Cosa mi lega a Roghudi, non essendo roghudese? Mica facile la risposta. E soprattutto perché la risposta a questa domanda potrebbe essere di interesse collettivo?
Vediamolo
Conobbi la gente roghudese quando, nel 1973, la seconda alluvione rese pericoloso il loro vivere sul vascello in mezzo alla fiumara.
Si, perché Roghudi, visto dall'alto, ha esattamente la forma di una nave in mezzo al mare. Quel mare che, prima nel 1971, poi due anni dopo, salì sempre più verso le case a picco sulle acque.
Avevo dodici anni quando conobbi Mario, Pasquale, Domenico.
Ragazzini chiusi dalla parlata incomprensibile.
Ragazzini rifiutati, distanti, diversi.
C'è sempre un estraneo da isolare nella vita dell'uomo, fin quando non si guarda oltre la propria isola.
Un'isola isolata, senza l'altro.
Ma, come sempre, oltre la propria isola c'è lo stupore.
Dopo le necessarie e catartiche azzuffate all'uscita della scuola, divenni amico dei tre compagni dell'Aspromonte.
Non mi raccontarono mai nulla. Il fragore dell'acqua dell'Amendolea lo sentii cinquant'anni dopo.
Insieme alle storie.
I cittadini di Roghudi divennero, fisicamente, una parte di Melito. Il nuovo paese, lontano dalla fiumara, nacque proprio dentro il paese di mare, e proprio sulla collina pendula dove da ragazzino andavo a giocare a calcio.
Il campetto improvvisato era in discesa, e la palla scendeva da sola verso mare.
Tutto era in discesa, in quei tempi.
Ma Roghudi lo incontrai negli occhi piccoli e neri dell'uomo che non aveva mai visto il mare.
Compare Peppe, avvolto dalle nebbie della mente. Lo incontrai in sua sorella, che ogni domenica per quarant'anni partiva dal vascello in mezzo alla fiumara ed andava a trovarlo al manicomio di Reggio Calabria. Entrambi li incontro ancora dentro di me, perché vengono a trovarmi.
Ogni tanto.
Roghudi non è un luogo fantasma, e non ci sono spettri, ma storie. Basta passarci, per i suoi vicoli, e sentire le finestre delle case che sbattono, spinte da una brezza senza vento.
Chiamano il viandante all'ascolto.
Roghudi è ascolto di sé stessi, del pezzo di noi incastrato negli altri e nella parte di noi che rimane nei luoghi.
Nei luoghi dove risiedono i ricordi.
Roghudi è futuro, perché consente di ritrovare la parte di sé che rimane indietro, schiacciata dalla frenesia dei giorni.
Ma Roghudi è femmina e profuma di menta.
È femmina come Maria, Olimpia e Mela, incontrate senza incontro una calda primavera di quattro anni fa, tra le loro macerie.
Macerie di una vita che ho provato a narrare, perché la narrazione è strumento di equa eternità.
Ristabilisce la giustizia e i diritti all'esistenza.
Se narrati non si muore mai.
Roghudi è femmina come l'Amendolea, che scorre tra la montagna e il mare, portando storie e greggi.
Con tenacia.
Come l'acqua.
Consiglio a tutti di recarsi a Roghudi. Oppure ovunque vi sia silenzio, quello spazio bianco lattiginoso dove tutto può accadere.
Dove ci si può ritrovare. Dove ci si può perdere.
Che, a volte, è la stessa cosa.