Pubblicare un libro per poi venderne trecento copie, per appendere una pergamena a casa, o per avere una recensione su qualche blog di settore, per nutrire con l’ego il proprio curriculum... e poi basta, finisce tutto lì... a cosa serve? Meglio tenere le proprie opere nel cassetto? Non lo so. Oggi, di fatto, il risultato che ottiene un capolavoro non differisce molto da quello che ottiene una mediocre raccolta di appunti e, alla fine, è grasso che cola se chi legge il libro sono pochi amici e parenti. Tutto questo perché si pubblica troppo (e male), e oggi, con il "self-publishing" (si direbbe autopubblicazione), ancora di più, e peggio. Il mondo dell’editoria, rispetto ad anni passati, è molto, troppo affollato: si pubblicano oltre 70000 titoli l’anno, esistono oltre 3000 editori, si creano blog ad-hoc che non frequenta nessuno, si organizzano milioni di presentazioni per pochi intimi... Rispetto agli anni ’80, in cui si pubblicavano intorno ai 13000 titoli l’anno, c’è una bella differenza. E i lettori? Sono sempre intorno ai 23-24 milioni. Anzi, a seguito della pandemia si è arrivati a 26 milioni, ma ciò non giustifica l’enorme quantità di titoli che si pubblicano oggi. Permettetemi anche di sfatare il luogo comune che recita “oggi si legge meno”, basti pensare che negli anni ’50 la percentuale di analfabeti era vicina al 60% e fino agli anni Settanta è rimasta molto alta. Per questo oggi il potenziale è alto, ma con troppa carne al fuoco le opere di qualità sono difficili da identificare e poltriscono nel limbo.
Come fare, allora, per trovare l’opera di valore in questo proliferare di libri? Occorre un filtro. Certo, a questo servono molti dei concorsi che si fanno ogni anno; non parlo di quelli più celebrati, ma di quelli che sono animati da autentica passione, quelli che sono portati avanti con spirito puramente volontario. Ma chi li conosce? E aggiungo: come si fa a riconoscere quelli che sono affidabili? Qualche parametro per valutarne l’affidabilità può identificarsi leggendo i bandi, un dato molto importante è il tempo che intercorre tra data di pubblicazione del bando, data di scadenza e data di premiazione, questo vale soprattutto per le opere di narrativa e per le sillogi: se le date sono ravvicinate, di sicuro i giurati avranno difficoltà per valutare le opere che arrivano. Poi ci sono altri elementi, come la storia del concorso, la composizione della giuria eccetera, ma questi sono meno significativi in quanto i giurati possono essere degli ottimi valutatori pur se sconosciuti.
Andando avanti nel nostro ragionamento, parliamo di editoria, soprattutto la piccola e media che, con pochi mezzi e con molta fatica, propone al mercato anche libri validi ma, non avendo mezzi economici sufficienti per un lancio pubblicitario significativo, non riesce a dare grande visibilità all’opera, per cui vendere 300 copie diventa un successo planetario!
Successivamente dovremmo dire due parole anche sulle associazioni, che spesso fanno una dignitosa opera di promozione, ma che, ancora più spesso, limitano il proprio campo di azione ai soli iscritti e difficilmente coinvolgono il pubblico degli appassionati.
Insomma, siamo in una palude e non è sufficiente conoscerne le dinamiche per uscirne, occorre un’azione forte e significativa da parte degli operatori indipendenti e occorre, da parte di autori e degli editori, la voglia di fare autocritica per tornare a proporre cultura.
Ma come fare?
Tempo addietro pensai a una rete di associazioni che potesse identificare e segnalare opere degne di nota; insomma, le associazioni, insieme, in maniera del tutto indipendente, potrebbero formare una specie di comitato scientifico di qualità, super partes, non tanto per dare un premio, ma per segnalare le opere degne di nota, una specie di bollino di qualità... Per la promozione delle opere di valore ho anche pensato ad organizzare presentazioni incrociate tra associazioni, in modo che l’autore noto all’associazione A possa presentare la sua opera al pubblico dell’associazione B e viceversa, uno scambio di pubblico e di autori che porterebbe maggiore visibilità all’opera, se questa lo merita.
Ma poi ci si scontra con la cruda realtà e, piaccia o no, ogni associazione è un mondo a sé e tende a rimanere tale, come anche l’autore che ha pubblicato un’opera non matura difficilmente accetterà di averlo fatto. Già, perché nel nostro frastagliato fermento letterario nessuno ha torto e siamo tutti eredi di Montale e di Dostoevskij.
Allora fermiamo tutto? No, questo mai! Iniziamo a dire che occorre un filtro che possa da una parte dare un aiuto agli scrittori che non sanno come muoversi, e dall’altra aiuti il lettore a scoprire talenti meritevoli.
Ma andiamo per parti.
Esistono migliaia di editori, esiste l’autopubblicazione, esite l’editoria on-line... Iniziamo con gli editori. I parametri per valutarli sono, fondamentalmente, cinque:
- Qualità delle opere pubblicate (catalogo) – questo indica se l’editore è selettivo o no. Pubblicare la propria opera con editori che pubblicano di tutto, senza la dovuta selezione, è sbagliato.
- Editing – l’editore che non ha un servizio di editing va evitato. Non confondiamo la correzione delle bozze con l’editing, che è un servizio molto più complesso. Un buon editor è capace di dire “questo concetto scritto a pag. 30 lo ritroviamo a pag. 72; “questa parola la troviamo cinque volte in questa pagina”; “l’eccessiva aggettivazione non premia il componimento” e via dicendo, suggerendo modifiche o tagli che l’autore deve considerare e accettare, perché l’editor lavora per il bene del libro. Purtroppo, abbiamo due problemi: da una parte l’editor spesso è un tirocinante inesperto che ha paura di proporre correzioni all’autore, dall’altra l’autore non gradisce che si suggeriscano correzioni perché le sue parole sono intoccabili.
- Distribuzione – non è detto che una buona distribuzione porti il libro in libreria, ma è fondamentale che l’editore abbia ce l’abbia, questo per rassicurare i librai.
- Continuo rapporto con lo scrittore – un editore che segue lo scrittore proponendo concorsi, presentazioni, fiere, ambiti promozionali, o semplicemente facendo due chiacchiere con l’autore di tanto in tanto, è sempre meglio di un editore che propone chiacchiere. Alcuni editori beneficiano di programmi televisivi e radiofonici amici, a volte sono anche interessanti, ma nella maggior parte dei casi non sono seguiti da nessuno e sono inutili.
- Ufficio stampa – questo è il tallone d’Achille di molti editori, perché l’ufficio stampa, pur se efficiente, non permette grandi slanci promozionali. E chiariamo subito che un ufficio stampa degno di questo nome costa un bel po’.
Vi sono punti minori, che sicuramente possono essere oggetto di dibattito, ma a parer mio, se si soddisfano questi cinque, già siamo a buon punto. E aggiungo, meglio un editore a pagamento che soddisfi questi cinque punti che un editore gratuito che non li soddisfi. Un consiglio per gli autori: prima di firmare con l’editore “tale”, andate in giro per librerie (meglio quelle indipendenti) a chiedere cosa pensano delle sue pubblicazioni. Consulteranno il database e qualcosa vi diranno. Oppure rivolgetevi a un agente letterario. A parte alcuni pirati navigati esistono agenti che fanno il vostro interesse.
Parliamo ora delle responsabilità degli autori perché scrivere un libro (che sia una silloge o un romanzo) non significa essere poeta o scrittore, e perché la voglia di vedere il proprio nome in copertina spesso fa danni gravissimi. Certo, se l’editoria lo permette non si può dare torto all’autore che ci prova, ma se invece di lasciarsi guidare dalla voglia di pubblicare, l’autore si fermasse per un po’ e lasciasse maturare la propria opera prima di darla alle stampe, forse ne trarrebbe vantaggio. Diciamolo chiaramente: in qualsiasi arte occorre pazienza e lavoro, fattori spesso annegati nell’ego che, sebbene legittimo, impedisce di rilavorare la propria opera fino a sfinimento. E occorre che gli autori siano pronti a scartare le proprie parole perché occorre lavorare e rilavorare il proprio scritto fino a odiarlo, mai fermarsi alla prima stesura perché il genio, ammesso che ci sia, va sempre levigato. Quali sono, allora, i fondamenti della buona scrittura? Forse l’autore quando rilegge l’opera non deve guardarsi allo specchio perché l’arte non è mai vanitosa, semmai la vanità ne limita il potenziale. Certo, il mio pensiero è obiettabile, ma dopo aver letto e valutato migliaia di opere di autori contemporanei emergenti, posso asserire che in molte è mancato da parte dell’autore, a cui va comunque riconosciuto l’impegno, il distacco emotivo e passionale che gli avrebbe consentito di rivalutare l’opera allontanandosene, rileggendola come se non fosse lui l’autore. Questo distacco può anche suggerire di rifuggire l’effimera soddisfazione della pubblicazione, a vantaggio di una maggiore maturità. Per farlo senza sentire di opporsi alle proprie pulsioni artistiche, basta tener presente che se nessuno applaude le opere di valore, figuriamoci quelle che non sono mature; se la pubblicazione si rivela un passo falso nella carriera di uno scrittore, questi rischia di essere relegato alle retrovie aggiungendosi all’infinita schiera di aspiranti scrittori che rimangono nel limbo. E poi, anche se si scrive e si pubblica un’opera di grande valore, avere successo di vendita o di critica è puramente utopico e che la strada è sempre e comunque in salita, anche per l’esuberante quantità di pubblicazioni: identificare l’opera di valore, immersa nel “mare magnum” dei cataloghi, è una sfida titanica per librai e editori, quindi anch’essa potrebbe finire nel dimenticatoio.
Infine, non dimentichiamo mai che i lettori attenti non perdonano e quando un autore delude, sebbene la sua carriera letteraria non sarà finita, la sua reputazione sarà rovinata.
In conclusione, cari autori, per evitare il tonfo non c’è nulla di meglio che rivedere le stesse opere dopo anni di sedimentazione, alla luce delle nuove esperienze accumulate, essendosi allontanati da tutte le emozioni rappresentative di quel periodo, perché le emozioni sono effimere e la letteratura va oltre, non si ferma lì. E durante il periodo di sedimentazione occorre leggere, leggere, leggere… e imparare.
Infine, pubblicare meno e pubblicare meglio è l’unica strada da seguire per far sì che la letteratura contemporanea cresca e non affondi, come oggi, purtroppo, sembrerebbe voler fare.
(Pubblicato per gentile concessione di Dialettica tra Culture)