Di sicuro le cose si possono fare. Ma ci vuole gurro.
E cos’è il gurro? Ebbene, in dialetto calabrese Gurro, o ngurro, vuol dire pazzia, fregola, fissazione, forse convinzione che una cosa si possa fare al di là delle storiche aspettative.
Siamo abituati a considerare il termine in accezione negativa.
Ovvero “quello tiene gurro”, ovvero ha voglia di guastare i piani, di smontare l’ordine costituito. Veramente, mentre scrivo, tanto negativa non mi sembra, questa accezione.
Diciamo che è una accezione che fa eccezione.
Ovvero, siamo proprio certi che avere gurro non sia quella marcia in più per fare cose altrimenti ritenute, quantomeno, difficili?
Non sono forse le eccezioni che diventano eccezionali?
Ecco, da qui, da persone ngurruse, è nata la tre giorni di Melito, definita Percorsi Letterari.
Non mi soffermo sul programma dei giorni ormai trascorsi.
E che, in consuntivo, posso dire hanno registrato una buona partecipazione.
Basta così.
I social, la stampa, le voci tra i balconi come le connessioni di Domenico Dara (Breve trattato sulle coincidenze, pag.45, andate a leggerlo, se volete) tra nuvole e fili di panni stesi, hanno descritto ampiamente tutto.
Ma voglio soffermarmi sul Gurro, propriamente detto, ma nell’accezione positiva.
Perché, pensandoci bene, forse l’accezione negativa non esiste, se non nell’immaginario di chi vuole che le cose non si smuovano dal più statico immobilismo che porta vantaggio a chi sguazza nell’inazione.
Il vantaggio dei bradipi.
Forse, non sudare, e rimanere ben saldamente aggrappati agli alberi a mangiare foglie di eucalipto.
Mettiamoli da parte, come metafora.
I bradipi sono simpatici, gli ignavi no.
Si può fare cultura di strada e per strada soltanto se si è ngurrusi, e disposti a non concentrarsi sulla classica disamina dei presenti e degli assenti.
Occorre guardare ai puntini luminosi che caratterizzano le persone quando sono liete.
Accendono, come la trentina di persone che, terminate le letture sull’amore, sui sogni, sulle speranze e sulle utopie, hanno dato vita alla più bella di quest’ultima.
Ovvero rimanere incollati alle sedie, e chiedere il bis alla bravissima Giulia che ci ha cantato Faber, tra una parola ed un’altra, a chiacchierare.
Perché solo chi ha gurro mette insieme trenta e passa persone (mica le abbiamo contate come fa la prefettura alle manifestazioni fornendo numeri sempre diversi da quelli degli organizzatori) a chiacchierare sui sogni, le speranza, l’amore e le utopie!
Ma che sono questi toni trionfalistici, torniamo sulla terra.
Occorre diventare pietre rotolanti.
Rolling stones.
Mentre si rotola nell’utopia, che non è, a dispetto dei significati, un luogo che non c’è, ma una speranza, una anticipazione, una visione, ci si convince che il viaggio altro non è che la stessa meta.
Che gli obiettivi coincidono con gli strumenti, e che trenta (o forse più, mica le contiamo noi le persone) persone che si siedono insieme già fanno cambiamento.
Ma tutto questo perché, e sappiatelo, il gurro, che è un sottotitolo della bellezza, cambierà il mondo.
E lo cambierà davvero, ma solo se proseguiremo a rotolare.