Vi sembra che non vi veda quando pensate che chi ama la poesia non sia una persona concreta?
E si perda negli atti pratici di tutti i giorni?
Incontrastata e violenta convinzione che divide il mondo in illusi e concreti.
La prima volta che sentii la frase “non fare poesia” ero già grande, in un incontro su tematiche politiche. Stavo terminando il liceo e mi convinsi che senza poesia forse i diritti degli studenti di avere aule più spaziose e dignitose non avrebbero avuto seguito.
La poesia dell'impegno e della ribellione.
Brecht mi guardava, e io non lo sapevo.
Ma tornando a casa continuavo a scrivere la parodia di alcuni canti della Divina Commedia.
Dal sommo poeta ad un poeta abusivo.
Eppure, pochi anni prima, agli esami di scuola media, avevo fatto il botto presentando una poesia di Carducci. Lunga come i filari dei cipressi che da Bolgheri andavano alti e schietti.
Ma non lo feci per loro, annoiata commissione d'esame di fronte alle lungaggini di un bambino goffo e timido. Lo feci per me, perché dentro mi risuonava ancora la diaspora dal mio piccolo paese dove i cipressi erano scogli che mi “bisbigliavano” ancora nella notte.
La poesia salva.
La poesia aiuta a vedere cose pensate come perse, le rende eterne, e cristallizza la memoria dentro l’essere umano.
La solidifica tra le ossa dello sterno e il cuore.
Poi si cresce e si diventa concreti.
Il lavoro, la famiglia, l’impegno.
I conti da far quadrare. Le responsabilità verso gli altri e la comunità.
E gli inviti a far tutto ciò senza fare poesia. Ma è possibile?
Vediamolo.
Si può assistere alla nascita di un figlio, esplosione di placenta e sangue, senza immaginare l’appoggio delle parole a tanta vitalità?
“e figliafiglia, non voglio che tu sia felice, ma sempre contro finché ti lasciano la voce”
Si può mai ascoltare la disperazione di una famiglia che vede il respiro del figlio farsi sempre più breve, e senza uscire dalla casa del dolore, e senza immaginare versi che possano rendere eterno chi muore?
Se sì, ditemelo, così non farò più poesia.
La poesia la si incontra per strada, nei volti della gente.
Due ragazzini senza calzini, alla stazione, che si abbracciano come se fosse l’ultima volta non evocano forse Brel, Garcia Lorca o addirittura Saffo?
Come preferite, perché la poesia è libertà di sentire ciò che si sente.
La poesia è libertà.
E cosa c’è di più concreto della libertà?
E mentre si passa dal vecchio paese e dalla vecchia casa, e si vede sul terrazzo un bambino che ti assomiglia, in sella ad una bici con le rotelle di lato per non cadere, come si fa a non chiedere soccorso a Pavese, che sa cos'è la nostalgia?
E non è concretezza elaborare il proprio vissuto, identificare le proprie radici e sanare le inevitabili ferite che ogni abbandono lascia?
Direi di sì.
Allora possiamo dire che la poesia serve alla vita esattamente come un cappotto quando fa freddo e un tozzo di pane quando si ha fame.
O una tachipirina quando si ha la febbre.
Ma la poesia è febbre che resta.
Non tutti possiamo essere poeti, ma tutti possiamo trovare conforto e slancio in parole belle.
E tutti, con le nostre misere e piccole storie, possiamo essere poesia.