Giovedì, 12 Settembre 2024

                                                                                                                                                                             

 

                                                                                                                                                                                                          

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FUOCO SEGRETO

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«Não basta abrir a janela/ Para ver os campos e o rio./ Não é bastante não ser cego/ Para ver as árvores e as flores./ É preciso também não ter filosofia nenhuma./ Com filosofia não há árvores: há ideias apenas./ Há só cada um de nós, como uma cave./ Há só uma janela fechada, e todo o mundo lá fora;/ E um sonho do que se poderia ver se a janela se abrisse,/ Que nunca é o que se vê quando se abre a janela.» (Non basta aprire la finestra/ per vedere la campagna e il fiume./ Non basta non essere cieco/ per vedere gli alberi e i fiori./ Bisogna anche non avere filosofia nessuna./ Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono appena idee./ V’è soltanto ognuno di noi, simile a una spelonca./ C’è solo una finestra chiusa, e tutto il mondo fuori;/ e un sogno di ciò che potrebbe esser visto se la finestra si aprisse,/ che mai è quello che si vede quando si apre la finestra. - Alberto Caeiro/ Fernando Pessoa: Não basta abrir a janela, “Poemas Inconjuntos”, Ática, Lisboa 1946).

Modernità e Kali Yuga

Questi versi potrebbero costituire una possibile, ed eventuale, risposta a quell’interrogativo sul Kali Yuga (in tale età oscura, come si può accedere alla realizzazione spirituale?), che avrebbe fatto da sfondo all’intera opera del barone (“immaginario”) romano Giulio Cesare Andrea (Julius) Evola, figlio di genitori, non aristocratici, siciliani di Cinisi. - Non pare infatti genealogicamente attestabile una presunta discendenza dalla famiglia normanna degli Evoli, o Eboli, cognominizzata da un avo conte Ebolo di Capua.

Il monocolo: una ciclopica unica visione d’insieme?

Del resto, tra gli anni ’20 e i ’30 del secolo scorso, sembra bastasse portare un monocolo per professarsi aristocratici, mondani, vezzosi,  e intellettuali dalla visione profondamente “ciclopica”. Un atteggiamento esteriore che alludeva all’ideologia anti-populista, e antidemocratica, eppure una forma mentis, e una certa posizione politica, distintiva d’una certa qualche insofferente controtendenza verso taluni indirizzi dell’incalzante fascismo che andava prendendo piede.

Tellegra il mago

«“Tellegra il mago!” Il giorno della presentazione s’era inchinato, con uno strano tremore visibile in tutto il volto; poi, sedutosi accanto, m’aveva rivolto alcune domande, con la voce un po’ strascicata, un po’ assente. La sua mano destra, sul ginocchio accanto al mio, lunga, sottile, con un filo d’oro al polso e le unghie lucidissime, si contraeva quasi impercettibilmente in espressione fra estatica e rapace. […] Era anche lui abbastanza à son avantage. Bisogna riconoscere che il mostro moderno ch’egli è porta perfettamente la maschera del mondano. Mostro della specie dei serpenti. Ma il suo veleno non è letale». 

Amo dunque sono

In “Amo dunque sono” (Mondadori, Milano 1927), Sibilla Aleramo descrive un misterioso e originale pittore futur-dadaista, paragonandolo a un «gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, vizioso, perverso» e rappresentandolo sotto le spoglie del dandy Bruno Tellegra; ma si trattava di Julius Evola, con cui ebbe una breve ma intensa relazione, dopo Dino Campana e poco prima d’incontrare Giulio Parise, a cui sono indirizzate le lettere, non spedite, di questa raccolta epistolare che compone il romanzo autobiografico dell’autrice di “Una donna” (Società tipografico-editrice nazionale, Roma-Torino 1906), che, vent’anni prima, aveva riscosso immediata fortuna, soprattutto per il tema affrontato, potendosi ritenere uno dei primi libri femministi apparsi in Italia.

Gruppo di Ur

Allora Giulio Parise aderiva al Gruppo di Ur, sotto lo pseudonimo di Luce, in quanto praticante la magia cerimoniale e seguace del pitagorismo, come l’altro co-fondatore Arturo Reghini (nom de plume: «Pietro Negri»), discepolo di Amedeo Rocco Armentano (alias ARA).

Un ulteriore apporto significativo era da attribuire a Giovanni Colazza (Leo), appartenente al solco dell'esoterismo cristiano di Rudolf Steiner, la cui antroposofia, nel rigettare ogni sorta di passiva medianità a favore d’un attivo e cosciente approccio «solare» ai temi dell'occulto e d’una “Tradizione universale” anteriore a forme dottrinali particolari, quali spiritismo, massoneria, teosofia, finiva per costituire l’ispirazione cementante dell’intero Gruppo di Ur - o “Gruppi”, come pretende Jean Pârvulescu, facendo riferimento ad almeno due catene operative (paramparā?), di egregoroi, ἐγρήγοροι. Altri antroposofi erano: l’ex ministro antifascista Giovanni Antonio Colonna di Cesarò (Arvo), Aniceto Del Massa (Sagittarius), Massimo Scaligero (Maximus).

Ur dei Caldei?

In lingua tedesca, il prefisso «ur-» indica qualcosa d’antico, primigenio, provenendo dall'espressione fonetica “u-r”, esistente nel runico col significato di toro o ariete, e nel caldeo con quello di fuoco. La città sumera di Ur sarebbe stata ridotta in rovine dal diluvio biblico, mentre la distinzione "di Kasdim/Kasdin" ("Ur dei Caldei") la farebbe riconoscere, nel libro della Genesi, come il luogo di nascita del patriarca Abramo.

L’intromissione massonica?

La dichiarata indipendenza da scuole o tendenze esoteriche formatesi in epoca recente (contemporanea, ma odiosamente moderna), a eccezione di kremmerziani (come Ercole Quadrelli: Abraxa, o Τί καί πώς) ed ermetisti (come Corallo Reginelli: Taurulus), nel 1929, spinse alla scissione, con conseguente esautorazione proprio di Parise e Reghini.

In maniera molto vaga, Evola si giustificherà parlando di “intromissioni” massoniche all'interno del Gruppo, prendendo perciò di mira appunto quei due, entrambi liberi muratori.

Guai giudiziari

Se ne ebbero tuttavia anche strascichi giudiziari, con tentativo di Evola di fare incriminare Reghini per quell’affiliazione massonica, che, dopo l'imposizione di scioglimento delle "associazioni segrete", decretata dal Fascismo nel 1925, costituiva reato. Negli anni seguenti, per via del condizionamento repressivo volto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano, Reghini ormai isolato (Armentano era partito per il Brasile già nel maggio del 1924), si ritirò progressivamente dalle attività pubbliche, dedicandosi all'insegnamento e alla meditazione, in chiave pitagorica, della filosofia e delle scienze matematiche.

Imperialismo pagano

I contrasti tra i due pilastri della Tradizione italica s’erano, comunque, acuiti pure per un’accusa di plagio nei confronti della pubblicazione di “Imperialismo pagano” (1928) che avrebbe ripreso il testo omonimo di Reghini apparso quattordici anni prima su La salamandra (1914). La formulazione programmatica reghiniana, che a molti apparve utopistica, riguardava un “Regime” (come egli lo chiamava) che poteva essere realizzato solo “dagli eredi legittimi dell’antica sapienza, e non da coloro che vanno sempre più esasperandosi in una civiltà di tipo meccanica industriale”.

Krur

Senza quelle preziose collaborazioni in merito alla Tradizione occidentale, e specificatamente mediterranea, l’esperienza del Gruppo sarebbe proseguita con minore slancio, nel 1929, con Krur (dal sumero k-r/ k-u-r, ovverossia residenza, casa, montagna e forza, - da cui, forse anche il nome d’un gioco della famiglia dei mancala?), per terminare definitivamente l’anno successivo con “La Torre” – Foglio di  espressioni varie e di Tradizione una.

L’apparente armonia delle varie correnti di tutto lo sfaccettato mondo dell’esoterismo italiano era durato appena appena un quadriennio. Dopo la “faida” con i “pitagorici”, la prosecuzione era stata appannaggio dei soli “evoliani” (o, pure, guénoniani?), forse non più su un piano sottilmente occulto, bensì con un peso più culturale e politico. L’intuizione della testata fu dello psicanalista Emilio Servadio (ES), - presumibilmente allusiva alla XVI lama dei Tarocchi; gli altri collaboratori erano i poeti Girolamo Comi (Gic) e Arturo Onofri (Oso), il tradizionalista «selvaggio» Guido De Giorgio (Havismat), e pochissimi altri, anche se poi su quelle colonne apparvero pure traduzioni di importanti pensatori stranieri, quali Paul Tillich, Lucien Duplessy, Julien Benda o Johann Jakob Bachofen.

Un’iniziativa anticonformista

Anni dopo, Evola ne parlò come d’«un’iniziativa positivamente anticonformista unica nel suo genere, che anticipò molti temi oggi banalizzati», nel tentativo d’operare una «rivoluzione entro la rivoluzione». E, rispetto ai triti argomenti d’un certo conservatorismo, La Torre propose «qualcosa di assai più selvaggio, di inattenuato, di primordiale», forse quel tal senso “germanico” di “originario”, proprio di “Ur”.

Rivolta contro il mondo moderno

In nuce” erano già presenti i temi di “Rivolta contro il mondo moderno” (che apparve presso l'editore Hoepli di Milano nel 1934), certo in forte contrasto con la cultura dell’epoca. La maggior tensione fu avvertita con il quotidiano “L’Impero” (presumibilmente, per la vicinanza di questo con gli ambienti vicini a Reghini?).

In ogni caso, per la sua scarsa propensione alla diplomazia, neanche Evola era tipo da accaparrarsi forti simpatie. E di sicuro non quelle dell’altro rivale cartaceo, l’intransigente “Antieuropa”.

A partire dal primo numero, La Torre s’era dimostrata piuttosto impertinente e scomoda. Dopo aver elencato le proprie personalissime posizioni, Evola si permetteva di criticare, da destra, un regime già reazionario, dichiarando in modo altisonante che «nella misura che il fascismo segua e difenda tali principi, in questa stessa misura noi possiamo considerarci fascisti»: una proclamazione di indipendenza bella e buona che non poteva non indispettire, e neanche poco, tra l’altro. 

Anticipazioni del nuovo millennio

Parole equivoche sull’italianità della Dalmazia suscitarono l’ira degli ex combattenti e reduci, dannunziani e non. Senza trascurare quelle mirabili pagine di folgorante preveggenza anticipatrici del nuovo millennio: «… anche la differenza morale fra i sessi scomparirà, e può darsi anche che il vegetarianesimo farà parte delle abitudini» (scriveva sul Quarto numero).

Qualità vs quantità

Ma non si limitò a questo, perché ebbe addirittura l’ardire di  commentare una delle poche battaglie del Regime persino oggi accolta con qualche indulgenza, quella demografica. Non della quantità dei figli occorreva preoccuparsi, per Evola, bensì della qualità dei nuovi italiani.

Una “voce” fuori dal coro

Formalmente, la rivista non venne chiusa; semplicemente, fu proibito alle tipografie di stamparla. E una nazione fondata … sulle riviste, come l’Italia del Novecento, perse una “voce” fuori dal coro; - e, a questo proposito, senza il foglio con quel titolo (“La Voce”) di Giuseppe Prezzolini, non avremmo avuto né Piero Gobetti, né Antonio Gramsci; Gaetano Salvemini, Benedetto Croce, Curzio Malaparte; Ungaretti,  Palazzeschi, Campana, Rèbora...

Sottosegretario agli interni impotente

Ovviamente, Evola protestò con il suo amico Leandro Arpinati, allora sottosegretario agli Interni, che tuttavia non poté fare nulla perché già inviso a Starace, per via delle sue idee liberali e anticorporativiste e dell’amicizia con noti antifascisti, quali Mario Missiroli, Giuseppe Massarenti, Torquato Nanni.

Quest’ultimo, nel far da scudo col proprio corpo all’amico, venne freddato da partigiani gappisti; un gesto eroico celebrato da Ezra Pound nei “Canti pisani” (The Cantos): «Nanni (Torquato) did 3 years with Battista/ and wasn't shot till after Salò./ Threw himself in front of a friend (Arpinati)/ but cd/ not save him.» (Nanni (Torquato) ha fatto 3 anni con Battista/ e non è stato sparato fin dopo Salò./ Si butta dinanzi a un amico (Arpinati)/ ma salvarlo non può. – Canto XCI).

Grafologa e astrologo

Anni dopo, a confidare all’astrologo Francesco Waldner un’affascinante amicizia con Evola fu Marianna Leibl, discepola di C. G. Jung, grafologa e autrice d’una “Psicologia della donna” (Garzanti, Milano 1950)  e d’una “Grafologia Psicologica” (Hoepli 1955).

A parte la profonda cultura spirituale, la critica tranchant e la mente fredda e lucidissima, di Evola la Leibl ammirava soprattutto il totale distacco dalle cose terrene e la natura inafferrabile, oltre all’autonomia conquistata, e realizzata insieme con forte orgoglio e carica vitale.

Mente l’autore di “Votre destin” (A. Fayard, Le Mesnil-sur-l'Estrée 1960) e “Mes aventures surnaturelles” (Fayard 1962), ricorda anche le personali impressioni.

«Un giorno, anni fa, Marianna Leibl mi invitò a casa sua con lui. Anch’io fui affascinato dal suo potente senso della realtà, dalla sua enorme capacità di sintesi, dal suo modo di vedere le cose e di sdrammatizzarle con sottile umorismo./ Uscimmo, io e lui, a notte alta e c’incamminammo a piedi verso il Centro: era tempo di guerra e c’era l’oscuramento, ma la luna piena illuminava la città. Parlammo a lungo di Gustav Meyrink e del suo orientamento spirituale. Proprio in quel periodo, Evola stava curando la traduzione di alcune sue opere: Il domenicano bianco, L’Angelo della finestra d’Occidente, La Notte di Valpurga. Io debbo molto a Meyrink che, nel periodo della mia giovinezza, diede un indirizzo al cammino della mia vita: mi fece così molto piacere ricordarlo attraverso lo scambio di opinioni che ebbi con Evola. Giunti al Pantheon, ci salutammo: le nostre strade, pur avendo una mèta comune, proseguivano in direzioni opposte./ Quella conversazione, però, continuava ad articolarsi nella mia mente e, ad un tratto, mi parve di scoprire l’individualità di Evola. Egli era un intellettuale poderoso; la sua forte personalità era impegnata in una linea di ricerca magica sperimentale. Vicino a lui, provavo una sensazione irrazionale, una specie di terrore, sentivo in lui il mago operante, e un uomo che aveva davanti a sé una strada dura da percorrere, piena ancora di esperienze molto dolorose. Gustav Meyrink invece aveva, secondo me, una potenza interiore armoniosa, morbida, una chiaroveggenza spontanea, la sua linea di ascesi mistica era come guidata da un impulso naturale. Io non sono un intellettuale, mi affido più all’intuito che al pensiero, e quella notte mi addormentai tardissimo sotto l’impressione di qualcosa che aveva colpito nel profondo la mia radice.» (Gianfranco De Turris: “Testimonianze su Evola”, Mediterranee, Roma 1985).

Saturno in congiunzione con Urano

Oltre a Meyrink, Waldner aveva avuto come guida spirituale il mistico ceco Karl Weinfurter, autore di “Ohnivý keř Odhalená cesta mystická” (1923); come Gerolamo Cardano,  predisse la data della propria morte, anche se a riguardo riteneva più opportuno che il trapasso giungesse del tutto inatteso. Di Cardano, però, si dice anche che, da matematico, riuscisse a trarre delle ineccepibili probabilità e, da giocatore di dadi, sapesse pure barare.

«Passarono diversi anni, e lo incontrai di nuovo a Roma. Parlammo del suo oroscopo; mi disse che alla sua morte voleva essere cremato e le sue ceneri sparse sui ghiacciai. Evola ama la montagna con tutte le sue forze, e io posso capirlo perché provengo dalla montagna.».

La rivendicazione d’una dimensione esoterica e spirituale dell'attività alpinistica venne apprezzata e riconosciuta da Evola nel teorico dell'arrampicata Domenico Rudatis (Rud), chiamato a collaborare dapprima con Krur e in seguito con Diorama filosofico.

Montane Analogie

Ma non bisogna essere esperti del valore atletico del sesto grado per cogliere la riflessione di René Daumal (da: “Le Mont Analogue : Roman d'aventures alpines, non euclidiennes et symboliquement authentiques”, 1952): «On ne peut pas toujours rester sur les sommets. Il faut redescendre…/ Aquoi bon alors? Voici: le haut connaît le bas, le bas ne connaît pas le haut. En montant, note bien toutes les difficultés de ton chemin; tant que tu montes, tu peux les voir. A la descente, tu ne les verras plus, mais tu sauras qu’elles sont là, si tu les as bien observées./ Il y a un art de se diriger dans les basses régions, par le souvenir de ce qu’on a vu lorsqu’on était plus haut. Quand on ne peut plus voir, on peut du moins encore savoir.» (“Non possiamo restare sempre in vetta. Dobbiamo tornare giù.../A che pro allora? È proprio questo: il sopra conosce il sotto, il sotto non conosce il sopra. Mentre sali prendi nota di tutte le difficoltà che incontri sul tuo cammino; finché sali, puoi vederle. Durante la discesa non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai osservate attentamente./ Esiste un'arte nell'esplorare le regioni più basse, ricordando ciò che abbiamo visto quando eravamo più in alto. Quando non possiamo più vedere, possiamo almeno ancora sapere.). E per sapere “Non basta aprire la finestra” d’Alberto Caeiro…

Ohnivý keř

Questa brama di conoscenza si palesò repentinamente su quel percorso peripatetico romano che prese una piega più intimistica, e al di là d’una segreta rivelazione mistica da parte d’un “roveto ardente” (Ohnivý keř): «Mi domandò se potevo predirgli oroscopicamente l’epoca e il giorno della sua morte: mi sarebbe stato concretamente riconoscente per questo. A me non fa paura la morte, ma preferisco che, per chiunque, essa giunga in punta di piedi, inattesa.».

Toro, ascendente Vergine, con Venere, Nettuno, Plutone e Lilith in Gemelli, Marte in Ariete, Giove in Bilancia…

«L’oroscopo di Evola suscita in me l’immagine di un albero: esso, infatti, ha sulla cima (nel mezzo del cielo) una forte corona di pianeti e in basso, alla radice, due pianeti molto potenti, Saturno e Urano in una larga congiunzione. Urano è il pianeta delle forti scosse, dei terremoti e, naturalmente, l’ha colpito rendendolo invalido; Saturno, il padrone della materia, in quarta casa, dà una radice molto profonda e forte e non ha permesso che venisse distrutto; ha voluto, anzi, che egli assolvesse i suoi compiti, perché doveva ancora dare molto di sé. Marte è in ottava casa, in buon aspetto con Saturno; questa casa rappresenta il campo magnetico della piccola morte, perciò il suo organismo è stato parzialmente distrutto, ma la sua forza vitale è rimasta intatta e continua a sostenerlo./ Qualche volta, in sogno, ho veduto questo albero in una atmosfera tempestosa e ogni volta ho potuto constatare che un’altra crisi si stava abbattendo su Evola. I due luminari, Sole e Luna, si trovano sul punto culminante del suo oroscopo, affiancati da Mercurio, da Nettuno e da Venere; essi gli danno le forze creative, artistiche e passionali indistruttibili di cui abbonda, ed una fervida immaginazione. Al momento della sua nascita si alzava all’orizzonte il segno del Leone, però, a mio avviso, il suo vero, invisibile padrone è Saturno: il Guardiano della Soglia.».

Antipopolare o anti-populista?

Per molti, il pensiero di Evola può essere considerato uno dei sistemi più radicalmente e coerentemente antidemocratici e antipopolari, anti-egualitari e  antiliberali, del XX secolo. Autore di libri su temi quali quelli metafisici della guerra, o del sesso, in genere, e di Tantra, buddismo, taoismo, Santo Graal ed ermetismo, in particolare, i suoi interessi hanno spaziato dall'alpinismo alla filosofia, alla storia ed essenza delle civiltà, dalle varie tradizioni mistiche e religiose coinvolgenti la classicità e l’Oriente alla recente decadenza del mondo contemporaneo.

Un manifesto battagliero!

La gran parte delle teorie e degli scritti peculiari di Evola sono incentrati su spiritualismo e vita interiore, ma, quella che può essere generalmente intesa come una trilogia principale delle sue opere comprende in buona sostanza: Cavalcare la tigre (1961), Gli uomini e le rovine (1953) e Rivolta contro il mondo moderno (1934); quest’ultimo, soprattutto, una vera e propria “metafisica della storia”, dove ha presentato il “suo” mondo della Tradizione, costituisce un invito a contrastare con tutte le forze quest'età oscura (Kali Yuga) d’oblio spirituale, devianza organizzata e scatenati appetiti materialistici, onde richiamare tutti a una rinascita primordiale e reintegrazione dell’essere.

I quattro yuga indù

La storia viene letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età della tradizione occidentale esiodea: oro, argento, bronzo e ferro, corrispondenti alle induiste: satya, treta, dvapara e l’attuale. Ne consegue la rivalutazione della necessità d’una riorganizzazione sociale che tenga conto d’un corrispondente ordine di caste (saVarṇa: Brahmini, Kshatriya, Vaishya, Shudra; aVarṇa: come i dalit), nell’accettazione dell'esistenza d’un ordine fisico e d’uno metafisico (saṃsāra), e nell’osservanza della “dottrina delle due nature”, secondo un’interpretazione,  in chiave spirituale ed esoterica, della primordiale tradizione relativa a un’ideale epoca super-storica.

La dottrina delle due nature

La dottrina delle due nature si prospetta come la pietra angolare di tutta questa ontologia, poiché tra il mondo moderno e quello della Tradizione v’è la differenza del visibile e tangibile che maschera il “Sovramondo”, principio della vita vera; un ordine fisico che sovrasta il metafisico, una natura mortale più appariscente dell’immortale, una regione superiore dell’essere subordinata a quella infera del divenire.

Una “guida a tutte le altre”

Su “Fuoco Segreto  - lettere, interviste, documenti, testimonianze, inediti, (introduzione di Joscelyn Godwin, Mediterranee, Roma 2024) vengono riproposti due capitoli tagliati da Rivolta contro il mondo moderno, assenti nell’edizione critica ristampata a fine anni ’90. Di questa che Evola giudicava “guida a tutte le altre”, per via delle radicali revisioni effettuate nel tempo, esistono infatti tre versioni differenti che hanno trasformato un primitivo manifesto metapolitico (Hoepli, 1934) nella narrazione d’una personale Weltanschauung (Mediterranee, 1969) su uno specifico Zeitgeist, o meglio «Was ihr den Geist der Zeiten heißt» (“quello che tu chiami lo spirito dei tempi”, nel Faust di Goethe).

All’edizione intermedia (Bocca, 1951), manca l’appendice sul Graal, in quanto nel frattempo l’argomento era stato organicamente sviluppato ne Il mistero del Graal (1937), mentre, nell’ultima edizione del ’69, in maniera non altrettanto spiegabile, non compare più il capitolo su Lo scettro e la chiave.

Giano clavigero

L’attribuzione d’una “chiave” e d’uno “scettro” al Giano bifronte, altrimenti considerato portatore di due chiavi, sarebbe l’interpretazione esoterica maggiormente corretta del dio ancipite (anceps da am-bi- ‘da due parti’ e caput ‘testa’). Oppure, al posto della chiave aurea, lo “scettro” e di quella d’argento una sfera (mondo), sormontata da una Nike (Nίκη) alata (e perché non un Palládion, Παλλάδιον?), sostituita poi, con l’avvento della nuova religione semitica, dalla croce cristiana.

Deva-yâna e pitri-yâna

Le due chiavi sarebbero riferite ai solstizi, e alle altrettanto gemine vie dell’oltretomba: deva-yâna e pitri-yâna, in un’appropriata associazione con Ecate anch’ella “clavigera” e custode delle porte, l’una dei cieli, l’altra degli inferi.

Principio olimpico e principio ctonio, forze sovra-mondane e forze naturali, grandi e piccoli misteri.

Hīnayāna, mahāyāna e…  vajrayāna 

Anche il Buddismo viene comunemente presentato diviso in due tipi di insegnamenti, altrimenti definiti “sentieri”: il “piccolo veicolo” (hīnayāna) e il “grande veicolo” (mahāyāna), -  a cui potremmo aggiungere il vajrayāna  (“veicolo di diamante”), legato al mahāyāna, ma che potrebbe pure venire considerato una “terza” via: fulmine/diamante da riconnettersi alla “pietra celeste” e all’«occhio interiore», o ājñā, oppure all’ureo.

L’Homme et son devenir selon le Vedanta

Seguendo René Guénon (L’Homme et son devenir selon le Vedanta, 1925), nella Tradizione induista, pitri-yâna indica la “Via degli Avi” (gli esseri del ciclo antecedente, generatori dell’attuale), percorsa da coloro che, non avendo ottenuto la Liberazione (mokṣa), rimarranno soggetti alla legge del saṃsāra e dovranno, pertanto, passare in altri stati di manifestazione individuale, senza poter superare la Sfera della Luna, dimora dei Pitri (Pitri-Loka) e, quindi, della memoria cosmica (ākāśa).

Il “settimo cielo”

Al contrario, chi, partendo dallo stato umano, otterrà la Liberazione (mokṣa) seguirà la “Via degli Déi”, o dêva-yâna, giungendo alla più elevata delle sfere planetarie, il “settimo cielo”, la Sfera di Saturno, o Satya-Loka (la “dimora dell’Essere/ Verità”), con approdo finale agli stati superiori della Realtà ultima, “verso l’assimilazione all’essenza stessa della Luce intelligibile”.

Nekhbet e Wadjet

La chiave lunare serve a evocare la sfera del mondo la chiave solare a dominarla. Nebti (nbtj, donne, o meglio due signorie) designa le dee Nekhbet e Wadjet quale coppia divinizzata, nonché stemma reale rappresentante un Egitto unificato. Dei due gruppi di segni geroglifici, il primo raffigura un grifone seduto su una cesta, il secondo sulla cesta mostra seduto un cobra eretto, anche se le versioni più antiche del nome Nebty, al posto del cobra, sopra il secondo cesto, recavano la corona rossa (Deshret) del basso Egitto.

La corona rossa o l’ureo

Delle due dee più importanti della regalità dell'antico Egitto: Nekhbet e Wadjet, la "signora dell'Alto Egitto" (Nekhebety) era Nekhbet ("lei di Nekheb"), "signora del Basso Egitto", Wadjet (Egitto: Wadyt; "colei che prospera" o semplicemente "signora del verde").

Mwt-niswt

Nekhbet era venerata quale "madre celeste del re", come espresso nel titolo della regina dell'antico Egitto Mwt-niswt ("madre del re"). Mentre il cobra di Wadjet era considerato il "serpente del diadema celeste sulla fronte del re", che si credeva sputasse fuoco contro chiunque osasse affrontare il faraone.

L’ureo sulla fronte: un occhio per due sguardi

Fu questo comportamento protettivo a rendere  Wadjet molto popolare, tanto che già nei primi tempi dinastici erano diverse divinità a venire raffigurate con un ureo sulla fronte.

Due occhi dello stesso sguardo

Signore delle due corone, dominatore delle due terre riunite (sam Taui, dove Taui o Tawny significa "delle Due Terre", Alto e Basso Egitto, il nord e il sud), sono gli attributi faraonici che ricompongono le due metà di Horus e Seth; dunque, la sintesi della forza primordiale ctonico-vitale e del principio trascendente che la domina.

Le secret de la chevalerie

Il capitolo sul Graal, espunto dall’edizione intermedia di Rivolta contro il mondo moderno (Bocca, 1951), commentava alcuni motivi de Le secret de la chevalerie (1928) di Victor-Émile Michelet, ripresi da Guénon (Le Roi du Monde, 1927).

“Un” terzo occhio

La pietra frontale corrisponderebbe a quell’ūrṇā che contraddistingue il mahāpuruṣa, con un ricciolo tra le sopracciglia del Buddha, oppure con un punto circolare o a spirale (quale percorso verso il nirvana, o ancora un motivo yantrico, ovvero la linea semicircolare e il punto della sillaba "Om"); può trovarsi sulla fronte delle immagini buddiste anche come segno di buon auspicio; e occupa il posto del terzo occhio di Çiva, a rappresentarne la solare potenza folgorante, oltre che di visione in senso trascendentale.

Itara

Corrisponde all’âjñâ-cakra, centro di comando assoluto, nonché il più alto della “virilità trascendente”, o terza forma della virilità, linga, sotto forma itara, o potere d’attraversare la corrente del tempo (Shat-Chakra-Nirupana, o “Descrizione dei sei centri”, 32-3).

Secondo il Raghuvaṃśa di Kālidāsa (8: 88-90), itara significa “un altro uomo”, perché «i saggi dicono che la morte è lo stato naturale delle creature incarnate ed è la vita un cambiamento in quello stato…». 

“Un altro uomo” (itara) guarda alla perdita della vita come a «una porta verso la beatitudine. Quando ci viene insegnato che il nostro proprio corpo e la nostra anima si uniscono e poi si separano, dimmi quale persona saggia dovrebbe essere tormentata dalla separazione dagli oggetti esterni dei sensi?».

Potenza della visione

Nella saga del Graal, essendo lo smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero la pietra della profezia, è maggiormente messa in risalto quella “visione” in senso trascendentale che riprodurrebbe la facoltà del vaso Azewladur della tradizione celtica, del quale cantava il bardo Taliesin: “ispira il vaticinio, dà la sapienza…”. Mentre la bodhi (risveglio e illuminazione) è quella superiore “visione ciclica” che riconquista lo stato primordiale, distruggendo quello mortale.

Lapis niger

Caduti dal cielo, gli aeroliti son pietre della folgore. Un sasso nero, un recipiente mistico e una lancia provenivano dall’Avallon. Un lapis niger apriva a Roma la via sacra e sempre dal cielo, quali meteoriti, erano pervenuti gli ancilia dei Salii, nonché Pignora imperii. Les pierres à foudre (Voile d’Isis, p. 437-8, 1929) di Guénon sono asce di silice celeste, simboli della folgore.

La riconquista del Paradiso

La “coscia” ferita del “re peccatore”, se letta in greco μηρός rivela l’identità fonetica con Meru (altezza del Monte), la residenza polare del signore dell’universo, laddove Seth che deve riconquistare quel Pardès (altezza come il Monte, da cui Paradiso), contiene l’ambivalenza dei significati di fondamento e rovina, la quale, quest’ultima, attraverso una trasformazione eroica, ridiviene polo di riconquista, riconciliazione e reintegrazione.

Perché non siamo in Otto?

Non manca un’annotazione pitagorica relativa al numero delle facce della pietra intagliata, che è quadrato di dodici, numero solare e dei cavalieri della tavola rotonda del ciclo arturiano.

L’uomo “differenziato”

Se “Fa’ quello che dev’essere fatto”, senza turbamenti di sorta, pare il succo di Rivolta contro il mondo moderno (1934). “Fa’ sì che ciò su cui non puoi nulla non possa nulla su di te” è la formula centrale di “Cavalcare la tigre” (1961), che incoraggia una severa “disciplina” (sādhanā) portata alle estreme conseguenze.

Il tipo umano a cui venne dedicato era l’uomo “differenziato”, interiormente appartenente alla Tradizione, eppure ancora materialmente ancorato al mondo moderno. Prima, perciò, di pensare a delle azioni esteriori, ci si dovrebbe occupare di quelle interiori, radicate in profondità, e innanzitutto della formazione di sé, contro tutto ciò che si mostra sfuggente e informe.

Übermensch

All’uomo potenziato all’eccesso, alla Nietzsche (Übermensch, oltre-uomo, superuomo), Evola affiancava l’Iniziato, non più uomo, che ha radicalmente cambiato la propria natura, mediante un superamento del proprio essere fisico, tale da riconnetterlo alla Tradizione spirituale. Anche se, per Guénon, le spiccate asimmetrie corporee sarebbero state un handicap concisamente squalificante.

Eudaimonia

Piuttosto, per cercare di rimuovere la barriera tra Io e non Io, psiche e natura, occorre impegnarsi a rafforzare la volontà. E sembra di trovarsi in prossimità della concezione dell’eudaimonia epicurea.

Fascismo eclettico?

Evola considerava la sua posizione politica nei confronti del Fascismo come quella d’un intellettuale conservatore (meglio, tradizionalista) di destra, comprensivo, disposto a riconoscere il potenziale di quel movimento reazionario, se pur eclettico, di cui però caparbiamente desiderava riformare gli errori, in una personalissima posizione molto più in linea soltanto con le proprie opinioni.

Apoliteia

Dagli stoici riprende il termine apoliteia: alfa privativo, ovvero “senza”, e πολιτεία, la cui traduzione non può essere semplicemente né “cittadinanza” (con annesso diritto di) e neppure “costituzione” (intesa come struttura organizzativa con relativo ordinamento giuridico), bensì “partecipazione”, che, in negativo diviene “impresenza”, impassibilità quale principale virtù () del Taoismo, un’invisibile e impalpabile possibilità di wei-wu-wei (agire non agendo); per Aristotele, polítēs (πολῑ́της) è infatti chi partecipa, e al plurale (πολίτες) questi partecipanti coincidono con la nazione stessa, tipo «Οι Αθηναίοι» (hoi Athēnaîoi).

L’Apolitìa evoliana consiste nel precetto del distacco dal mondo, e in una severa etica individuale, oltre che di critica alla società moderna, e soprattutto di rifiuto della fede nel progresso, mantenendo invece fede nell’esistenza d’una gerarchia spirituale e in un costante riferimento ai valori tradizionali come unica reazione al nichilismo improduttivo.

L’immobilità totale dell’uomo Evola avrebbe favorito forse un’altra libertà di movimento in vertiginosi spazi metacosmici aperti dal passaggio segreto nell’interiorità, dove indecifrabili procedure medianiche rendono inesausta l’insonnia che segue La dottrina del Risveglio (1943).

Una via evoliana al razzismo?

Ciononostante, uno dei suoi, per altro pochi, riconosciuti, “successi” politici riguardava il dibattito sulle leggi razziali non sottomesse alla concezione divenuta popolare in Germania, riduzionistica ed esclusivamente “materialista”, più sul biologico radicale che sul culturalista e spiritualista.

Jāt

In Italia, prese il sopravvento la “sua” difesa d’una considerazione “spirituale” della razza, intesa come stile e forza formatrice dall’interno. Una sorta di nostrana classificazione "jāti" (dal sanscrito Jāt, suddivisione) di tipo "romano-italico" (sforzatamente autonomo da quello tedesco), in cui la propensione di vita, quale atteggiamento mentale ereditario, corrisponda alla “razza dell’anima”.

Una via romana all’arianesimo?

L’idea classico-romana, o ariano-romana, veniva intesa come una tradizione di virile realismo, ascesi della potenza, dignità della persona, amore per la differenza, la gerarchia, l’Imperium, ovviamente soprattutto in sede culturale e spirituale.

Per Evola, infatti, non sarebbe affatto corretto parlare di “arianesimo” nel senso materialistico di “quel” nuovo razzismo germanico; semmai è lecito servirsene, in una concezione, né nazionalista né razzista, e al semplice scopo di descrivere affinità esistenti tra elementi linguistici ed etici, tipologie di culti, o istituzioni, di tutto un vasto gruppo di antichi, e grandi, raggruppamenti etnici, quale sinonimo di indoeuropeo.

Il “posto da vivere”

Nel sistema di pensiero orientale, e taoista in particolare, ogni individuo apparteneva all’una o all’altra casta per conformare a questa il proprio ethos (ἦθος, inteso come “posto da vivere”), e dunque il carattere personale alla disposizione della sua popolazione di riferimento.

Il karma

Nel modello evoliano di “mondo della Tradizione” non era prevista alcuna costrizione al fine del perseguimento armonico di se stessi nel contesto d’una nascita non considerata affatto “casuale”, bensì manifestazione d’una legge superiore al piano fisico, secondo le teorie platoniche e neoplatoniche, così alla stregua della dottrina induista e buddhista del karma (azione umana). A determinare la nascita è la natura, e non viceversa. La casta infonde lo spirito, ma si nasce in una particolare casta perché trascendentalmente già se ne possiede lo spirito.

Herman Wirth

Forse la controparte germanica di Evola sarebbe stato uno dei tre fondatori dell’Ahnenerbe (letteralmente: patrimonio ancestrale -  un altro era Walter Darré, autore di Neuadel aus Blut und Boden, 1930), il filologo, storico ed etnografo olandese, naturalizzato tedesco, specializzato nell'eredità primordiale germanica, Herman Wirth, che aveva iniziato le sue ricerche dapprima sulla cultura e il folklore della Frisia e sul discusso manoscritto in lingua frisone antica Oera Linda.

Urkultur atlantidea

Diresse due scavi nel Bohuslän svedese per studiare dei graffiti rupestri ritenuti una prima forma di scrittura ariana a testimonianza dell'esistenza d’una germanica "Urkultur" dell'antichità.

Come luogo d’origine della civiltà, individuava il continente scomparso di Atlantide, le cui vestigia sarebbero da identificare nell’arcipelago Helgoland (letteralmente "terra sacra"); i suoi abitanti sarebbero stati i primi ariani che, attraverso le loro colonizzazioni, a partire dal nord dell'oceano atlantico, avrebbero influenzato non solo le civiltà di Mesopotamia ed Egitto, ma anche quella dei nativi americani.

Lebensbaum

Gli atlantidei, secondo Wirth, avrebbero venerato un'unica divinità, il cui aspetto mutava a seconda delle stagioni, e suo figlio, Heilsbringer (portatore di salvezza).

Nella Böttcherstraße di Brema, sulla facciata dell’Haus Atlantis, ispirata a queste idee, venne rappresentato un Lebensbaum (Albero della Vita), che doveva simboleggiare gli inizi dell’umanità.

E, insieme con l’immagine arcaica della Ruota dell’Anno (Jahreskreis), il disco solare, una croce, su cui era appesa una strana figura di "salvatore di Atlantide", che combinava l'immagine del crocifisso con quella pagana di Odino.

Razza “storica”

Precursori della concezione spirituale della razza possono venire individuati in personalità, non esclusivamente fautori del pangermanismo, come il britannico naturalizzato tedesco Houston Stewart Chamberlain (Die Grundlagen des Neunzehnten Jahrhunderts, 1988), ma pure francesi, come Joseph Arthur de Gobineau (Essai sur l'inégalité des races humaines, 1853-4), o  Gustave Le Bon (Les Civilisations de l'Inde, 1893).

La teoria culturalista e spiritualista, insieme, di quest’ultimo, riprende da Joseph Ernest Renan il concetto di “razza storica”: fra le civilizzate non vi sono più razze naturali ma solo “storiche”, perché frutto di incroci, tuttavia ormai stabili e definite, per cui una purezza è da considerarsi “naturale” solo fra i selvaggi. Ogni razza possiederebbe un’«anima» specifica, che ne costituirebbe il nocciolo (aspetto interno), mentre l’aspetto esterno dell’anima sarebbe analizzabile fisiognomicamente. Motivo questo per cui le varie culture sarebbero destinate, da tale punto di vista, a restare incomunicabili e incommensurabili.

Patrocinatore britannico dell’eugenetica era l’atropologo Francis Galton; e al  francese Georges Vacher de Lapouge , socialista tra i fondatori del Partito operaio, si deve L'Aryen; son role social (1899) e Race et milieu social: essais d'anthroposociologie (1909).

Avversione all'internazionalismo proletario

La teoria fascista si sforzava d’avere un carattere di sintesi tra storia e ideologia in una direzione elitaria, con elementi attivistici d’avversione all'internazionalismo proletario, quasi più che alle supposte inferiorità: oppure, semmai, tanto anti-proletario quanto anti-colorato: il termine hindū che intende indicare il sistema delle caste, Varṇa, in devanāgarī, significa letteralmente "apparenza esteriore", "colore".

Non tenendo conto delle "risposte estreme", promulgate dal nazismo, legato principalmente alla questione ebraica, questa lettura apparirebbe contrassegnata dall'opposizione al tentativo di richiesta d’emancipazione da parte delle popolazioni schiavizzate. Per cui il negativo contributo italiano alla teoria razzista europea viene individuato negli ambiti più disparati: verso i popoli africani, nei confronti degli slavi, come delle popolazioni del Sud d'Italia, verso i criminali (secondo un punto di vista d’origine lombrosiana), e i malati di mente (per il oro comportamento deviante), relativamente alle donne (per “naturalizzazione” di genere), e, infine, contro gli ebrei, secondo posizioni dapprima d’origine cattolica, e successivamente laico-conservatrice.

Emancipazione semitica?

Nel nostro paese, gli ebrei costituivano un antico gruppo integrato nella comunità nazionale il cui ruolo nella vita economica era assolutamente irrilevante rispetto a quanto propagandato dalla pubblicistica antisemita. Il fatto che gli ebrei fossero numerosi in alcuni ambiti come quello dell'amministrazione e dell'università era dovuto principalmente alle conseguenze positive dell'emancipazione, dopo secoli di esclusione dovuti alla persecuzione cattolica.

Le leggi razziali italiane trovarono una loro contorta spiegazione, quindi, in fattori diversi di natura ideologica, e politica, e ancor più in tutta una serie di circostanze che fecero sì che tali fattori venissero fatalmente a incontrarsi in un clima di sudditanza all’alleato dell’Asse. Poiché in verità con le leggi razziali l'Italia perse numerosissimi esponenti della cultura umanistica e scientifica riconosciuti anche a livello internazionale, lasciando dei vuoti che neanche nel dopoguerra furono più colmati.  

La chiusura d‘un ciclo

Del resto, in ciò sembra concordare l’idea tradizionalista che la chiusura d’un ciclo non possa realmente avvenire fin quando, proprio per consentire l’apertura del successivo, le sue espressioni più negative non si siano esaurite.

Ragna- rök/ røkkr 

Dopo il Ragna-røkkr  ("il crepuscolo degli dei", ma la variante rök ha diversi significati, tra cui "sviluppo", "relazione", "destino", "origine", "causa"), sia secondo il Vǫluspá che il Gylfaginning, sorgerà un nuovo sole e una nuova razza; ma gli eroi divini, Æsir, nel tornare sull’Iðawǫllr (campo d’attività), ritroveranno di nuovo quell’Oro simbolico del luminoso Ásgarðr (Giardino degli Dèi) dello stato originario?

V’è qualcosa di più del perire, del gelo della morte, e della tragedia del fuoco, che non sia il divenire?

È di Clòto (in greco antico: κλωθώ, "la Filatrice") che John Buchan (barone Tweedsmuir) parla in The Three Hostages (1924): «Cercate, sotto il Sole di Mezzanotte/ là dove son raccolti i tardivi mietitori/ dove il seminatore sparge il suo grano/ nei solchi delle praterie dell’Eden/ cercate, accanto all’albero sacro,/ la filatrice che tutto profetizza e nulla vede». E forse neanche dice?

Il silenzio di ferro

«Jenseits des Nordens, des Eises, des Heute,/ jenseits des Todes,/ abseits -/unser Leben, unser Glück!/ Weder zu Lande,/ noch zu Wasser/ kannst du den Weg/ zu uns Hyperboreern finden:/ von uns wahrsagte so ein weiser Mund.» (Oltre il nord, il ghiaccio, l’oggi,/ oltre la morte,/ a parte -/ la nostra vita, la nostra felicità!/ Né a terra,/ neppure sull'acqua/ puoi trovare la strada/ per rintracciare noi Iperborei:/ una bocca così saggia profetizzò di noi. - Nietzsche Das eherne Schweigen -  71, Nachlass Sommer 1888).

Quest’estrema professione di fede dell’uomo nordico Evola la fa propria e la riconosce come classica, od olimpica, in Romanità, germanicità e la “Lluce del Nord” (L’arco e la clava, 1968).

Cambio dei candelabri

Le dottrine cabalistiche dell’Europa dell’Est fanno riferimento a un’inversione delle luci, che chiamano “cambio dei candelabri”, e d’un rovesciamento dei termini interiori della coscienza parlò pure Meyrink in Das grüne Gesicht (1917).

Fuoco segreto

Ancora non libero dalle limitazioni, persino simboliche, del proprio corpo, Evola si sottopose in anticipo alla prova filosofica del “Fuoco segreto” (“C'est le feu qui se relève avec son damné”), la prova suprema che avrebbe rivissuto, già assente a questo mondo, nella sua stessa immobilità paralizzante, nell’offrire la disponibilità dello spirito.

La parole obscure du paysage intérieur

I versi del poema di Evola, “a quattro voci” La parole obscure du paysage intérieur (Collection Dada, 1931): “Siamo volontà fredda che decompone, assassini dalle mani carbonizzate che fissano il sole” citano il Rimbaud di Nuit de l'Enfer (Une saison en enfer, 1873) –“C'est le feu qui se relève avec son damné” (È il fuoco che si ravviva con il suo dannato) -  e Matinée d'ivresse (Les Illuminations, 1873-1875) – “Nous savons donner notre vie tout entière tous les jours. Voici le temps des Assassins.” (Noi sappiamo dare tutta la nostra vita, per intero, ogni giorno. Ecco il tempo degli assassini).

Un paroliberismo futurista

In quest’opera, scritta in francese, e frutto del paroliberismo futur-dadaista ed esperienza simbolista, interloquivano quattro personaggi in rappresentanza delle tendenze dello spirito. Ngara (volonté) incarnava la volontà orientata verso lo scardinamento e un superamento distruttivo e dissolutivo; Hhah (abstraction désintéressée) l'astrazione disinteressata, corrispondeva alla rarefazione interiore che interviene per effetto del personaggio precedente; Raâga (contemplation descriptive) la contemplazione descrittiva, registrando le situazioni del paesaggio interiore che si succedono per effetto degli altri personaggi, svolgeva la funzione del coro tragico; l’unico personaggio femminile Lilan (sentiment) corrispondeva all'elemento “umano”, affettivo.

Maria de Naglowska

Ma questa voce femminile, M.lle Lilan, era identificabile con  quella tal Marija Naglowskaja fondatrice della Confrérie de la Flèche d’or, interessata alle potenzialità femminili della magia sexualis?

Come poetessa e persona coinvolta nelle pratiche occultistico-esoteriche, aveva la sensibilità idonea per entrare in una delle quattro voci dialoganti nel poemetto, e così in quella ricerca poetica d’assonanze e richiami sensoriali, per creare un linguaggio in cui a esprimere le sonorità vibrazionali della poesia era l’orgasmo interiore; quello che s’incarna nella “parola oscura” del titolo.

Satanismo femminista

Praticante del «femminismo magico-sessuale» (lo studioso svedese Per Faxneld lo ha inserito nel suo Satanic Feminism: Lucifer as the Liberator of Woman in Nineteenth-Century Culture, Molin & Sorgenfrei, Stockholm 2014), che poneva al centro dell’io spirituale una sessualità smodata e senza freni, giustificandola con l’intenzione d’attaccare il moralismo di matrice cristiana dell’epoca, in sostanza, assegnava, però, alla donna una totale autonomia magico-sessuale rispetto all’uomo.

E ciò che vale per la chiusura d’un ciclo (“cambio dei candelabri”) vale anche per il rovesciamento dei valori e per quelle false illusioni che ogni scatenamento negli abusi inducono a pensare possa significare essere liberi e felici.

La metafisica del sesso

Anche il sesso, ancor prima e oltre che nella corporeità, andrebbe vissuto laddove nasce, nell’anima, e in certa misura pure nello spirito; e, persino qualora dovesse disperdersi nel sentimentalismo, o al contrario degradarsi nello sfogo degli istinti, resta un impulso che adombra il mistero dell’unità e del sovrasensibile.

Il regno delle cause

Netta era la preferenza degli interessi di Evola al regno delle cause piuttosto che a quello degli effetti. E l’esteriorità dell’etica segna l’inizio della decadenza verso il compromesso, la convenzione, l’ipocrisia. Ciò corrisponde alla differenza tra l’estetica della cerimonia e il rito che invece richiede una partecipazione attiva dell’uomo (o donna) che nell’eseguirlo deve realizzare la sintesi tra la sua forza fisica e quella trascendentale.

L’uomo o l’androgino?

Potrebbe provenire dalla distinzione alchemica che sfocia nelle due vie, “secca” e “umida”, e dalla loro convergenza nell’Androgino, influenzate dal tantrismo e dalle opere di Otto Weininger (Geschlecht und Charakter, 1903) e di Johann Jakob Bachofen (Das Mutterrecht, 1861), quella personalissima interpretazione manichea dei sessi?

Wer groß denkt muß groß irren” (chi pensa in grande non può che commettere grossi errori).

Tuttavia, sembra che sulla base della considerazione heideggeriana: «Forse solo i miei errori hanno ancora la forza d’urto in un’epoca sovraccarica di correttezze cui però la verità manca da tempo» (Schwarze Hefte 1931-1938 - Überlegungen  V - 150), Evola non pretenda di convincere nessuno e lasci che ad andargli incontro sia soltanto chi già sente in sé quello stile di pensiero rivolto all’immanenza sovrannaturale.

Il senso della ferita, il senso della vita

Alla richiesta di ragguagli sulle sue condizioni di salute in merito all’incidente viennese del 21 gennaio 1945, da parte di Henri Hartung, l’autore di Unité de l'homme (La Colombe, Paris 1963), Evola rispose: «Morirò quando avrò compreso la ragione profonda di quella ferita.» (e si riferiva all’introspezione indù Viveka, o all’investigazione suprema, Atmâ-Vichâra, di Ramana Maharshi?).

La “grazia” di capire

In precedenza, a Clemente Rèbora: «Se una grazia dovessi chiedere, sarebbe piuttosto quella di capire il senso che, in sede di spirito, ha ciò che è accaduto – permanga la cosa o no; ancor più, di comprendere il perché del mio continuare a vivere… ».

E non è che non ci avesse riflettuto, se ne Il cammino del cinabro (1963), sempre in proposito, aveva scritto: «A dir vero il fatto non fu privo di relazione con la norma, da me già da tempo seguita, di non schivare, anzi cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte…».

Fortuna “ancipite”, come Giano

L’atteggiamento evoliano si rivolgeva a un’arcaica Fortuna, come Giano, “ancipite”, o “bifronte”, ma neutra rispetto alle conseguenze del destino: dal latino fors, “caso”, che allude a “una” possibilità che può rivelarsi, nel tempo, sia propizia che sciagurata. Stoicamente, a Vienna, aveva sfidato Fortuna Huiusce Dei, cioè “del momento”; in seguito, nel parlarne, provava a conciliarsi invece i guasti ormai passati (Fortuna Respiciens).

La sfera intermedia di Guénon

Evola aderiva, dunque, all’idea tradizionale che ritiene “voluto” tutto ciò che accade sulla scorta d’una predeterminazione superiore?

Ne parlò con Guénon che, in proposito, gli raccontò d’essere stato paralizzato anch’egli, in preda a un non meglio chiarito “sortilegio”, aggiungendo che pure Maometto aveva subito degli incantesimi, e prospettando così la teoria d’una zona, tra quella fisica e la spirituale, “intermedia” e soggetta alle influenze sottili, in grado di rendere vulnerabile chiunque.

Il cammino del cinabro

C’è chi sostiene che Il cammino del cinabro sarebbe stato concepito come se fosse dovuto uscire postumo, essendo stato compilato per chi avesse voluto abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’attività di tutta una vita. Ma, come afferma il fenomenologo dell’immagine Romano Gasparotti, l’esperienza evoliana non può ritenersi esaurita neanche a distanza di mezzo secolo, in quanto, ancora non è, forse, neppure incominciata (L’individuo assoluto e la magica potenza dell’immagine, in L’individuo e il divenire  del mondo, 2015).

Mehr Licht! - (più luce!)

L’importante, per un tradizionalista come lui, è che si avveri l’auspicio di Franz Grillparzer: «La speranza è che coloro i quali hanno vegliato durante la lunga notte possano incontrarsi con quelli  che verranno nel nuovo mattino» (Der Traum, ein Leben, 1834).

Come Meyrink, a torso nudo, s’apprestò ad attraversare l’estrema soglia fissando all’alba l’isola delle Rose (Roseninsel) al centro del lago di Stanberger, anche Evola, prima di spirare, volle essere portato dinanzi alla finestra del suo appartamento di fronte al Gianicolo, onde osservare un’ultima volta, “in piedi”, il Fontanone dell'Acqua Paola, quasi per farsi ispirare da quell’antico arco di trionfo; e solo lì, allora, la sua forte fibra cedette. Perché: “Não basta abrir a janela/ Para ver…”.

Da come Evola, negli ultimi giorni d’esistenza terrena, sembrò andare incontro alla sua dipartita, si potrebbe ipotizzare che l’astrologo Waldner l’avesse in qualche modo avvertito.


 

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10 Settembre 2024

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