Vi ho costretti, spesso, a viaggiare con me, sulla "littorina" ansimante per la ferrovia della Locride. Vi ho parlato da dentro la pancia metallica di un pesce azzurro, rosso e bianco, con le tendine blu. Avete conosciuto i pakistani, i bengalesi, le insegnanti giovani e spaurite, i manager autoctoni. E poi tutti i doni dell'erranza ricevuti, che hanno nomi, volti e storie.
Ma non li farò i nomi. Sarò, per una volta, omertoso.
Il treno è diventato il contesto delle storie frullate e ricomposte su carta da un ladro impenitente come me.
E oggi vi farò diventare treno, dal di fuori. Messe a dormire le persone, come a volte fanno veramente, dondolate dal lento viaggio, passiamo ai luoghi.
Perché i luoghi sono persone, ed entrambi sono storie. Si parte alle sette e quarantatré da Melito, più o meno puntuali. Non si spacca il secondo in quattro. Manco in sei. Diciamo entro le otto si riesce a partire. Primo chiaro messaggio di dilatazione del tempo che, a pensarci bene, prolunga la vita, libera dallo stress e farà anche bene alla pelle. Forse. La prima fermata avviene a Bova Marina, ed è una porta. Oltre, comincia a sentirsi l'odore della Locride. In realtà i profumi sono uguali. Agavi, fichi d'india, mandorli a fine inverno, e mare. Tanto mare. Sembra di viaggiare in nave. La seconda fermata è a Brancaleone. Qui il profumo cambia. Si sente odore di pipa. Sarà sicuramente Cesare Pavese, che in realtà rimase soltanto otto mesi confinato a Brancaleone. Ma abbastanza per scrivere "il Carcere", ed iniziare "il mestiere di vivere". Che terminò alcuni anni dopo, insieme alla sua breve esistenza. Anatomia di un dolore. Dura fino a Bianco, che è la prossima stazione, questa sensazione di assenza, di vuoto, di tragedia lunga come lo scoglio nel mare dove faceva il bagno. Cesare si è perso per sempre nella pioggia. Si arriva quindi nella graziosa cittadina dal nome candido. Molti anni fa, prima di entrare a Bianco, ci stava un cartello con scritto "il bello del mare". Ma adesso rischio di dimenticare una cosa. Tra Brancaleone e Bianco si apre uno degli spettacoli più maestosi dell'intera Locride. Le scogliere di Capo Bruzzano. Le piscinette, piccole scogliere rasoterra, un monolite di colore giallo antico proprio in mezzo alla spiaggia, la scogliera che appare come tanti volti di uomini ed animali, più avanti. Ed un’ombra sul mare che cala alle cinque del pomeriggio, zittendo le cicale. È la scogliera che si abbassa ad aprire, prima che in ogni altro luogo, la strada alla sera. Dopo Bianco, Bovalino. Da questo momento in poi i paesi sono sorelle e fratelli. Poca solitudine tra di loro. Vivono accanto, e strade partono verso l'entroterra. Ma il treno non le vede, e va veloce. Per come può, e non verso il tramonto, come canta una bella canzone di pace, nonostante il titolo. E poi Locri, ed ancor prima si vedono gli scavi. E il museo. Lì i guerrieri greci appaiono a monte della ferrovia. Tra gli alberi arsi della controra. Ma sono sempre venuti dal mare. E Siderno. Due cittadine agganciate dalla doppia statua di Nosside. Di chi è Nosside? Se la poetessa è poesia, allora è anche mia. È vostra. È di chi la ama.
Da Siderno a Gioiosa, che chiamo ormai da sette anni la città della gioia, perché è stata mia nuova vita, è un salto. Quattro minuti appena. Il tempo di rendermi conto di essere rimasto da solo in treno, e di raccattare libro, zaino, occhiali, o procedere alla vestizione, in inverno. E già si scende. Ma la Locride continua con Roccella la Bella, Caulonia, Riace, Monasterace. Lì, dopo il faro, l'antica Kaulon chiude la provincia di Reggio. Inizia quella di Catanzaro, per ricordarci che siamo più fratelli di ciò che pensiamo. Ho citato i paesi che costituiscono sosta al correre lento della littorina. Non me ne vogliano gli altri, che sono meravigliosi, come Stilo, Sant'Agata del Bianco, Casignana, Africo. Per citarne alcuni. E il mio Palizzi, dove il treno si ferma poco, ed a corrente alternata. Ecco, mi viene in mente Karen Blixen. Vidi prima il film. Poi passai al libro, dopo anni. Ricordo come ieri il volo sulla savana di Meryl Streep e Robert Redford, sul piccolo aereo che poi, dopo, divenne la tomba di lui. Lei rimase legata all'Africa, alla sua gente, alla natura. Pensavo questo oggi, mentre dai finestrini scorrevano le immagini della Locride, e il treno era l'aereo di Robert. La mia Locride. Sarà difficile staccarmi da questi luoghi, da queste spiagge assolate, da questa gente, quando non avrò più motivo per andarci, tutti i giorni, per cinque volte a settimana. Avverrà tra qualche anno ma la saudade comincio a sentirla già addosso. E quindi penso alle contromisure. Una su tutte, trasformarmi nel vecchietto che saliva alla fermata di Brancaleone e scendeva a Bianco, abbracciando una cartella. Non lo vedo più e penso che occorra rimpiazzarlo. Mi candido io al posto vacante di viaggiatore esistenziale apparentemente afinalistico che viaggia tanto per viaggiare. Ma tanto, non l'abbiamo detto che lo scopo del viaggio è nel viaggio stesso? Adesso non so come chiudere questo pezzo. Potrei trovare mille artifici ad effetto, ma la realtà è una sola. Questo pezzo, che è una porzione della mia esistenza tra bellezza e rifugio, in realtà non lo voglio chiudere. Sembrerebbe di chiudere un capitolo di paesaggi e persone riconducibili alla Calabria più bella, ancestrale, mitologica. E voglio che rimanga aperto il più possibile. La vita non vuole chiusure, ma sguardi, tensioni, bollicine di pensiero.
La vita vuole incanti.