Molti di coloro che erano giovani negli anni ‘70, a cominciare da chi scrive, hanno evitato come la peste il Festival della canzone italiana, avendo nel cuore e sulle labbra le parole e la musica di De Andrè, Guccini e Vecchioni, mai al mondo avrebbero trascorso una mezz’ora con fiori, lustrini, Pippo Baudo o chi per lui presentava le tre serate sanremesi. E poi, quel maledetto festival si era inghiottito Tenco, perché troppo “diverso” dal messaggio capital-consumistico! Mi rivolgo, in particolare, ad un amico, che sui social ha accennato, con distanza e ironia, alla versione odierna della manifestazione canora, rivendicando la fedeltà alla buona lettura, che non può essere sostituita con questo gran tourbillon di fenomeni, diciamo, da baraccone che fatichiamo a decifrare, confondendo, di primo acchito, Lauro – cantante, con Lauro – armatore, prestato alla politica. Però quest’anno Sanremo, val bene una messa, pardon, un battesimo con l’acqua del risveglio, dopo due anni di letargo pandemico. Persino una kermesse di questo genere ha qualcosa da dire e i libri o altri soddisfacenti passatempi serali, possiamo per un attimo riporli, amico mio. Saranno lì ad attenderci, mentre il treno che passa, va preso al volo, altrimenti ci perderemo quello che contiene. I fenomeni sociali, tutti, anche quelli che ci scomodano, vanno capiti. Anzi, soprattutto quelli che appaiono provocatori o addirittura offensivi, a maggior ragione, ci interrogano, perché significa che hanno toccato un nervo scoperto. Se non vogliamo che la polvere degli amati libri annebbi la nostra capacità di stare dietro e nel profondo delle cose, chiudiamoli, per un attimo, e affrontiamo la televisione… Malmostoso amico, tu sai bene che i libri edificanti, formativi, quelli che ci hanno cambiato la vita, avevano in sé qualcosa di carne, di sangue e di lacrime. Qualcosa del genere è avvenuto all’Ariston, grazie alla felice lettura di una pagina di Tahar Ben Jelloun, da parte di una gentile fanciulla che, con il cuore a mille, tirando su col naso l’emozione straripante, ha cercato di contrastare e capire perché il razzismo esiste ancora. Caspita! Forse, in queste sere, ci hanno provato in tanti, su quel palcoscenico, a spiegarci alcune cose che riteniamo già consolidate, ma che nel paese reale non lo sono affatto. Altrimenti non si picchierebbe, né si caccerebbe di casa un figlio omosessuale (e non sappiamo se sia più violento e incivile il primo o il secondo gesto) non si ucciderebbero di continuo le donne, e non si cancellerebbe il nostro futuro, che sarebbero i giovani. Se fosse passato un briciolo di cultura in quel momento, proprio nei vuoti immensi lasciati da altri? Forse fa male che ci abbiano pensato i cantanti, gli attori, quegli artisti trascuratissimi durante questi due anni! Come se in questo tempo scuro qualcuno avesse giocato sporco a cancellare quelle poche ma fondamentali cose che ci rendevano umanamente gentili e politicamente corretti. Soprattutto ad incattivirci, l’un contro l’altro. A gonfiare i muscoli di vuoto machismo. A spargere veleno sui migranti, gli omosessuali, gli handicappati, i diversi, di ogni categoria. Questo il peccato mortale: quasi nessuno ha condannato a voce ferma e alta. Si è stati troppo zitti e muti, ad ascoltare ogni sera il numero dei contagi, mentre un pezzo della nostra umanità se ne andava insieme a tutti quei morti da virus. Qualcuno ha gonfiato la paura di farci vivere nel sospetto e nella distanza, senza più una stretta di mano, una carezza, un bacio. Sul palco tornano abbracci veri, Fiorello e Amadeus, Lauro accarezza la fata turchina bellissima e chiede perdono per chi le ha fatto del male. Ci sono voluti Cremonini e Moro, a ricordarci che c’è tanta depressione in giro e non è vergogna, se ne esce. C’è chi “sta fuori” ancora, ci avvertono i più giovani. Ma si vedeva subito, il corpo gonfio, il berretto calato sugli occhi, per non mostrare la disperazione del perdersi, fortuna che c’è la mano di Irama a sollevarlo, non certo i social che lo ricacciano nella merda.
È come se da Sanremo, disdegnato carrozzone di ovvietà, venisse una lezione di attenzione e di cura, che spazza via le nuvole di inimicizia, gonfiate da biechi personaggi che fomentano l’odio per le differenze, rendendoci più cattivi. Ma che spirasse un refolo di buon sentire umano, da parte di chi avrebbe dovuto continuare la buona lezione di umanesimo e di riconoscimento dei diritti delle minoranze, delle persone che vivono agli incroci della storia, subendo il rifiuto, la povertà di ogni genere. Ci stupisce, che altri abbiano parlato, nel silenzio colpevole di una politica che ha dimenticato il contatto con la base, che ha dimenticato il forte legame tra civiltà e cultura, taciuto, perseverato nella dimenticanza e nell’assenza, mentre qualcosa, per fortuna, cresceva chiedendo d’essere ascoltato, decifrato e accolto. Ci sono voluti l’eleganza di Drusilla per dirlo, purtroppo dopo mezzanotte, per non turbare troppo, che parole di tale forza ed equilibrio venivano da un uomo travestito da donna, dove i confini si confondono e si abbracciano. Drusilla Foer, l’anima del Festival, chiede di dare un senso al suo essere sul palco, di uscire da quel conflitto che ci abita e ci allontana dal diverso che c’è in noi: «Non è facile entrare a contatto con la propria unicità, perché ci sono tante cose che ci compongono. Io direi di tenere insieme tutte le cose che ci abitano, belle e brutte, e si portano in alto, si sollevano insieme a noi, in un grande abbraccio, gridando “che bellezza!”».
E la gente balla, si alza e batte le mani come non lo faceva più, come se fosse la prima volta e l’ultima volta che lo fa! Ricordandoci che possiamo e dobbiamo riprenderci la vita. Ascolta amico caro, non è ostinazione vuota, ma attenzione intelligente, perché se non compiamo l’atto più rivoluzionario, quello di ascoltare, temo che ci perdiamo un altro pezzo che non recupereremo più. I nostri giovani. Il legame con loro, quello che vivono, pensano, desiderano per il loro futuro. Di quali pensieri e ideali sono portatori? Lo sappiamo o lo ignoriamo? Perché loro ascoltano con interesse Sanremo, mentre noi lo schifavamo e ancora oggi abbiamo difficoltà? Alcuni sono già adulti, altri sono trattenuti a casa dagli ultimi colpi di coda della pandemia che li costringe in remoto, prima di riprendere la valigia e lasciare nuovamente le stanze vuote di questa terra maledetta che non abbiamo saputo rivoluzionare, nell’oblio delle responsabilità da assumerci. Grazie ai giovani di oggi, se stiamo attenti, non ci perdiamo qualcosa di importante e un pochino rivoluzionario che è avvenuto in queste sere. Con buona pace dei vari Pillon. È vero, non conoscevo, neanche io, Mhamood e Blanco, che insieme cantano da brividi, non solo la canzone presentata in gara, ma la cover del Cielo in una stanza, che fa emozionare anche di più della versione originaria. Che dire, infine, di quel quasi scandalo che riguarda l’immaginario religioso, che ti ha fatto spendere qualche parola? Mentre qualcuno si stracciava le vesti, altri, una porzione illuminata di Chiesa, grande o piccola, chissà…, si esprimeva in modo molto più provocatorio e laico. Perché il gesto di Lauro ci fa parlare tanto? Forse la spettacolarizzazione del battesimo è più un problema ad intra “quel palcoscenico, scrive un amico sui social, svuotato di senso che a volte diventano le nostre chiese, quelle passerelle tutte parrucchieri, regali e ristoranti cui spesso sono ridotte le nostre celebrazioni”. Ed ancora: “il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Niente di nuovo. Non c’è stato un messaggio più trasgressivo del Vangelo”, parola d’Osservatore Romano! Non c’è più religione a questo mondo, dirai, tu, da mangiapreti quale sei. Embè, sai, in fondo è da tanto che papa Francesco cerca di dire queste e molte altre cose, ha scritto pure l’enciclica Fratelli tutti. Ci voleva un aiutino più alla portata di milioni di spettatori, ma di certo Bergoglio non se l’avrà a male, perché la Chiesa, quella a cui ci piace appartenere, “spalanca le braccia, scioglie i nodi del conformismo, libera il cuore dai luoghi comuni e poi, racconta storie, storie di salvezza”.
Nota del direttore:
“Cara Ida ti ringrazio del tuo al solito straordinario e illuminante intervento, mi hai giustamente chiamato in causa e redarguito da par tuo; considera, però, che un post su Facebook e un articolo su un giornale sono due media molto diversi che rendono ìmpari lo scambio di opinioni. Io nel post mi riferivo a quelli che si ostinano a guardare Sanremo solo per poi poterlo criticare a prescindere, non essendo evidentemente in grado, in questo caso per un gap culturale, di coglierne gli aspetti positivi. Per quel che riguarda me non puoi però pretendere che inverta il registro della mia memoria, ho passato intere campagne elettorali nel mio partito (il PCI), criticando il modo clientelare con cui le gestiva il comandante Achille Lauro (pensa che a Napoli regalava ai suoi elettori una scarpa destra, riservandosi di consegnare la sinistra solo in caso di elezione a sindaco) e vuoi che ora sentendolo nominare non mi venga in mente? Ammetto quindi la mia ignoranza e mi riservo, grazie alla tua cortese sollecitazione, di approfondire le evoluzioni della cultura Pop nazionale e far guarire il mio… tallone d’Achille”. (F.A.)