Il 30 maggio al Cinema Vittoria di Locri, in una sala piena e attenta, è stato proiettato Kalavría, il lungometraggio racconto di un esule senza patria (Ivan Franek), che nel suo vagare inspira il sentimento di fratellanza come pilastro dell’esistenza. A condurre l'evento è stato il giornalista Enzo Romeo, che ha dato la parola all'attore Domenico Pantano, molto conosciuto e stimato per il suo impegno ultratrentennale nella Locride e alla regista Cristina Mantis, che hanno catturato l'attenzione nella presentazione del film, anche documentario: un racconto fatto di tanti tasselli che, minuto dopo minuto, trovano il loro posto con un andamento ipnotico. Il ritratto e quello di una terra attraversata da vividi contrasti, da lacerazioni mai sanate a causa di un’ingiustizia che appare senza rimedio, ma anche quello di una Calabria per molti aspetti sconosciuta, arcaica, in cui persone reali accanto e personaggi del mito, fanno una sorprendente staffetta per veicolare messaggi universali.
Circe (Agnese Ricchi) e Leucotea (Cristina Golotta) che parlano di Ulisse in modo appassionato, mentre le immagini delle spiagge infiorate di Cutro scorrono nel televisore di un’anziana, che a sua volta getta lo sguardo sui gradini fuori dalla sua finestra, dove è seduto proprio il naufrago di cui parlano le dee, arriva allo spettatore come una consecutio del tutto naturale.
Così come l’apparizione dello scrittore Gioacchino Criaco nelle immagini di quello stesso televisore, che parla in un bar in cui, per uno strano effetto ottico, vediamo irrompere lo spaesato Ulisse, che si mette in ascolto. Sono azzardi, riusciti, di una categoria di montaggio che cerca il coinvolgimento più per affinità emotive e elettive che per le consuete associazioni lineari.
La regista Cristina Mantis ha cercato compagni d'avventure per parlare della Calabria ancestrale, in particolare dell’area grecanica, come afferma durante la presentazione: "Dopo Alvaro, il racconto dell'Aspromonte sembra ormai prerogativa di Criaco. Nessuno come lui sa come addentrarsi e prendersi cura della "montagna lucente", che considera e ci induce a considerare, uno degli ultimi avamposti di magia selvaggia, di verità, in questo occidente beffardo, in cui l'uomo possa sentirsi libero di essere se stesso". Nel film, lo scrittore ritorna sulla tragedia di Cutro e sulla necessità di non seguire i dettami di un Occidente che ci vorrebbe indifferenti, “noi che siamo quelli che arriviamo e partiamo da duemila anni, noi che siamo terra dell’accoglienza dobbiamo rifiutarci di essere terra di funerali”. Le immagini a volte portano avanti in silenzio la propria contro narrazione, esaltata dalle musiche di Alexandros Hahalis sulle immagini di Gallicianò, Ruffo dell'Amendolea, e soprattutto Africo Vecchio, il paese in cui è nato lo stesso scrittore.
Nel borgo abbandonato dopo l'ennesima alluvione, giunge un cantante africano (Badara Seck), incuriosito dalla similitudine con la parola Africa. Immerso nel silenzio irreale che lo circonda, intona un canto struggente alle anime rimaste a presidiare il luogo, implorando queste speciali guardiane di prendersi cura della nostra umanità in cammino.
Il film si innalza spesso ad un livello poetico di rara e originale bellezza, anche nelle immagini ventose dei ruderi di Brancaleone, di Santa Maria de' Tridetti a Staiti, a Gallicianò, a Locri Epizephiry, dove Pitagora (Domenico Pantano) incontra il musico greco Hahalis e sentiamo rivivere i sublimi valori della Magna Grecia.
Restano ineludibili alcune domande. Una su tutte: perché questa parte di mondo è rimasto per così tanto tempo sepolto sotto una propaganda opaca e impietosa? E cosa fanno le istituzioni nazionali e calabresi per sostenere un altro racconto? La valanga di film degli ultimi anni, "ambientati" in Calabria, fanno a volte piacere, ma non ce la raccontano. O peggio lasciano l’amaro in bocca di rivedere sui grandi schermi le stesse storie stereotipate, narrate senza rimorso. La Calabria si racconta da dentro, come ogni cosa. Con quella stessa pazienza antica e con la stessa fierezza e incanto di Kalavría, affinché qualcosa nella percezione cominci a cambiare.
Kalavría è prodotto da Movimento Film, Ganesh Produzioni, Centro Teatrale Meridionale e col sostegno di MIBACT, Calabria Film Commission e Regione Lazio Fondo Regionale per il Cinema e l’Audivisivo.