Divisione, separazione, scissione: «crasi»; qualcosa - che era «uno» - diventa «due». Il punto di partenza dell’analisi che Roberto Fineschi in questo suo Marx (Scholé, Brescia, 2021) mette in campo è, proprio, quello del «frazionamento».
All’inizio della storia della filosofia, infatti, c’era un «mondo» nel quale l’«essere» precedeva il «pensiero». Poi, è arrivato Hegel e ha «capovolto» il «mondo»; Karl Marx si è riproposto, a quanto pare: di «ri-capovolgere» il «mondo» e far dimenticare l’«oscuro» tentativo hegeliano di far antecedere il «pensiero» all’«essere». Ma il punto non è tanto questo! Filosoficamente, quello che Karl Marx si trova di fronte è un «mondo» nel quale l’«essere umano» è vittima di una «crasi».
Il suo «io» ha prodotto «qualcosa» che si è «oggettivata» facendo diventare «servo» di «sé stesso» ogni uomo. Ma visto che questo «qualcosa» l’ha prodotto l’«io» stesso: l’«essere umano» si è «scisso». Dentro la crasi, dunque, Hegel avverte la necessità del «superamento». E Karl Marx, alla stessa maniera, quello del «toglimento della contraddizione».
In definitiva: dire che il «pensiero» precede l’«essere» vuol solo dire che lo «spirito» produce tavoli, sedie e scrivanie. Marx stesso definisce la filosofia di Hegel come «spiritualismo» e come «misticismo». Dire che il «pensiero» ha la precedenza sull’«essere» vuole sempre dire: fa nascere la «crasi».
L’«autocoscienza» è il «motore» del «superamento» (dialettico) per la filosofia hegeliana; per Ludwig Fuerbach lo sarà la «Gattungswesen» (in termini più «umani»: l’«essenza di specie»); per Karl Marx: il «lavoro». Ecco come far deragliare la «crasi» e riportare il «mondo capovolto» alla sua origine: nel «mondo» così come i «giovani hegeliani» (dei quali Marx fa pure parte) se lo trovano davanti quella che mancava era la Realtà (il «lavoro», l’«attività materiale» di un uomo, il «processo reale della produzione» e il «modo di produzione»). Insomma, l’«idealismo» hegeliano (centrando tutto sullo «spirito») non riusciva a fare i conti con il «mondo» che «c’è la fuori», con il «mondo esterno» (dei filosofi «realisti» alla Maurizio Ferraris); centrando tutto sull’«autocoscienza» si «paralizzava» lo stesso «processo» dialettico (e quindi la vita) perché quella «proiezione» che l’«io» faceva partire da sé stesso (la verità, Dio, la rappresentazione, eccetera) si «irrigidiva», per cui l’«idealismo» diventava una vera e propria «filosofia della crasi» (più che della «crisi», come amerebbe dire Massimo Cacciari).
Il punto di partenza di Karl Marx è, dunque, il suo «maestro» Hegel. Una volta «ristabilito» il giusto «ordine del mondo» (almeno, a questo «alto» livello di astrazione teoretica) c’era dunque da chiedersi: come fare per realizzare tutto questo? Lo stesso Roberto Fineschi, in questo delizioso libretto, dice a un certo punto: «Marx sicuramente ha incoraggiato e promosso l’organizzazione del proletariato, ovvero della classe che non ha nulla da perdere se non le proprie catene». Questa «immissione» di Realtà (a questo punto sociale e politica) doveva dunque passare per alcuni «snodi concettuali» importanti: il 1857 (anno nel quale il Marx analista e critico delle altrui «posizioni teoriche» diventa, invece, «propositivo» e «autonomo» nella formulazione di un «articolato progetto che si pone come scopo di delineare la struttura di funzionamento della società nel suo complesso»), l’«alienazione», il «feticismo della merce», il «plusvalore», il «pluslavoro», il «plusprodotto», il «profitto», la «merce», l’«interesse», la «divisione del lavoro», la «manifattura», l’ introduzione delle «macchine» nella produzione, la «reificazione», la «tesaurizzazione», la «cooperazione», l’«accumulazione» del capitale e quella «originaria» e naturalmente i ben noti concetti di «materialismo storico», «materialismo dialettico», «lotta di classe» e «comunismo».
Dice una bella cosa lo stesso Fineschi a un certo punto, a proposito di quest’ultimo concetto: «Pensare il comunismo a partire dalla sfera del possibile e non del necessario forse permette di riformulare anche la sua prospettiva in termini più realistici e, forse, fattibili». Inteso come semplice «possibilità» (teorica ma anche pratica), il «comunismo» è, infatti, la «chiave» per «togliere la contraddizione» di cui si diceva. Gli «esseri umani» sono «giocati» da un «meccanismo» che, in una certa misura, può benissimo fare a meno di loro: «il modo di produzione capitalistico». In realtà, stando alla tesi centrale del «materialismo storico» («I rapporti materiali di produzione (la cosiddetta struttura) forniscono le coordinate generali all’interno delle quali è possibile concepire anche le forme ideologiche, giuridiche, istituzionali e spirituali in senso lato (la cosiddetta sovrastruttura) di ciascuna epoca») è la «struttura» (economica) a stabilire i «limiti» nei quali «L’umanità crea, produce e riproduce se stessa come elemento della natura all’interno del sistema naturale».
Per cui «io»-«uomo» sono fortemente «condizionato» da questa «struttura» al punto che la stessa Realtà, la storia e la natura mi appaiono sempre come «vincoli» (e «ostacoli») dello stesso tipo. Se ne ha che cresce una «sfera economica» elefantiaca e onniavolgente. Essa stabilisce la «vita» e la «morte». E dentro questa «struttura» emergono delle «forze produttive» e dei «rapporti di produzione». In questo senso - ma soltanto alla «condizione» che «l’equilibrio tra domanda e offerta indica al produttore la quantità che è necessario produrre» - quando subentra una «nuova» contraddizione (nel «capitalismo») tra «forze» e «forme» (ovvero, nel «modo di produzione»), tra «Relazioni sociali storicamente determinate che si sviluppano ed entrano in contraddizione con le forme sociali che avevano inizialmente creato ma che adesso risultano inadeguate allo sviluppo ulteriore delle forze produttive» occorre provvedere.
Per «togliere» questa «contraddizione» (che «aggiorna» quella di Hegel sostituendo all’«auto-estraneazione» l’«alienazione») c’è bisogno, adesso, non della «critica» giovanile alle tesi di altri autori coevi ma di una vera e propria «proposta» (teorica e pratica). Sarà la «magica» idea del «Capitale» (l’opera incompiuta cominciata a scrivere a Londra proprio nel 1857) a risolvere l’«arcano» di questa storia e se Francis Fukuyama ce lo permette: anche della «storia» stessa! Il «bisogno radicale», il «fondamento materiale», la «Realtà» (che mancava a Hegel) era la «capacità di lavorare». In un «mondo» nel quale magari l’«essere» precede - di nuovo - il «pensiero», tutto (però) si trova a essere «mercificato».
Anche il «lavoro» è una «merce» e dunque ha due «valori» («d’uso» e di «scambio») … A questo punto è chiaro che Karl Marx, riletto da Roberto Fineschi, ha buon gioco nell’indicare il «cuore» del problema. Per «togliere la contraddizione» occorre che chi «lavora» sia capace di diventare (in quanto «classe sociale» e non come «singolo individuo») una vera e propria «forza politica». Fineschi lo scrive a chiare lettere, addirittura: «Un punto importante è che per Marx tra le classi c’è lotta, ovvero esse hanno interessi strutturalmente conflittuali; secondo lui in tutta la storia, in forme diverse, il meccanismo dello sfruttamento è stato alla base delle relazioni sociali: ogni società produce un sovrappiù del quale non si appropriano i produttori, ma altri che non lavorano. Questo meccanismo di fondo cambia forme in diversi periodi storici, ma si mantiene; sono le forme via via determinate di questa intrinseca conflittualità a generare la contrapposizione sociale, politica e quindi il possibile cambiamento». Ecco che il «superamento» della «crasi» ci conduce, proprio, all’interno della «crasi» stessa.
Quell’«io» (quella «persona») che si era «diviso» (è questo il titolo di un bel libro di Ronald Laing) adesso con Marx diventa il protagonista di un «fatto storico»: «In quanto però la persona appare libera e uguale, pensa di instaurare lei, grazie alla propria azione volontaria, il rapporto sociale di scambio. Prodotta essa stessa dal sistema, crede di essere indipendente da esso e di crearlo. Non solo: in quanto “assolutamente” libera e autonoma, essa immagina il proprio entrare in relazione, come un vincolo, un limite della propria assoluta libertà. L’unico elemento in cui vede oggettivare quelle caratteristiche di assolutezza che sente proprie è il denaro, il vero dio del sistema della circolazione di merci.
E’ dunque “alienata”, la sua presunta natura universale e autonoma non esiste in lei nella sua pratica sociale, ma in un oggetto esterno che la domina». La «risposta» e la «proposta» marxiana a tutto ciò è: «Il superamento della lotta di classe, dello sfruttamento, vale a dire di tutte quelle categorie che avevano contrassegnato, secondo la stessa teoria marxiana, l’evoluzione storica fino a quel momento»: in una parola la creazione di una «società futura» che «supera, conservandole, le acquisizioni storiche del modo di produzione capitalistico».