Era bello mio nonno Mario, in divisa.
Ricordo la foto in seppia, che sbirciavo mentre lui giaceva ammalato a letto.
O i suoi fucili antichi nell’armadio. Sembravano giocattoli.
Non ricordo quasi mai in piedi nonno Mario, se non nella foto in divisa da soldato.
Non manifestava minaccia, nell'elegante divisa, presumibilmente grigioverde.
Bensì compostezza. Eleganza.
La guerra con le sue atrocità era ben distante da quella marziale e raffinata rappresentazione.
E dai pensieri morbidi di un bimbo.
Da bambini si giocava ai soldati, ma non si moriva mai.
Anche la morte era distante dai nostri pensieri.
Venivano proposte dal catechismo formale prosecuzioni della vita ad Aeternum, che alla fine rassicuravano.
Il senso della vita stava tutto nei giochi e nello studio.
Più avanti altre stanze sarebbe state illuminate. O oscurate, dipende dai punti di vista, e da anche da ciò che si vuol vedere.
Mi piacevano molto le armi giocattolo, gli scoppi che facevano, premuto il grilletto contro ombre cattive ed a favore della Giustizia.
Da piccoli la Giustizia è sempre Giusta.
E i buoni e i cattivi sono due rive opposte di un fiume che non mischia le correnti.
In tv si moriva senza sangue, nei Western in bianco e nero.
Tutto era dolce e sfumato e si esaltava l'ultimo respiro, che nella realtà è un atroce rantolo di angoscia, sempre serenamente e tra le braccia dell'amata, che si accorgeva sempre l'ultimo momento dell'innamorato.
Non era troppo tardi. Tanto si proseguiva nel prossimo film.
Quando nei giochi venivo colpito e toccava a me morire, mi gettavo a terra per rialzarmi dopo ben poco.
Si resuscitava prima dei tre giorni canonici.
Il primo contatto con la morte, quella vera e rappresentata per come realmente accadde, fu nel 1968. Lo ricordo così, di getto.
Avevo sette anni e fu in America, e in televisione.
Bob Kennedy, colpito a morte a terra, mentre una persona gli teneva la testa, sembrava soltanto scivolato.
Ma era stato ucciso. Non resuscitò, e fu il primo assassinio praticamente in diretta televisiva, anche se sempre in bianco e nero, e senza sangue.
Esattamente come le guerre, sentite sempre distanti.
Del Vietnam non ho ricordi. Ero piccolo.
Ma altrove si moriva e si saltava in aria senza alcuna interruzione.
A Belfast si moriva nel cuore del vecchio continente, e in Asia, in Africa, pace per i popoli non ci fu mai veramente.
Solo giorni uguale e rossi.
Stavolta il sangue si vedeva un po’ di più. Gli occhi adulti e critici guardavano senza distogliere lo sguardo.
I Balcani sembravano un videogioco. Ma i bombardamenti “chirurgici” non colpivano i calcoli renali, ma esseri umani che un momento prima facevano cose.
Mangiavano. Dormivano. Facevano l’amore. Accarezzavano un gatto.
La normalità della vita e della morte.
Poi Bum. Nulla.
A vent’anni decisi di diventare obiettore di coscienza dopo che un paio di anni prima due giovani in jeans avevano partecipato ad una delle nostre ancestrali assemblee di istituto, parlando di questa scelta ed opportunità.
Pensate voi, nel liceo classico del 1978, senza esitazione, c’era spazio anche per questi incontri.
Il futuro dentro il passato.
Era l’anno dell’assassinio del Presidente Moro, ma anche della legge 180, la legge Basaglia che chiuse i Manicomi.
Era anno di crudeltà e civiltà.
Scelsi allora la pace e l’impegno, e non sono guarito ancora.
Amici, non esistono guerre giuste, ma solo guerre e tutte le morti sono innocenti, e nessun essere vivente dovrebbe soffrire.
L’odio rimane sempre una sconfitta.
Come in Vietnam, come in Ucraina, come in Palestina e anche, a pensarci bene, nei western in bianco e nero.
E l’uomo rimane sempre l’animale più stupido.
Condanna l’amore, comprende la guerra, a fa diventare più giusta una bomba di un bacio.