In provincia di Reggio Calabria, sui monti aspromontani che degradano verso il mare Jonio, una piccola comunità di circa 100 persone parla una lingua antica che risale in parte alla prima colonizzazione greca, quando il Sud Italia era formato dalle raffinate città stato di origine greca che per cultura, ricchezza e potenza militare sopravanzavano la madrepatria.
L’epoca dei Bronzi di Riace, dei Pinakes locresi e delle altre magnifiche testimonianze custodite nei musei. La lingua greca era talmente radicata nel sud della Calabria che sopravvisse al periodo romano e risorse quando i bizantini occuparono la regione che divenne una delle province dell’Impero d’Oriente. Alcuni religiosi che non condividevano l’abolizione delle immagini sacre inaugurata da Leone III l’Isaurico e proseguita da altri imperatori, fuggirono da Costantinopoli e dai territori vicini, trovando rifugio in Calabria dove l’arte religiosa era tollerata. Molti monaci provenienti dall’Est e dalla Sicilia sotto il dominio arabo per quasi due secoli, ebbero ospitalità in Calabria. In questo periodo la lingua greco calabra si arricchì di termini più recenti studiati recentemente dal linguista Giuseppe Falcone che definiva la parlata essenzialmente bizantina. Questa tesi contrasta con quella del noto grecista tedesco Gerhard Rohlfs che ha vissuto parte della sua vita in Calabria per motivi di studio e che ha scoperto che la glossa greco calabra e molti termini dialettali, toponimi e cognomi di Reggio e provincia sono di origine greca e risalgono alla lingua di Omero. Più precisamente Rohlfs ne fa risalire le origini alla koinè dorico sicula, una lingua diffusa nel Mediterraneo nel periodo ellenistico.
Il linguista ha raccolto in tre corposi vocabolari del dialetto romanzo calabrese i termini di origine greca spiegando la provenienza delle parole. Un tempo l’area geografica che parlava greco si estendeva dal Tirreno allo Jonio e comprendeva i territori della Piana. Adesso si è ridotta alla cosiddetta cintura grecanica formata dai paesi di Roghudi, Bova, Bova Marina, Gallicianò, Chorio di Roghudi. Alcuni parlanti provenienti da questi piccoli centri vivono nei quartieri Modena e San Giorgio di Reggio e a Melito Porto Salvo. Com’è sopravvissuto il greco calabro fino ai nostri giorni? Questo fenomeno si spiega con l’isolamento secolare dei paesi interni che erano in grande misura autosufficienti. Gli spostamenti e i commerci con i paesi vicini non erano frequenti e avvenivano lungo stretti sentieri che attraversavano le montagne.
Nella seconda metà del secolo scorso furono costruite strade che collegarono questi paesi con il mare e gli abitanti delle isole linguistiche vennero in contatto con altri luoghi dove si parlava prevalentemente il dialetto o l’italiano. La nobile lingua di cui erano eredi veniva disprezzata dai forestieri che li chiamavano spregiativamente paddechi ossia persone rozze. Essi si vergognarono della loro lingua e smisero di parlarla. Solo negli ultimi anni si è capita l’importanza di questo dialetto neogreco che ha conservato termini antichi ormai persi perfino in Grecia e che sembra ormai destinato a estinguersi. Metà delle lingue conosciute sono svanite negli ultimi cinque secoli e se le stime si riveleranno corrette metà delle lingue attuali si perderà nel corso dei prossimi cento anni. Insieme ad esse verranno meno esperienze, valori, identità.
I poeti della comunità grecofona calabrese come Salvino Nucera scrivono in questa antica lingua con la traduzione a fronte. Alcune loro poesie illustrano l’attaccamento alla lingua dei padri che assurge alla dimensione del sacro. Sono molti gli studiosi che cercano o hanno cercato di valorizzare questa glossa oltre quelli citati in precedenza, ricordiamo gli amici reggini Franco Mosino e Domenico Minuto, il greco Anastasio Karanastasis. La Regione Calabria tutela le minoranze linguistiche greche, albanesi e occitane ma per quanto riguarda i greci le iniziative sono rimaste inattuate o non hanno avuto alcun esito sulla conservazione e la diffusione di questa tradizione. Per cercare di mantenerla in vita, alcuni volontari organizzano dei corsi frequentati da stranieri e italiani con provenienza e motivazioni eterogenee, accomunati dal desiderio di impedire che si smarrisca la memoria della cultura greco calabra.