Scardinare le convenzioni, insorgere ai canoni prescritti da una consuetudine superata. È questo il messaggio che sta animando la protesta delle studentesse francesi nelle scuole. Una protesta che vuole sfidare l’abbigliamento canonico imposto dai regolamenti degli istituti. Le ragazze adolescenti hanno lanciato un appello sui social network a seguito della vicenda che ha coinvolto una ragazza in visita al Museo d’Orsay il 9 settembre, alla quale è stato negato l’ingresso a causa di una scollatura giudicata troppo profonda.
La direzione si è poi scusata con la diretta interessata, ma ciò non ha dissuaso il movimento femminista Femen a manifestare in maniera eclatante la propria indignazione. Circa venti giovani infatti si sono infiltrate e radunate in una sala, scoprendo il seno contro la sessualizzazione del corpo femminile.
Sulle piattaforme impazza l’hashtag “Liberazione del 14”, invito a vestirsi a proprio piacimento rispetto a una prescrizione di stampo “sessista”.
L’inottemperanza ai regolamenti ha reso la questione di dominio nazionale, costringendo anche le autorità a pronunciarsi sulla vicenda.
Il Ministro dell’Educazione Jean Michel Blanquer ha invocato «una posizione di equilibrio e buon senso: basta vestirsi normalmente – ha tagliato corto – e tutto andrà bene». Parole che non hanno fatto altro che alimentare la rabbia delle studentesse, le quali hanno rievocato esperienze dirette di molestie avvenute nel contesto scolastico. Il sistema è quindi imploso grazie al tam tam su Tik Tok e Instagram, social in voga tra gli adolescenti di tutto il mondo, in una rivolta che ricorda le contestazioni all’indomani del Maggio francese nel ’68, mobilitazione collettiva in cui il Paese d’Oltralpe si pose come precursore. La ribellione contro le pratiche censorie nell’abbigliamento ha travalicato i confini venendo mutuata anche in Italia. Il caso scoppiato a Roma, nel liceo classico e scientifico Socrate, il primo giorno della riapertura, discende infatti dalle medesime rivendicazioni.
La vicepreside dell’istituto ha infatti consigliato vivamente a una ragazza di quinta del liceo scientifico di non indossare abiti provocanti, per i quali “ai professori sarebbe potuto cadere l’occhio”. Una considerazione inaccettabile per la comunità studentesca che ha reagito coesa, affiggendo cartelli di denuncia contro il sessismo per i corridoi, richiedendo inoltre al preside di accoglierne le istanze e assumere provvedimenti. Quest’ultimo, interpellato dagli organi di stampa, ha spiegato “di non aver avuto nessun riscontro "fattuale o documentale" sul caso minigonne”, puntualizzando tuttavia che “il Socrate fa della libera espressione un punto fermo". “Gli unici limiti sono la Costituzione, il codice penale, e naturalmente un po' di buon senso”; ha affermato, promettendo di avviare degli accertamenti immediati. (cfr. La Repubblica; Agi). Anche il dicastero dell’Istruzione, su mandato del titolare Lucia Azzolina, ha fatto partire una richiesta di approfondimento. Una nota condivisa e avallata dalla presidente della commissione Scuola e Pari opportunità del Consiglio regionale del Lazio Eleonora Mattia, la quale ha espresso la propria solidarietà alle studentesse.
Quel che è certo è che la protesta non si arresterà: il Collettivo liceale auspica che questa rappresenti “l’inizio di una rivoluzione culturale, in cui la scuola deve giocare un ruolo fondamentale contro la colpevolizzazione delle donne”.
Al di là dell’adeguatezza o meno del vestiario nel contesto sociale-scolastico e quindi istituzionale, questa vicenda dimostra ancora una volta, con la sua valenza simbolica, la potenza comunicativa e la volontà dei giovani di andare oltre, nel nome di un attivismo positivo che forse gli adulti, colpevolmente, hanno accantonato. Le giovani generazioni, con il loro anelito di rinnovamento, hanno affermato la propria presenza, per un futuro scevro da pregiudizi, etichette, sessismo. Il loro è un appello corale per una società più giusta, eticamente moderna, fondata su un’ideologia egualitaria.
La rivoluzione è iniziata, staremo a vedere.