Arriva quel giorno “atteso” tutto l’anno. Quello che succede nell’attesa non conta. Il modello è sempre lo stesso, spettacolarizzare tutto: colore a tema, moda di esserci (in qualsiasi modo), testimonianze utili a soddisfare la curiosità altrui, gara a chi fa l’evento più bello e il messaggio promozionale più riuscito.
Quel giorno è un po’ come la vigilia di Capodanno: propositi, promesse a sé stessi (che non manteniamo quasi mai) e, soprattutto, abbracci con gente che durante l’anno riusciamo anche a schifare completamente.
È successo ieri: tutti uniti per difendere le donne. Ieri.
Succede oggi: ci vediamo il prossimo anno (ravviveremo i colori delle panchine rosse che, nel frattempo, saranno un po’ sbiaditi nell’indifferenza di tutti, donne comprese).
Giornate dove il problema c’è, ma se tra 364 giorni non ci dovesse essere, la giornata non si farebbe più. Quindi meglio che resti.
Giornate contro qualcosa, giornate per qualcosa. Così, ai “disgraziati” del mondo, viene concessa una giornata dell’anno dove, realmente, non sono nemmeno messi al centro se non in maniera strumentalizzata. È, piuttosto, il loro “problema” a mettere al centro gli ipocriti (consapevoli e inconsapevoli).
Come può un’argomentazione che vuole opporsi alla violenza, riguardare una sola giornata (ma anche fosse una settimana, un mese), essere destinata ad un solo sesso e di un solo essere vivente?
Scorgiamo sfilate di inserti rossi, assistiamo a sviolinate e ruffianate, ascoltiamo storie (che meriterebbero attenzione) mentre diventano scoop e pettegolezzo. E ancora carnefici che sfruttano la possibilità di vestirsi da salvatori e, cosa più triste, vittime che a volte diventano carnefici.
Eccolo: il fallimento della “giornata” che nessuno ha mai ammesso (e, forse, mai ammetterà), partendo dal popolino fino al più alto titolato di ogni Stato (soprattutto occidentale).
Che se a una donna maltrattata, sostituiamo una incazzata che aizza le altre, stiamo sbagliando qualcosa. Se a un messaggio di sensibilizzazione equilibrato, diamo un impatto mediatico violento, stiamo seminando odio. Se “il giorno dopo” anche le famiglie serene smettono di esserlo, abbiamo condizionato in peggio il percorso di due compagni di vita, ma anche degli eventuali loro figli che, non dimentichiamolo, un giorno potrebbero cresce arrabbiati e, quindi, violenti.
Corrotta la famiglia, corrotto il mondo che, piaccia o no, gira intorno ad essa.
Un problema serio si affronta con serietà, altrimenti le violenze aumenteranno e si moltiplicheranno per via del meccanismo innescato.
Mentre scrivo ho le lenticchie che bollono. Voglio poter dire che se ci fosse stata la mia donna le avrebbe fatte meglio e non rischiare di essere chiamato maschilista, sessista, troglodita e tutto quello che si dice roboticamente in queste circostanze, senza lasciare diritto di spiegazione (il fatto stesso che si debba provare a darle è una sconfitta della civiltà). Si, sa fare la zuppa di lenticchie meglio di me, ma nel ragù probabilmente sono più bravo io e (sentite, sentite) mi piace cucinare più di quanto possa piacere a lei. Il fatto è normale, come normalissimo sarebbe che, se non mi piacesse farlo e a lei sì, la trovassi all’ora dei pasti ai fornelli.
Ahinoi le “giornate” e il loro modello, negli anni, hanno fatto sì che una donna che non si allinea alle altre venga etichettata come stupida, sottomessa, manipolata, debole, da salvare, da svegliare ecc. (alla faccia della libertà…).
Così, alcune donne si ritrovano spesso importunate da coloro che predicano e lottano (o, quantomeno, pensano di farlo) anche per questi due nobili principi: rispetto e solidarietà.
Una beffa bella e buona.
Nessuno si scaldi. Essere contro la violenza in generale (anziché di genere) non può e non deve diventare una colpa. Al contrario la cosa lascia uno spiraglio di speranza in questo mondo che abbiamo indegnamente contribuito a costruire dove qualcuno deve essere per forza contrapposto a qualche altro.
La parola violenza pesa già così com’è. Anche se in questi giorni sembra che se non si affianca “sulle donne”, questa acquisti il significato di “solletico”. Quello che conta è che tu abbia qualcosa di rosso addosso, spalmato in viso, o quantomeno che ti sia premurato di ri-postare una storia con l’hashtag di tendenza. Al diavolo se durante l’“evento” provi a dire che, lontano o vicino, ci sono disagi, ingiustizie, guerre, fame, che colpiscono tutti indistintamente, o se (peggio) ti avventurassi a raccontare la storia di un uomo distrutto, magari anche da una donna o, meglio, dai suoi problemi (giusto per cercare di rimanere coerenti e non cadere nella mentalità delle “giornate”). Non che avere un “problema” legittimi qualcuno a far male a qualche altro, sia chiaro (qui ormai bisogna sempre puntualizzare e chiarire…), anche se sicuramente vederlo in quanto tale può aiutare a risolvere le cose con distacco e dalla radice.
È lì che la lotta a una sola violenza genera diseguaglianze (tutto a un tratto ci vanno bene…), fazioni, squadrismi. Lasciandoci per il resto dell’anno più divisi, nervosi l’un l’altro, guardinghi, prevenuti. Soprattutto…più ignoranti e incoerenti.
Deleterie. Ecco cosa sono queste giornate. Dove nessuno si batte per un welfare che abbia priorità persino rispetto all’economia e la salute. Nessuno a pensare se in quella panchina rossa la gente starà seduta comoda a prescindere che siano uomini, donne, neri, bianchi, robusti, mingherlini.
Occorrerebbe lavorare senza timori e senza risparmi per la costruzione di una società serena, ma qui ci si distrae (perché questo si fa!) con “giornate” fine a sé stesse. E allora non lamentiamoci, donne in primis, se le cose non cambiano, anzi peggiorano. Denunciare (cosa sacrosanta. Altra precisazione inutile, ma opportuna di ‘sti tempi…) non risolve il problema dalla radice, bensì potrebbe riguardare solo il vostro orticello (con orticello non voglio sminuire minimamente… ennesima precisazione!).
Chi ci assicura dicendoci che sta affrontando la tematica, tentando di dimostrarlo con misure, codici rossi e roba simile, in realtà sta solo girando attorno alla cosa.
Occorre far caso al fatto nel corso degli anni qualcuno ci ha voluto divisi e distratti: destre e sinistre, bianchi e neri e, adesso, donne e uomini.
E ancora giornate…
“Giornata della sindrome di down”, “giornata dell’autismo”, altre simili. Solitamente in queste bisogna far sentire le “vittime” (non sono io a considerarli così, bensì lo stabiliscono le dinamiche delle “giornate” che istituiamo!) uguali a tutti gli altri (poi chi sono ‘sti altri e a che categoria superiore o protetta appartengano vai a capirlo…).
L’uguaglianza. Che disgrazia l’uguaglianza (anche se sopra ho scritto “diseguaglianze”, era fatto apposta).
Quando capiremo che la vera ricchezza è la diversità? Ci ostiniamo a illuderci di essere uguali quando invece sappiamo benissimo e senza alcuna ombra di dubbio che, per fortuna, siamo diversi. Ogni singolo essere umano e vivente è diverso. E allora perché dire a un bambino autistico che è uguale a tutti gli altri? Sarà colpa nostra se nel percorso della vita scoprirà di essere stato ingannato. Perché non dirgli che è meraviglioso così com’è? Forse perché siamo incapaci e, nel contempo, codardi. A tal punto da istituire una giornata dove farlo sentire altro, renderlo talmente felice da rischiare di rifiutarsi per il resto dei giorni che non siano una “giornata”. Nel frattempo, insegniamo agli altri bambini che devono amare il compagnetto nella giornata in cui lui è uguale a loro, piuttosto che spiegare loro che sono diversi l’un l’altro a prescindere e per fortuna.
“Giornata contro il razzismo”? montagne di retorica. Anche qui, nessuno a parlare di come ridurre i divari tra i nord e i sud del mondo. Nessuno ad ammettere che, spesso, coloro che, se non odiamo, commiseriamo (parlo come un “normale”, ma in realtà anche io, da meridionale, subisco il cosiddetto razzismo), appartengono a terre che sono state depredate di ricchezza e, quindi, dignità.
L’importante è fare la “giornata”, assicurarsi che questa avvenga in tutto il mondo “evoluto” (specie nelle principali città delle nazioni che colonizzano le zone dove abita la gente che poi subisce il bullismo di razza), sensibilizzare con il solito modello. Giornate talmente deleterie che siamo stati capaci di creare anche il razzismo al contrario. E mi domando se sia più normale che questo sia realmente successo o che esista il contrario di un qualsivoglia razzismo (come se quello che esiste sia indiscutibilmente quello che abbiamo instillato nella mente).
E, pure in questo caso, ci vediamo il prossimo anno. Anche se questo argomento resta presente (forse in maniera diversa) pure nei “giorni normali”, ma solamente per fare il comodo di destre e sinistre (entrambe sterili, se non false) e tenere in piedi il gioco di chi ci vuole divisi.
Giornate, giornate, giornate…
Bene, di “giornate” moriremo. E con noi anche quel briciolo di dignità che ci è rimasto. Bisogna avere il coraggio (perché di quello si tratta e, a questo punto, ne serve tanto) di scrollarsi di dosso l’ipocrisia neoliberista.