I ricordi sono brace sotto la cenere. Basta smuovere un po' che vengono fuori. E mentre riscaldano, bruciano.
L'adolescenza dei ragazzi del 2000 e di quelli del 1961 è pressoché uguale. Cambiano gli strumenti di affermazione, ma non i rimescolamenti interiori. L'adolescenza è un percorso, non un disturbo.
Arrivò dentro un grande pacco, tipo aiuti umanitari, depositata quasi sul fondo, e ben ripiegata. Era il 1976. In radio qualcuno cantava "se mi lasci non vale". Ma io preferivo, nella mia cupezza, "Velasquez" del Professore. Ne feci subito una parodia, ne riscrissi le parole. E fu il primo sintomo di quella inguaribile malattia chiamata scrittura. Ancora oggi non posso ritenermi guarito. È incurabile.
Era una bella giacca, di velluto blu a coste medie, luminosa, ed era per me. Questa era la caratteristica più bella.
La indossai subito, riservandola alle domeniche di autunno inoltrato, come adesso. Mi dava sicurezza, con le sue tasche inutili, perché non avevo nulla da metterci dentro. Mi faceva sentire adulto. O forse grande, che è diverso. Per la verità mi stava un po' grande, in un corpo crescente. Ma poco male. In quei tempi di cura e riciclo avere le cose "in crescenza" era rassicurante. Con la giacca blu di zio Enrico passeggiavo con un paio di amici sul lato sinistro del corso Garibaldi, la domenica. Sul lato destro, in direzione quasi sempre opposta, chi su, chi giù, passeggiavano le ragazze. E non ci incontravamo mai. Nel mentre, Riccardo Cocciante graffiava con "Margherita”. E gli adolescenti, presi da quel senso di drammatico e ineluttabile che faceva della vita una poesia francese, pensavano e non si parlavano. Immaginavano e non si toccavano. I bacchettoni anni Settanta, a Melito, erano ragazzi pensanti sparsi nella sera.
È chiaro, ci furono altre giacche di velluto blu, nella mia vita. Tutte risucchio di ricordi. Nessuna come quella regalatami da zio Enrico, che adesso non c'è più. Quando si cambia giacca, si svuotano le tasche. Qualche spiccioletto per Enzo alla stazione di Gioiosa. Le chiavi. Il fazzoletto in stoffa, come gli antichi. I ricordi che mordono la sera, e passano di tasca in tasca, di giacca in giacca. Ma oggi, solo oggi, compresi il giorno zero. Il punto d'innesco di un incendio perenne. La brace ravvivata che brucia ancora.
Tutto avvenne dentro le tasche di una giacca blu di velluto, venuta dal Nord, in un pacco di cartone, per le domeniche d'autunno.
E di tasca in tasca, di giacca in giacca, arriva fino ad oggi, mentre si fa sera.
Ma nessuna malinconia. Niente si spegne finché si racconta. La scrittura è solido marmo, quercia secolare, eterna giovinezza.
LA GIACCA DI VELLUTO DI ZIO ENRICO
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Cultura e Società