«Life is too important to be taken seriously» (La vita è troppo importante per essere presa sul serio) – Oscar Wilde.
Nel 1986, il filosofo Harry Gordon Frankfurt delineò una teoria ("On Bullshit", Raritan Quarterly Review 1986) che non solo definiva il concetto delle scempiaggini (balordaggini, castronerie), ovverossia, nel linguaggio comune e in genere, “stronzate”, ma ne analizzava pure le varie possibili applicazioni nel contesto della relazione comunicativa.
Bullshit
Si tratterebbe, per il filosofo della mente, di quei discorsi finalizzati a persuadere, secondo le modalità d’una quasi sfrontata seduzione, a volte a provocare, fino a mandare in collera, senza però riguardo alcuno per la verità accessibile; eppure, da distinguere dalle menzogne dei bugiardi che una tale verità tentano di nasconderla. E, nei confronti della quale, dunque, e rispetto ai bugiardi di cui sopra, sempre secondo il professore della Princeton University, i bullshitters (stronzi) sarebbero più insidiosi nel costituire una minaccia maggiormente pericolosa.
In sintesi: la prevalenza dei cretini e della cretinata
Frankfurt faceva riferimento a un precedente saggio del matematico e filosofo del linguaggio, d’origine azera, Max Black (The Prevalence of Humbug and Other Essays, Cornell University Press, New York 1983), su humbug (sciocchezza, fandonia, fanfaluca), che avrebbe equivalenza con hoax (bufala) oppure in jest (scherzo); seguendo una gradualità di ingannevolezza che varia sino alla disonestà (vaccata), arrivava a scomporne la definizione, "a parte la menzogna", nei fattori descrittivi di "falsa rappresentazione ingannevole... dei pensieri, sentimenti o atteggiamenti di qualcuno", tra insincerità e ipocrisia, e "specialmente con parole o azioni pretenziose", ai limiti con la fraudolenta impostura e talvolta, in aggiunta, un pizzico di cattiveria.
Humbug e gli spiriti del Natale
Humbug è parola maggiormente associata, in ambito letterario al popolare personaggio, creato da Charles Dickens, nel suo racconto del 1843, A Christmas Carol, di Ebenezer Scrooge; per via di quella celebre, quasi, imprecazione sulla festività del Natale, "Bah! Humbug!", che la classifica tra favole e invenzioni, sia nel testo originale, che nelle versioni teatrali e cinematografiche. Inoltre, con quel “bug” (bugge, bogey), che significherebbe pure fantasma (ghost, gallese: bwg) o folletto (Goblin, bögge, böggel-mann), l'uso del termine sembra ben appropriato ai vari spiriti del Natale (passato, presente e futuri), evocati da Dickens.
Il briccone di Oz
Mezzo secolo dopo, il termine Humbug venne impiegato in modo prominente anche nel libro di Lyman Frank Baum “The Wonderful Wizard of Oz” (1900), in cui lo Spaventapasseri si riferisce al Mago di Oz come a un briccone (trickster), e il Mago medesimo è d'accordo con questa definizione. In inglese, a joker, burlone, pagliaccio, gigione, uno che non prende mai niente sul serio, corrisponde Ham.
Patacca
In irlandese, Uim-bog significherebbe "rame morbido", metafora per “denaro senza valore”, ma non appare del tutto chiara una connessione con humbug.
Un insetto ronzante
La moderna conclusione filologica è che, in realtà, si riferisca a un qualcosa di piccolo e insignificante, che fa soltanto molto rumore, come un insetto ronzante (bug). E, difatti, nella novella fantasy per bambini “The Phantom Tollbooth” (1961) di Norton Juster, ci s’imbatte in un grosso simil-scarabeo, definito come Humbug, che non ha quasi mai ragione su nulla.
Una buaggine shakespeariana?
Forse, l’assonanza con buaggine (relativamente all’ottusità attribuita al bue) aveva fatto ipotizzare un’eventuale influenza italica, mediata presumibilmente da Shakespeare e dai suoi numerosi richiami alla Penisola, ma un po’ troppo in anticipo sull’attestazione letteraria del termine in questione, almeno nell’Inghilterra del XVIII secolo, quando, intorno al 1750, viene riconosciuta quale "parola molto in voga tra le persone di gusto e alla moda" (The Student, II. 41).
Una buassàggine leopardiana
Ma, anche in italiano buaggine è citazione piuttosto rara, come buassàggine, usata forse soltanto da Leopardi in un abbozzo di «Dialogo di un cavallo e di un bue» (Operette morali, 1827): “la buassaggine è il miglior dono che la natura faccia a un animale, e chi non è bue non fa fortuna in questo mondo”.
Baggianata o menzogna?
La distinzione principale tra cazzata (minchiata, cavolata, baggianata, scemenza) e spudorata bugia (falsità, impostura, inganno, raggiro) starebbe nel differente intento che le motiva. Dietro humbug c’è una “falsa rappresentazione”, più o meno volutamente, ingannevole, mentre dietro la menzogna, o l’asserzione insincera, una maggiore estremizzazione verso l’intenzione netta di coprire la verità, anziché distorcerla semplicemente per un gioco malcelato.
Insomma, le persone tenderebbero a dire “cazzate” a causa d’un altro importante impulso che potrebbe nascondere, nella sua intima motivazione, qualcosa di diverso dalla semplice frottola?
Cazzata o stronzata?
Il paragone tra puttanata (fesseria, humbug) e menzogna (mendacità, lying), per Frankfurt, funge così da introduzione alla vera e propria stronzata (stupidata, cretinata, bullshit), a cui humbug sembrerebbe strettamente correlato, anche se in modo non proprio adeguato a spiegare per intero la stronzata propriamente detta nelle sue varie caratteristiche di carognata, schifezza, oltre che di corbelleria.
In cazzata, d’altronde, c’è quel tanto di idiozia che impedisce l’estrema semplicità del riconoscimento d’un’assoluta impossibilità, nonché la valutazione del rischio che si può correre. Ma in tali considerazioni, per ragioni storiche e culturali, i vari linguaggi tendono a divergere in maniera geografica: in francese, per esempio, si parla di connerie (riferendosi così alla sfera sessuale femminile, invece che alla maschile: in italiano, infatti, si dice coglioneria), in tedesco di Scheiße (cacata), mentre in spagnolo si semplifica in mierda.
Bugie e stronzate
Il libro statunitense di Frankfurt si concentra pertanto molto di più sulla definizione e discussione circa la differenza tra bugie e stronzate, che consisterebbe nel perseguìto incentivo dell'inganno. Del resto, sia le persone che mentono che quelle che dicono la verità sono, comunque, sia pur da prospettive divergenti, sempre focalizzate su quest’ultima. Mentre il bugiardo vuole decisamente allontanare gli interlocutori dalla scoperta della verità, la persona che la verità la dice potrebbe farlo con modalità rappresentative a volte variegate, variopinte o, se non travisanti, inconsapevolmente distorcenti, ma che in ogni caso manterrebbero la finalità di prefiggersela.
Dal bugiardo patologico al mentitore occasionale
Il mentitore seriale poi differisce sia dai bugiardi occasionali che da quelle persone che, pur rappresentando il vero reale, lo fanno con quel tanto di disprezzo o intrinseca disapprovazione per esso. Ulteriore evidente differenza con quanti dicono stronzate, nonostante neanche essi siano particolarmente votati alla verità.
Una persona che comunica stronzate, dunque, non ha interesse a trasmettere se ciò che dice è vero o falso, ma semplicemente manifestare la sua narcisistica idoneità o adeguatezza al suo scopo personale.
Dall’inutile shit all’insignificanza d’una bull session
Frankfurt ricorre alle definizioni di "shit" (merda), "bull" (“balla”, stronzata)", e "bull session" (menzogne sistematiche da parte d’uno spara-balle), in un contesto lessicografico che arriva a scomporre la parola “bullshit” per esaminarne ogni componente, riuscendo a evidenziare i corrispondenti termini, che così giungono a racchiudere il significato generale della parola stessa in una proporzionata ed equivalente triade di “useless” (inutile), “nonsense” (sciocchezza) e “insignificance” (insignificante).
L'ascesa delle stronzate
Da quando tutte le forme di comunicazione si sono andate incrementando a dismisura, inducendo sempre più persone a imbattersi, leggere, vedere e ascoltare più stronzate, anche la richiesta di queste ultime è andata, quasi di conseguenza, sempre più aumentando, in base a quell'aspettativa sociale che gli individui abbiano il diritto/dovere d’esprimere le proprie opinioni su tutte le questioni dello scibile umano. Cosicché, nonostante la mancanza di conoscenza su un argomento, che sia di politica, religione o arte, c'è tuttavia la forte aspettativa d’essere coinvolti a partecipare alla conversazione onde fornire un'opinione personale, qualunque essa sia. La quale opinione, poiché non si basa (e forse neanche può) su reali ricerche o fatti assodati, diventa estremamente probabile che, spesso, sia una vera e propria, ininfluente, opinione superflua, la quale, non tenendo in gran conto dati certi e giustificativi, si rivela, insomma, per una perfetta Scheiße o connerie che dir si voglia.
Il narcisismo degli str…
E pertanto motivata, quasi esclusivamente, da un disprezzo per la verità, sollecitato per di più dal desiderio di apparire, presenziare, o d’essere in grado di opinare abbastanza adeguatamente in merito a qualsiasi tema da trattare.
Al limite, le cazzate potrebbero non essere sempre intenzionali, ma ciò che le accomuna, in ultima analisi, è che vengano sostenute con noncuranza, o persino dissimulato disprezzo, nei confronti della verità vera.
L’intenzione del bugiardo
A causa dell'intento che accompagna il suo operato, il bugiardo danneggia la realtà riconosciuta come tale con quella sua volontà di allontanarsene ipocritamente o, addirittura, con modalità illusorie o fittizie. Quest’intenzione caratteristica del bugiardo, la persona che dice stronzate non ce l’ha, proprio perché la produzione delle stesse non richiede, non solo l’adesione alla verità, ma neppure la sua perfetta conoscenza.
Il talento dello stronzo
Il primo mira l’obiettivo di evitarla, potendo addirittura potenzialmente fornire elementi di verità senza il minimo proponimento di farlo. Orbene, paradossalmente, potrebbe esserci allora anche il bugiardo che manifesta il vero senza volerlo fare, non riuscendo inconsapevolmente a nasconderlo, ma soltanto a ingarbugliarlo; e, d’altra parte, lo stronzo che non persegue affatto una pietosa bugia, palesando ed esplicitando una scomoda verità. Ciononostante, Frankfurt ritiene che, sebbene le stronzate possano essere tollerate di più, e non sempre intenzionali, siano, in ogni caso, molto più dannose e costituiscano un pericolo di gran lunga maggiore.
Critiche alla teoria frankfurtiana
Un punto debole della teoria frankfurtiana potrebbe essere la carente analisi di eventuali altre motivazioni e forme di stronzate, a parte quella derivante da una mancanza di preoccupazione per la verità. L’altra critica consisterebbe nel mancato riconoscimento dei numerosi fattori dinamici che sono inevitabilmente coinvolti nella comunicazione umana, come pure nella stessa natura mutabile, relativa, e non adamantina, della verità stessa. Il concetto, comunque, di stronzata a cui fa riferimento Frankfurt, in quanto più semplice e accurato di "confabulazione" o "allucinazione", è stato ripreso financo nella descrizione del comportamento di grandi modelli linguistici basati su software chatbot.
Bullshit Jobs
Va inoltre ricordato come l'antropologo e anarchico David Graeber faccia riferimento proprio al testo di Frankfurt nel suo libro del 2018, sui cosiddetti “lavori di merda” (Bullshit Jobs: A Theory, Simon & Schuster). Postulando che oltre la metà del lavoro sociale non solo è inutile, ma diventa psicologicamente distruttivo, se, abbinato a un'etica che associa il lavoro all'autostima, ne mette in rilievo il danno sociale derivante da questa assurda mancanza di senso.
Robert I. Sutton
Ma, già nel 2004, per migliorare l'economia del futuro, la "Harvard Business Review" aveva pubblicato venti idee tra le quali figurava la proposta d’un professore a Stanford, Robert I. Sutton, di adottare un metodo per liberare le aziende da quanti prepotenti bastardi, arroganti tiranni, e maleducati di qualsiasi età, sesso o livello, inopinatamente le occupassero. Questo testo, in seguito ampliato, divenne “The No Asshole Rule: Building a Civilized Workplace and Surviving One That Isn't”.
No Asshole Rule
Demotivando gli altri lavoratori, di cui sgretola l'affiatamento di gruppo, e procurando l'aumento del turn over e dell'assenteismo, il comportamento aggressivo e umiliante di pochi stronzi provoca danni enormi non solo alle vittime ma anche alle strutture in cui operano.
Dall’analisi della situazione Sutton passa a fornire suggerimenti pratici sia ai dipendenti che ai manager per identificare i sospetti e isolarli onde evitarne il contagio, eventualmente venire (solo quando necessario) a patti con loro e, se proprio inevitabile, costringerli alla resa o allontanarli definitivamente.
È indubbio che, sul posto di lavoro, il bullismo peggiora il morale e la produttività, per cui occorre intervenire per escludere tale personale tossico e spavaldo attraverso una "no asshole rule", un metodo cioè che non lasci spazio agli stronzi, spacconi e smargiassi.
Malgrado ciò, un'azienda non dovrebbe neppure reclutare però "fifoni senza spina dorsale", poiché per le strutture produttive sono senz’altro maggiormente vantaggiosi gli argomenti di confronto costruttivi che aiutino indistintamente tutti i lavoratori, bravi e meno bravi, a trovare le idee e le soluzioni migliori.
Test per il riconoscimento degli stronzi
Robert I. Sutton insiste sull'impiego del termine “asshole”, poiché altri, come bullo, gradasso o anche idiota, non trasmetterebbero lo stesso grado di ribrezzo. Nel ricorrere a un epiteto lercio s’ottiene una reazione emotiva che non lo ignora, appunto per via di quella carica offensiva.
Per giungere al loro riconoscimento, basterebbe ricorrere a semplici test di valutazione pratica, perfino soggettiva. Se ci si sente oppressi, umiliati o altrimenti peggio con se stessi, subito dopo averli incontrati, si può essere sicuri di averne individuato qualcuno. Per di più, l’infido indiziato prende prevalentemente di mira sempre i meno potenti.
Se, per Honoré de Balzac, «Le malheur est un marchepied pour le génie, une piscine pour le chrétien, un trésor pour l'homme habile, pour les faibles un abîme» (La sfortuna è un trampolino di lancio per il genio, una piscina per il cristiano, un tesoro per l'uomo intelligente, un abisso per il debole), per altri la sfiga non è affatto cieca e ci vede benissimo.
Una sporca dozzina
Da Sutton i loro spiacevoli comportamenti sono stati catalogati come una “sporca dozzina”: insulti, violazione dello spazio personale, toccamenti non richiesti, minacce più o meno velate, sarcasmo, offese, umiliazioni, valutazioni negative vergognose, interruzioni immotivate di rapporti, maldicenza, espressioni di disapprovazione od ostilità, atteggiamenti troppo snobistici e di ingiustificata sufficienza.
Essere stronzi: una questione situazionale…
Crede Sutton, comunque, che ci sia differenza tra stronzi "temporanei", che potrebbero avere forse un brutto momento o una brutta giornata, e stronzi "certificati" che sono "persistentemente cattivi". E, da questo punto di vista, forse, anche Frankfurt potrebbe essere d’accordo nell’individuare quale ottima, se non unica, discriminante la consapevolezza del proprio comportamento.
La consapevolezza di esserlo
Tutti potremmo, dunque, essere degli stronzi, e convivere con quanto di impercettibilmente stronzo alberghiamo eventualmente dentro, supponendo di potercene liberare, e smettendo d’esserlo, nel momento in cui lo riconosciamo con sincerità e innanzitutto a noi stessi?
Nel farlo pubblicamente, il rischio che si corre è quello di tradurlo, sotto sotto, in una sorta di apologia, magari spacciando una condizione stabile per un semplice incidente di percorso da archiviare. Tant’è che, neanche in psicopatologia, il semplice affermare di riconoscere e sapere qualcosa di se stessi equivarrebbe mai a guarirne realmente.
Todas las almas
Nel sesto romanzo autobiografico dello scrittore spagnolo Javier Marías, - conosciuto soprattutto per “Corazón tan blanco” (1992) e “Mañana en la batalla piensa en mí” (1994) - basato sui suoi due anni d’insegnamento, trascorsi all'Università di Oxford, “Todas las almas” (Editorial Anagrama 1989), s’incontra un illuminante considerazione che fa la sua amante, la quale con lui tradisce il marito collega dell’autore/ protagonista, a proposito della stronzaggine di non riconoscersi per quello che si è: “L’imbecillità di Ted [sarebbe il marito tradito] non è offensiva, e questo è ciò che mi permette di vivere con lui, me lo rende piacevole. Lui l’ha accettata, e tu ancora no. Sei tanto imbecille che credi ancora nella possibilità di non esserlo. Ti sforzi ancora. Lui no”.
La con-sorteria della stronzaggine
L’imbecillità e la stronzaggine sono più che delle vere compagne di vita, che difficilmente ci lasciano, anzi con noi vogliono condividere proprio tutto quanto il nostro destino, allo scopo di divenire fedeli “con-sorti”, mentre l’intelligenza d’altro canto non può che rappresentare una fuggevole amante occasionale, che si vede solo sporadicamente e poi ci lascia in balia dell’ottusità quotidiana.
Ma ciò che non risulta in un matrimonio, né in una relazione adulterina, è la ricognizione nella parte più oscura dell'ombra; e ciò che è nascosto alla luce della società riesce a creare un connubio tra il rispettabile e l'inaccettabile?
Sinonimi e contrari
Nella vita ci insegue sempre “chi è” stronzo, o lo fa, perché ci sfugge, quasi inevitabilmente, il concetto del “cos’è” il di cui sopra. Controprova di tale insicurezza ontologica nel categorizzarlo resta la difficoltà d’individuarne i contrari, laddove di sinonimi ve ne stanno tantissimi: antipatico, schifoso, porco, carogna, fetente…
Quale può essere il suo contrario, che in assoluto non possa coesistere concettualmente con quella definizione apparentemente lapidaria?
Simpatico, bravo, perbene, galante, abile, garbato? Probabile che sia così; perché intelligente ed educato potrebbero anche convivere con quell’epiteto: persona ammòdo, sì, ma stronzo!
La non necessaria mediocrità dello stronzo
La sua mediocrità, non necessariamente conclamata né sempre presente, rende comunque insopportabili le sue intrusioni presuntuose e i tentativi di persuadere a tutti i costi laddove non riesce a insinuare le proprie imprescindibilità.
Riconoscerlo a naso
Il fatto di non condividere nulla con gli altri appartenenti alla medesima classe non esclude dal rilevare, a naso, una certa “aria di famiglia”, in quel senso wittgensteiniano da “Philosophische Untersuchungen” (1953), un non so che di stercorario, almeno all’afrore.
“Amore, gioventù, liete parole…” recita il primo verso d’una delle quartine di Sandro Penna (Croce e delizia 1958). Il processo di decomposizione si riflette nella secchezza dell’acredine che lascia “lungo le siepi cariche di sole”.
Il distanziamento dello stronzo
Nell’impossibilità di sviscerare la vera natura interiore dello stronzo, sul versante topologico esteriore, occorre rivolgersi a quell’aristocratico "Pathos der Distanz" nietzschiano che lo confinerebbe nella pateticità o nel cinismo, piuttosto che nel distacco emotivo o nel sentimentalismo passionale, il quale lo riavvicinerebbe a quell’afflitto accoramento di cui sopra, per giunta allontanandolo, per intrinseca debolezza, dal male assoluto o da una sadica crudeltà.
Cosicché i danni che spesso inevitabilmente procura sono solo “collaterali”?
In origine fu strunz
Nella lingua italiana, quale termine ingiurioso “stronzo” è dichiaratamente voce romanesca recente, (più o meno, immediato dopoguerra), originatasi da un longobardo strunz, inglobato nel latino medievale, struncus, e ripreso, quale «sodo cilindro di sterco», dalla novellistica trecentesca del dalmata Sacchetti, tra il Pataffio e le Trecentonovelle.
Uomo dappoco
Nell’Ottocento, il passaggio nell’Italia meridionale conferì analogo significato metaforico di «uomo dappoco» (omm’e ‘mmerda), affine al “merdaiuolo”, o rivenditore di escrementi da usare come concime, in periodi in cui i liquami venivano raccolti porta a porta e deposti in una tinozza al centro d’un carro, da cui il detto offensivo: sì ‘a tina ‘e miezo.
Chi tiene gli altri in poco conto
Ma, come in tantissimi altri casi, attraverso l’uso ricorrente, la parola è andata ad acquisire talvolta una speculare coloritura d’empietà, tipizzando l’accusa di tenere in poco conto, e ingiustificatamente, gli altri, in una sorta di malevola e deliberata cattiveria, o di spregiudicata ed eccessiva malvagità, ai limiti dell’accanimento nell’ostilità.
Talaltra si sarebbe invece sbiadita fin quasi a perdere, a seconda del tono con cui lo si dice, - che i linguisti definiscono tout court aspetto paralinguistico, - alcune caratteristiche negative antipatiche per assumerne di familiari, maggiormente scherzose, con un più vago senso d’una qualche disapprovazione (non fare lo …!) o perfino di confidenziale, intima, simpatia cameratesca (come stai, vecchio …?), financo all’afflato di chi ne subisce il fascino dell’attrattiva: “che adorabile … !”; e siamo nell’ambito del disfemismo, in cui si usa volutamente, ma in senso affettuoso, una parola sgradevole o volgare al posto d’una più positiva o normale.
Stronzata e stronzaggine
E anche per “stronzata” s’intenderebbe una “stupidata” non tanto sul versante recriminatorio, bensì sempre sul registro d’una schietta, e forse anche già nota, diminuzione d’importanza. Per “stronzaggine”, però, sembra andarsi oltre la pura stupidaggine per sottolineare semmai scorrettezza o inopportunità di comportamento, ancor più dell’egoismo o della cattiveria gratuita.
Stronzata o stronzaggine?
Va specificato che, nonostante la stronzata possa essere equiparata a una stupidaggine, non è detto che l’autore della stessa sia uno stupido oppure che, se la stronzaggine vada inquadrata quale cosa riprovevole, sia di conseguenza spregevole chi la compie; si tratterebbe, caso mai, di ulteriori qualificazioni, aggiuntive e non sinonime, né sostitutive, tutt’al più associabili e non reciprocamente escludentesi.
Non è detto, allora, che lo str… sia stupido, né spregevole, che, volendo, possono essere qualificazioni associate e di supporto e non certo sostitutive o sinonime, nel senso che l’uno potrà essere anche altro.
Essere, fare o atteggiarsi
Neppure v’è corrispondenza tra la definizione di str… con colui che vuol apparire quello che non è; semmai, si tratta di chi questa tentata emulazione non gli riesce appieno. Perché, pure tra “fare” lo … ed “esserlo”, o comportarsi da, c’è la medesima differenza tra incarnarne l’essenza e l’agire di conseguenza con tali modalità, al di là di qualsiasi considerazione alla maniera di Forrest Gump: “Stupid is as stupid does”!
La saggezza di Forrest Gump
Il messaggio di Winston Groom, l’autore del romanzo del 1986, dal quale è stato tratto, otto anni dopo, il film di Robert Zemeckis (1996), insegna che non esistono sostanzialmente persone stupide, ma solo comportamenti inadeguati. La frase che il protagonista usa per difendersi dagli attacchi di chi lo offende trasmette questo significato profondo: è il loro comportamento a rendere le persone quello che poi sembrano.
Un’affermazione che tra l’altro riflette quel radicale cambiamento di prospettiva rispetto alle teorie sostenute dalla psicologia del diciannovesimo e primo ventesimo secolo, basate su un sistema di classificazione della disabilità intellettiva riferito all’ormai obsoleto concetto di età mentale, proposto dal dottor Henry H. Goddard (moron/ ritardato, imbecile, idiot).
Superlativo, accrescitivo, peggiorativo
Si sente, insomma, la mancanza d’una definizione univoca, laddove il concetto medesimo sembra piuttosto complesso, sfaccettato, multiforme, e multi-uso, e ciononostante sottilissimo.
Persino quando si sente la necessità d’assolutizzare, e si ricorre al superlativo Stronzissimo, la tipizzazione resta ondivaga, alludendo a chi ha consapevolezza delle proprie azioni, al di là del suo naturale egoismo o d’un’inutile quanto gratuita cattiveria. Risulta più frequente ricorrere all’accrescitivo stronzóne, o al peggiorativo stronzàccio, mentre i diminutivi stronzétto, o stronzettino, ne ridimensionano abbondantemente il giudizio, che resta pur sempre poco lusinghiero, anche se dato con una qualche riserva quasi ufficiosa, ai limiti dell’epoché (ἐποχή).
Da Cambronne a smerdaleos
Si scade, poi, nelle colorite ed espressive rimembranze infantili della cacca, pupù, popò …, ben differenti dalla controversa contestualizzazione storica di esclamazioni profferite, in momenti memorabili, dal Cambronne di turno, con quel certo tono di nonchalance e d’una naturale energia (ma, certo, meno brillanti di “La garde meurt et ne se rend pas”, anche se pronunciate quale sfrontato, patriottico francesismo sciovinista - dal leggendario soldato napoleonico Chauvin): “merde”, eppure differente da quella suscitatrice di disgusto coprofobico, persino in base all’etimo greco smerdaleos (σμερδαλέος).
Una tradizionale scatologia di riferimento
C’è, quindi, consapevolmente o inconsapevolmente, chi lo str… lo fa, chi lo è, e chi le str…te le compie, nonché chi a str... si atteggia (e dunque stronzeggia), lasciando pure spazio a una non ben precisa, soddisfacente e chiara definizione di cosa “sia” in fondo, quasi come in una delle tante, solite, incertezze linguistiche che avvolgono l’ampio ventaglio delle ipotesi semantiche della scatologia tradizionale, che vanno dal semplice e puro espletamento delle funzioni corporee alla deiezione (da de iacere, scarica del ventre e defecazione), oppure da sterco, letame, guano (di uccelli o di chirotteri troglofili) al plurale feci, quali voci ancora accessibili sul dizionario.
Eufemismi
La prevalenza di termini eufemistici, rispetto ai termini proibiti, nella maggior parte dei campi semantici, indica una tendenza all’uniformarsi a una specie di galateo nello scrivere e di buone maniere nel linguaggio, e questi termini eufemistici sembrano più frequenti in relazione alla vita sociale, alla malattia e alla morte (per esempio, anziano rispetto a vecchio; bisognoso o in difficoltà economiche rispetto a povero; collaboratrice domestica rispetto a serva; operatore ecologico rispetto a spazzino; il senza lavoro rispetto a disoccupato; i disabili o i diversamente abili rispetto a handicappato; gravi difficoltà motorie rispetto a paralitico; salma e corpo rispetto a cadavere …), e forse meno ai campi dell'amore e della vita sessuale, della biologia femminile e delle attività corporee (violenza rispetto a stupro; casa di appuntamento rispetto a casa di prostituzione …)?
Da antifrasi a perifrasi
Dal punto di vista formale sono le figure retoriche a rappresentare fonte essenziale per la creazione degli eufemismi, variando fra antifrasi, metonimia, metafora, litote (esempio: «una persona poco intelligente» per non dire che è stupida). Anche se poi il meccanismo a cui si ricorre di più è il solito giro di parole, o perifrasi. Talvolta, per generare la sostituzione eufemistica, si ricorre a prestiti, o ad altri meccanismi di sostituzione: abbreviazioni, diminutivi, prefissi negativi, sintagma preposizionale.
Ciò non esclude nessuna delle motivazioni poste dietro una giustificazione, spesso non richiesta, d’un’interdizione verbale operata da opportuna convenienza di comodo, e di buona educazione, dal pregiudizio di pruderie convenzionale, o persino da proibizione inconscia ormai radicata in ambito formale.
La liberalizzazione delle sconcezze
Al giorno d’oggi, però, quell’interdizione, a lungo uno dei più forti divieti lessicali nelle società contemporanee, che ha sempre colpito gli argomenti scatologici, come quelli sessuali, sembra essere invece ampiamente superata, e non solo in particolare per ciò che riguarda l’ambito dell’evacuazione.
L’adagio popolare sardo “Pappanta rosariusu e caganta demoniusu” si riferisce forse a quell’aspetto falsamente trasformativo sottolineato nell’affresco giottesco del Giudizio universale nella padovana Cappella degli Scrovegni, in cui gli accenti grotteschi si impregnano di evidenze metaforiche di ipocrisia e un obeso e livido Lucifero, animalesco, e attorniato di serpi mostruose, divora dannati da deporre subito dopo tra le gambe.
Die ewige Wiederkehr
Nella teoria dell'Eterno Ritorno (Die ewige Wiederkehr), il concetto del tempo “ripropone” (è il caso di dirlo!) una ciclicità tediosa fino al punto da far desiderare una qualche selezione di ciò che debba, o possa, ripetersi nell’incertezza d’una familiarità vissuta sub specie aeternitatis in quell’abisso d’ogni categorizzazione che rischiasse di slittare nella supplenza d’originalità incoativa, quale mostruosità che ci guarda senza essere scorta, o vagina dentata che, dopo averci espulso, vorrebbe ingurgitarci di nuovo?
Un percorso dalla nascita fino all’ultima destinazione che s’identifica poi con il destino?
“La più' grande obbiezione all'idea dell'Eterno Ritorno” di Nietzsche poteva essere stata allora giusto la distorsiva opposizione di sua sorella Lisbeth («triste ombra della greca / Antigone, anima profonda / che gli fosti custode / fedele nella notte cieca….», nei versi di D’Annunzio)?
Befindlichkeit
È come se imbecillità e stronzaggine trasgredissero quella specie di armonia cosmica che rendono accettabile l’esistenza. Una delle cui forme d'apertura, nel mondo del soggetto, Heidegger la chiama Befindlichkeit, tonalità affettiva, caratterizzata da diversi Stimmungen.
E siccome stimmen significa accordare uno strumento, potremmo supporre una stonatura determinata nell’apertura al mondo da parte di chi non garantisce bellezza attorno a lui. Lo stronzo quale reo quindi d’un vincolo teso a mantenere equa distribuzione di discordanze?
Truly Tasteless Jokes
In “Truly Tasteless Jokes” (1982), un libro d’umorismo volgare di Ashton Applewhite, pubblicato con lo pseudonimo di "Blanche Knott", - le cui battute e barzellette sconce sembrano ispirate da membri d’una controcultura che ricordava gli hippy degli anni '60, ma che sposava opinioni conservatrici considerate tipiche dell'era reaganiana, e che ha inoltre contribuito molto al "crollo della decenza e degli standard di gusto" - si riporta la battuta sulle quattro categorie in cui si possono suddividere le donne: “suore, puttane, stronze e rompiballe”. Le suore non la danno a nessuno; le puttane a tutti; le stronze egualmente a tutti tranne che a te; le rompiballe, solo a te, sempre a te...
Fastidio della cazza
Ciò che oggi corrisponderebbe all'epiteto volgare "rompicazzo" è attestato in un sonetto di Rustico Filippi in forma femminile: "Fastel, messer fastidio della cazza". Alberto Nocentini ne ipotizza una derivazione diretta, senza intermediari alto-italiani, dal latino cattia(m), proveniente dal greco antico kyáthion (κυάθιον, «mestolino», diminutivo di kýathos, κύαθος). Un'etimologia filologicamente riscontrabile nella semplice estensione metaforica dell'uso del termine lombardo riproposto nel verso di Luigi Pulci, "cazz e cuccé - quel primo in cul ti stia!" contenente l'espressione lombarda giunta sino a noi: "mestoli e cucchiai".
La stronzaggine precede lo stronzo
Se quel “fastidio della cazza” equivale a rompicoglioni, la cazzata è sinonimo di stronzata, con o senza alcuna forzatura nella connessione ai cucchiai, che già un'ipotesi, ripresa da Antonio Lupis, vuole il membro maschile un deverbale (nomen actioni, analogo a lancio da lanciare), derivato dal latino capitiare, da cui anche cacciare, con valore di "infilare e mettere dentro"; tanto nella rete dei pesci quanto nel “carniere” della selvaggina!
E poiché l’azione, come l’atto di infilare, precede il suo attore, pure la stronzaggine anticipa lo stronzo?
Seppure l’abito non faccia il monaco, l’intenzione o un pensiero da stronzi non rende automaticamente tali, almeno finché non tradotti esteriormente i conseguenti comportamenti.
Ma, come non accorgersi di quest’eterno ritorno d’un pathos di distanza, se anche la scelta simbolica di quel che dovrebbe definire l’identità maschile rimescola geograficamente un’ornitologia settentrionale con l’ittiologia meridionale, quasi come fa prevalere il sesso femminile della connerie sulla tipicità tutta francese dell’escrezione esclamatoria?
Un pensiero maestoso, o chi ti credi di essere?
«C'era una vorta un Re cche ddar palazzo/ mannò ffora a li popoli st'editto:/ "Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo…». Questi primi versi del sonetto del Belli “Li soprani der monno vecchio” (1831) sono palese dimostrazione della filosofia d’uno stronzo preunitario, ma già avanti nel suo lavoro. Qui il connubio tra il rispettabile e l'inaccettabile, il nord e il sud, sembra un appuntamento alla luce del sole, con pregiudizi e paure esposti in pieno giorno per il piacere e il sollazzo, e la questione sollevata potrebbe non essere poi così ovvia, come sembra a prima vista, neanche da una prospettiva meramente linguistica.
La concezione dello scandalo debole
A venire deriso è senz’altro il pregiudizio, dilatato com’è fino a un livello ridicolo. Ma il bersaglio di queste battute, per quanto grossolane od oltraggiose, risultano essere i medesimi fariseismi della società che applica tali etichette. E il punto principale di queste barzellette, e battute libere (come quella delle “suore, puttane, stronze e rompiballe”), molte delle quali sono state raccontate per generazioni, è proprio la mancanza di gusto che ipocritamente solo facciamo finta di contestare con larvata timidezza.
Eppure, neanche questo appare del tutto convincente perché lascia intendere che "There are more things in heaven and earth", più cose in cielo e in terra che lo stronzo non contempli nella sua filosofia. Così la figura del saccente non si può evitare ogni volta che si simula di sapere cose che non si conoscono, se non per sentito dire, od ogni volta che in qualsiasi situazione si provi a mettersi in buona luce per pavoneggiarsi. Ma il peggiore è di certo il prepotente che s’approfitta delle debolezze e delle minorità altrui, per trarne vantaggio, prevalere o persino vessare.
La nature a fait l'homme… un connard!
Certo, da quando la vita quotidiana ci ha stressato a tal punto da farcela sembrare una continua lotta, un conflitto costante, anche la capacità di essere, non dico malvagi, o buoni selvaggi, incolpevoli e candidi (più alla Voltaire: Candide, ou l'Optimisme, o alla Rousseau: Émile ou De l'éducation?), ma più navigati e un tantino impietosi, ovvero privi di spontanea e immediata compassione, sembra si debba perfino coltivare come antidoto a un’ingenua e innocente empatia a cui saremmo portati per natura, in controtendenza quasi con il postulato rouseauiano: «La nature a fait l’homme heureux et bon, mais […] la société le déprave et le rend misérable.».
Forse, meglio se si nasce parzialmente un po’ stronzi e magari poi esperienza ed educazione, a seconda di come ci viene impartita, nel caso in cui dovessimo scontrarci con prepotenti conclamati, tendessero a contribuire a questo completamento in peggio, come invece, nella migliore delle ipotesi, pure a farci fortunatamente regredire a un’accettabile, più umana, normalità.