Alcune persone sono vento, aria, nuvole, movimento di particelle infinitesimali che danzano nell’universo, e poi si ricompongono soltanto nel terreno insidioso dei ricordi. I ricordi attraversano la vita altrui, ne spostano le cellule e scompaiono. Poi, ritornano, improvvisamente, quando passi da un posto strano, ascolti una parola già sentita, ascolti un rumore.
Un rumore di ape a tre ruote. L’ape di Sardina.
Un cassone mai vuoto. Vecchi mobili raccattati dalla strada, dove pesca e vive Sardina, un grammofono, sedie da impagliare, cappotti dall’odore di naftalina.
Uno di questi cappotti mi regalò in una fredda notte del gennaio di vent’anni fa. Lo indossai e vegliai tutta la notte, protetto dall’anima di chi lo possedeva prima, e passeggiai per l’ultima volta in quel giardino.
Gli devo quell’ultima passeggiata.
Ecco, Sardina, al secolo Saverio Caristo, di età indefinita e senza l’orpello, non sempre necessario, né opportuno, della lettura e della scrittura, è Caronte con una “lapa” al posto della barcaccia.
Non attraversa lo Stige, ma le vie di Melito, muove anime e storie attraverso gli oggetti.
Ma non c’è inferno nella vita di Saverio. O forse sì, come un po’ in tutti noi.
Ci incontriamo nei luoghi degli isolati, lontani dal clamore e dalle mode. In una vecchia via, o quando il mare rilascia vecchie cose dopo una mareggiata. Oggetti che Caronte a tre ruote trasporterà verso altre vite.
“Andavo in motorino in una notte di luna, e d’improvviso vidi per terra, chiara e pulita, una testa di porco. Era troppo bella da lasciarla lì, allora la portai sul motorino, tra le gambe, verso casa. Da qualche parte l’avrei messa, e mia mamma non l’avrebbe vista. Ad un certo punto, sentii una voce: -Scinditimi cca. Scinditimi cca!! - Mi fermai e poggia la testa per terra. E proseguii verso casa. La testa di porco aveva finito il suo cammino.”
Questa inverosimile storiella Sardina trasportò verso di me una sera di tanti anni fa. Ed io, per come posso, la raccontai a tanti bambini. Adesso, ragazzi, dopo anni, mi vedono, e mi dicono “Scinditimi cca”.
Sono diventato, felicemente, un postino di storie. Perché le storie muoiono se non raccontate. L’uomo muore se non racconta storie.
Saverio non sa leggere, né scrivere, ma non importa. Perché lui trasporta. Racconta e per qualche mese lontano fui la sua penna. Raccontava di Melito com’era, delle persone che lo abitavano, della povertà che era ben distante dal concetto attuale. Delle camminate scalzi in un inverno fangoso e freddo, di Natali tristi ed estati felici, di belle donne con un solo vestito, e di uomini iracondi di coltello facile.
Saverio ha sempre raccontato di povera gente senza sapere che i piccoli e gli umili sono chiodi arrugginiti che inchiodano le assi della storia, e non appaiono. I piccoli legano le vicende della vita, e poi si fanno da parte. Sono puntello e colla, voci e vento.
Come Saverio, o Sardina, se preferite.
Che è una persona profonda, complessa, ancorata a segnali del destino come pochi. E narratore scanzonato della vita, ma cantore di drammi.
“Ia eu mi pigghiu i vestiti n’sanguliati i me’ cugnatu. E nci portai a me soru…”
A volte commettiamo l’errore marchiano del pensiero semplificato. Pensiamo che anime appoggiate sugli stipiti della vita siano incapaci di complessità. E così ci perdiamo i loro abissi.
Sardina è la memoria storica di un paese che è scomparso sotto la globalizzazione relazionale, il dominio del centro verso i margini. È voce narrante di gente muta, senza privilegio di esistenza.
Chi si ricorda più di Giovanni Crocé, grande invalido in carrozzina che scambiava con i paesani feroci e reciproci scherzi come le lunghissime giocate a carte?
E del curiuso, piccolo uomo dal passo zoppicante, con il quale era legato da scherzi e amicizia.
I nomi di questi uomini-chiodo li troveremo sempre sulla bocca di Sardina, che cuce le storie, le inventa partendo da un ricordo, le racconta camminando e mai soffermandosi. Occorre respirargli accanto per sentire da vicino gli echi di voci silenziose e dimenticate.
Occorre tenere il suo passo sfuggente e la sua incapacità di star fermo in un posto, in una frenesia di incontri dai quali carpire un fatto, da trasformare, da raccontare.
Nessuno muore se narrato. E Sardina serve a tenere in vita centinaia di figli piccoli di Melito, altrimenti facilmente dimenticati.
Ecco, la ragione della sua esistenza, in una Melito liquida dove occorre come il pane una buona storia e il fracasso metallico di una vecchia Lapa.