Un terremoto di proporzioni epocali ha scosso il mondo del calcio. Il suo più autorevole esponente in attività, Lionel Messi, ha deciso di lasciare la casa del Barcellona. Una volontà espressa dopo il dissolvimento di quella realtà, macchina perfetta che era la squadra catalana, interprete di gioco e eleganza calcistica; una realtà durata ben 20 anni.
La sonora débâcle, a suo modo storica, rimediata in semifinale di Champions League contro il Bayern di Monaco, con un passivo di 6 reti (8-2 per i tedeschi il risultato al tabellino; tedeschi in seguito vincitori della competizione), ha messo a nudo le lacune e le manchevolezze di un gruppo così affiatato che pareva invincibile, inanellando negli anni successi di incommensurabile caratura.
L’umiliazione è stata tale che l’intero gotha dirigenziale del club è stato sollevato dall’incarico, mettendo in discussione l’autorità del Presidente Bartomeu; si è dato il via alla rivoluzione, edificata con la firma della vecchia gloria olandese di Ronald Koeman quale direttore dei lavori, in continuità con la tradizione orange del club (si ricordi l’ingaggio del cosiddetto “Profeta del goal” Johann Cruijff e del suo calcio totale, espressione coniata da Sandro Ciotti). Ma la ponderata e nostalgica scelta dell’allenatore, giocatore dall’89’ al 95’ con la maglia del Barca, non ha sortito l’effetto sperato.
L’universo calcistico, gravitante attorno ai più grandi campioni di tutti i tempi, si è quindi incrinato quando il nativo di Rosario ha formulato con fermezza glaciale la richiesta di andarsene. A costo zero.
È infatti questo un punto cruciale della telenovela che da una settimana campeggia sui rotocalchi globali, una questione che per il tifo sfrenato, i cultori del calcio, è di vitale importanza.
Messi potrebbe avvalersi di una clausola che gli consente di risolvere il contratto alla fine di ogni stagione, senza dover sborsare la penale di 700 milioni pattuiti al momento del rinnovo per la risoluzione unilaterale. Il problema concerne però le date dell’operazione: la possibilità di uscire gratis sarebbe decaduta dopo il 31 maggio, ma il fuoriclasse è convinto che, causa pandemia, si sia protratta di due mesi.
Il club ha intentato una battaglia legale, spalleggiato dal Presidente della Liga, il campionato iberico, contro Messi, con l’obiettivo di fargli pagare la clausola. Una serie già destabilizzata dall’addio di Cristiano Ronaldo (bandiera dei Blancos del Real Madrid, approdato alla Juventus due anni addietro) le cui casse si impoverirebbero definitivamente con i saluti del marziano argentino. Per questo il Presidente Javier Tebas ha annunciato l’assunzione di provvedimenti draconiani invitando i blaugrana a rivolgersi al Tas di Losanna per dirimere la vertenza. Il placet dell’organismo giudiziario costringerebbe gli avvocati della famiglia a sottostare agli accordi in essere.
La strada è segnata, la rottura totale. La Pulga, così viene chiamata negli ambienti, ha disertato l’appuntamento per il tampone prima della ripresa degli allenamenti, acuendo la distanza con la società. I tempi della cantera barcellonista sono ormai lontani e il club si sta snaturando. Ma al di là dei rumors di calciomercato, che poco interessano alla collettività, ma che comunque solleticano le pretendenti in platea (gli inglesi del Mancity avrebbero offerto al giocatore uno stipendio di mezzo miliardo in 5 anni), è interessante analizzare nel fenomeno Messi l’aspetto sociologico.
Non è solo il sistema calcio, finanziariamente parlando, ad essere coinvolto. L’addio del campione significherebbe il tracollo emotivo di milioni di persone, seguaci di quello che è forse considerato il migliore di sempre.
Impressionante è stata la mobilitazione, l’insurrezione di fronte al decadimento di quell’ameno eden, reso possibile dalla mitizzazione del singolo campione. Un catalizzatore di masse, di piazze intere, emblema di come il calcio sia religione, soprattutto in America Latina, di come il pallone sia sangue che scorre nelle vene, radicato nell’anima. E una scelta di cuore è stata la manifestazione spontanea per le strade di Rosario dei tifosi del Newell’s Old Boys; un raduno di migliaia di supporters brandenti sciarpe e bandiere, intenzionati a riportare a casa il loro eterno beniamino. Un appello caldeggiato dal Presidente dell’Argentina in persona, Alberto Fernandez, che si è augurato, nell’interesse culturale del Paese, un ritorno in patria in grande stile per chiudere la carriera.
Mentre l’Argentina trasuda di calore umano per il connazionale, i tifosi del Barca sono di tutt’altro avviso. Una frangia sempre più consistente ne stigmatizza il comportamento, ritenendolo il tramonto di un leader che ha evidentemente lasciato lo scettro. Il popolo catalano è quanto mai deluso e si schiera dalla parte del club; eloquente è l’immagine di un ragazzo in lacrime dinnanzi ai cancelli del centro sportivo. Un sondaggio indetto dalla televisione e pubblicato sul sito della testata Mundo Deportivo, ha attestato come il 79% dei tifosi rifugga dalla possibilità di lasciar andare Messi a parametro zero. Sarebbe un tradimento, inaccettabile. Pacta sunt servanda, (bisogna adempiere ai patti) direbbe il giuspositivista Hobbes, perché è legge di natura. Quel che è certo è che la doratura dell’idolo Messi, parafrasando Gustave Flaubert, rimanga sulle dita, rappresentando compiutamente la cultura dominante, idolatrica appunto, in questa trattativa di fine estate.
Una cultura, quella degli idoli, che ha saturato ogni ambito del vivere comune, anche la politica, con un esempio fattivo in casa nostra. L’esempio di un leader, fervidamente tifoso, così tanto da emulare, in uno dei suoi tanti post elettorali in quota regionali a fini propagandistici un paio di giorni fa, l’immagine di un noto prodotto dolciario a sfondo calcistico, ricalcandone pedissequamente lo slogan pubblicitario.
La vicenda ha scatenato polemiche da parte degli utenti social e dei consumatori, che hanno minacciato il boicottaggio del marchio.
L’azienda in questione, contattata dagli organi di stampa, ha confermato la sua piena estraneità: “Non abbiamo autorizzato nessun utilizzo del marchio Ringo". (cfr. La Repubblica).
Un suggerimento disinteressato allora al suddetto leader: la prossima volta provi coi salatini, nella società degli idoli attizza di più.