi meglio delle nostre “brutte” case può raccontare la questione meridionale/calabrese? Ingannati, delusi e, come se non bastasse, successivamente derisi ed etichettati dagli stessi che hanno fatto il danno.
Ma vi immaginate una Reggio “finita”? Tristezza e incoerenza. Come il tipo con l’ultimo Mercedes che mette 5 euro di gasolio.
…“e delle opere pubbliche non finite non dici nulla? quelle non sono case!”. È vero, ma quelle servono ad arrivare facilmente a casa, far conoscere casa, arricchire la casa, stare bene a casa. Tutto gira intorno alla casa. L’economia si manifesta fondamentalmente in casa.
Fin quando la condizione sociale sarà questa, guai rinnegare il pilastro vagante rivolto al cielo. Ed ecco che di fronte all'idea di opere che “si devono fare”, spesso fine a sé stesse, comprensibilmente nasce scetticismo e diffidenza. Staremo attenti e, per questo, saremo grati all’esperienza dell’erroneamente chiamato “non finito”. Cominceremo a “finire” le facciate quando le persone potranno arrivare con facilità per ammirare la loro bruttezza “finita”. Sarà un potenziale trionfo economico ed un probabile disastro culturale. Perché no, credo ci troveremo di fronte ad una crisi d’identità. Perché d’identità si tratta. Quella prescinde dalla bellezza o dalla bruttezza (che poi sono soggettive). C'è perché qualcosa rimanda ad essa nella quotidianità, nei momenti ed i luoghi ai quali non facciamo caso.
Forse per questo al rientro dai miei viaggi gioisco nel vedere scritto “Calabria”, nell’ammirare i ricchi e differenti paesaggi, ma il cuore mi si apre solo alla vista del mattone forato. Respiro patria.
Quando e se…sarà tutto “finito”, forse avremo conquistato tanto quanto quello che perderemo. Perché la Calabria è così: nella gioia e nel dolore. Amore puro.