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Perché oggi fa più male? Perché fa sempre più male…
Non amo le ricorrenze da celebrare forzatamente, le Giornate mondiali, internazionali, nazionali, le date da cerchiare in rosso e i giorni con enfasi. Questi dì con l’accento, pur ammettendo il loro apprezzabile intento socioeducativo, mi hanno lasciato sempre un po’ indifferente, per quel tocco di ipocrisia, di attenzione e solidarietà di maniera che si portano dietro.
Non mi sono curata mai troppo, quindi, di questo 25 novembre, e non perché non conosca la storia delle sorelle Mirabal o non provi per loro lo stesso sdegno e rabbia e dolore che provo per ogni donna maltrattata, violentata, uccisa.
Credo di parlare per tante di noi, affermando che ogni caso di cronaca, in ogni giorno dell’anno, suscita gli stessi sentimenti di sempre. L’insopportabile presa d’atto che, per quanto il tempo passi, la condizione femminile ad ogni latitudine, corra sempre sul crinale della violenza, fisica e psicologica, del giudizio, della condanna.
In questi giorni la cronaca ce li consegna tutti i casi diversi dell’oppressione femminile: lo stupro efferato del miliardario imprenditore Genovese, con il conseguente processo alla vittima che non doveva trovarsi lì e il “quindi ci stava”; il revenge porn della maestra d’asilo licenziata; la donna uccisa con i suoi due bimbi piccolissimi perché voleva lasciare il marito “onesto lavoratore”; gli ennesimi femminicidi che si sono consumati nelle ultime ore, a Catanzaro e a Padova, ai due estremi della penisola.
Ma queste non sono coincidenze del caso che si è voluto esibire per questa giornata. In questo rincorrersi di episodi cruenti e odiosi vi è un messaggio molto chiaro, purtroppo. Non vi è soluzione di continuità per gli atti di violenza e molestia ai danni delle donne. Non ci sono paesi che si salvano, o strati sociali immuni. Sappiamo benissimo che, al di là delle leggi più o meno severe o dei servizi alle vittime, continuiamo a scontrarci con una cultura patriarcale, maschilista, paternalista, con un modello di donna che si impone da millenni, e che sta risultando estremamente difficile da scardinare.
Mi ritrovo a parlare con giovanissimi e giovanissime, e sento dalle loro riflessioni incredulità e sdegno di fronte a questi fatti: “Perché siamo ancora a questo punto?”; “Come è possibile che si giudichi la vittima?”, “Perché ci squadrano per strada e ci apostrofano in un certo modo?”. I miei perché si moltiplicano ai loro, e sono tanti: “Perché dobbiamo difenderci anche sul lavoro? Perché siamo pagate di meno? Perché dobbiamo stare attente a un sorriso in più, o a un silenzio in più? Perché devi avvertire, redarguire, ribadire e non puoi essere ascoltata e compresa e non fraintesa subito?”. E perché? Perché? …
La risposta sta nella cultura che ci portiamo impressa come impronta genetica, dal troppo poco tempo che abbiamo avuto a disposizione per cambiarla dal di dentro. La mettiamo in discussione, certo, ogni giorno. Ma non è sufficiente. Non basta mai.
E non basta mai il tempo per imparare. Ogni donna lo sa. Occorre apprendere in fretta le lezioni fondamentali: che dobbiamo tenere sempre la testa e la guardia alte, che dobbiamo stare attente a non farci limitare, ingabbiare, manipolare. Che mentre altri cercheranno di togliere, smussare, levigare, noi dobbiamo aggiungere, crescere, far lievitare le nostre vite e le nostre consapevolezze.
E c’è poco tempo per apprenderlo, giusto lo spazio di una vita, delle nostre vite, ognuna delle quali servirà per aprire squarci in una certa mentalità, creare nuovi comportamenti, stabilire nuovi atteggiamenti mentali, incidendo nella società e nella cultura di ogni dove. Passano le generazioni, e giovani donne crescono e dovranno affrontare le stesse situazioni, e molte, che hanno già capito, ci domandano e ci chiedono conto. E noi siamo già responsabili, siamo già colpevoli di fronte a loro. Non siamo stati capaci di cambiare abbastanza in fretta, stiamo consegnando loro un altro tempo oscuro e misogino, con nuove frontiere e nuovi strumenti di oppressione e tortura.
No, non c’è tempo. E ce n’è ancora di meno nell’era pandemica. Quando tutto potrà essere più difficile e pericoloso, perché sappiamo bene che in ogni crisi ci sono delle vittime designate, dei capri espiatori, delle streghe untrici e malefiche da mettere al rogo. Saranno loro a pagare, e a pagare in fretta, frustrazioni, solitudini, crisi economiche, perdita di lavoro, morti e malattie.
E quindi anche questo giorno è necessario. Anche questo giorno è indispensabile. Ben venga anche questo 25 novembre. Perché faccia male oggi più di ieri, e perché domani faccia più male di oggi. Forse perché quando questo dolore, perché è dolore quello che tutti dovrebbero provare se un essere umano, una persona, uomo o donna che sia, viene schiacciato, leso, stuprato, sarà ancora più ampio, si estenderà nel tempo e nello spazio, penetrando nelle vite di tutti, allora forse questo 25 novembre farà un po’ meno male. Giusto un po’. Quello sufficiente a non essere inutile.