Il riscatto degli Invisibili. Il riscatto di un popolo. Piazza San Giovanni gremita di persone, senza bandiere divisive di partito, con l’intento condiviso di alzare la propria voce, di farsi ascoltare. Sono stati questi gli Stati Popolari, tenutisi domenica 5 luglio a Roma, un condensato di attivismo, partecipazione, sana adesione al bene comune, elevazione di quell’arte millenaria che è la politica, divenuta strumento di mercificazione e perseguimento dell’interesse personale.
Un coro coeso, unito nel suo pluralismo, crocevia di storie, culture, emblema di quel cosmopolitismo dal quale possiamo trarre solo giovamento. Un’orchestra di giovani, fresche proposte, volti sensibili al mondo del sociale, estranei ai palazzi del potere, alle cosiddette stanze dei bottoni; un’orchestra diretta mirabilmente dall’attivista e sindacalista italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro, che sulle pagine del settimanale L’Espresso ha lanciato il proprio appello, un monito collettivo. Raffigurato nella copertina del numero di questa domenica su ispirazione del dipinto “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, emblema delle lotte di classe, egli ha manifestato la ragione e la forza vivificante l’istituzione degli Stati Popolari. La costruzione di un movimento dal basso capace di rifuggire dall’individualismo di una società alienata e asfittica, “capace di posare il peso dell’”Io” per alzare la leggerezza del “Noi”. La rivitalizzazione di un’anima comunitaria afflitta dai rancori della quotidianità, di una politica urlata e livorosa, acuente le disparità, gettando nell’abisso, nell’oblio gli ultimi.
Risultato? Emarginazione, povertà, iniquità sociale, conflitti intestini, per pervenire alla destrutturazione, allo sfilacciamento del tessuto sociale.
Ecco come l’invisibilità diviene condizione perpetua, marchio sulla pelle da non poter cancellare, stigma di biasimo, come se questa fosse dettata da una precisa volontà di essere dimenticati.
I braccianti. le donne, i precari, i discriminati, i disoccupati ieri hanno detto di no, non si sono genuflessi di fronte alla disarmonia di una realtà manipolata dal demone della convenienza.
“Una sinfonia d’unione” come ha detto Aboubakar, portavoce di istanze ma soprattutto di concretezza, con la redazione di un manifesto programmatico, contenente punti focali che la politica tutta ha dimenticato.
Un incubatore di idee, animate dal coraggio di esserci, dalla sete, dalla necessità ontologica di rivendicare diritti che dovrebbero essere assunti dell’essere, ma che invece non vengono garantiti.
Tanti gli attori di questa piazza, dal Movimento delle Sardine al Senatore e giornalista Sandro Ruotolo, così come il sostegno arrivato da eminenti personaggi dello spettacolo come Flavio Insinna e dalla comandante della Ong Sea Watch Carola Rackete.
Il popolo del senza: senza casa, senza lavoro, senza cittadinanza, senza tutele.
Politiche per l’accoglienza, Ius soli, “abolizione dei decreti sicurezza”, le richieste portanti del movimento, per archiviare la stagione dell’odio, per denunciare la condizione schiavile dei braccianti, dei rider, per acquisire finalmente una dignità, non soltanto giuridica ma umana.
La compiutezza dell’uomo è tale per la sua dignità; senza di essa, l’uomo è nudo.
E la nudità è stato l’innesco di quella rivolta, silenziosa e pacifica che domenica ha avuto il suo inizio.
Una piazza che risponde, implicitamente, a quella di sabato scorso, sciorinante gli stessi slogan nazionalisti che ormai suscitano ribrezzo per la stucchevolezza (come se non lo facessero già prima), di chi non si scompone nel mettere alla gogna ragazzini, avvalendosi della propria imponente, becera e inquietante macchina propagandistica sui social network.
Un Noi contrapposto al confine della limitatezza, al regresso culturale, al decadimento valoriale.
Un Noi di lotta civile antitetico all’esacerbazione di una crociata contro nemici immaginari, minacce per la patria.
L’umanità contro la disumanità. Il Popolo, quello vero, contro idolatri irretiti da un demagogo qualunque.
Gli Stati rispetto allo Stato, chiuso nel retrivo conservatorismo, propugnatore di una sovranità, che l’Italia non ha però mai perduto.
Gli Invisibili contro i bulimici invasori dei canali di comunicazione, immortalati a tutte le ore, con le giornate scandite dai pasti, dai noccioli delle ciliegie spolpate.
Sono questi gli Stati Popolari, peroranti una causa che, come soleva affermare il sindacalista Giuseppe Di Vittorio “se è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell'intera società, l'interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici.”