Ospite del CSOA “Angelina Cartella” di Reggio Calabria lo scorso 21 febbraio, il noto fumettista romano Zerocalcare ha presentato il suo ultimo libro “No sleep till Shengal”. Un lavoro nato in seguito alla missione cui ha preso parte nella primavera del 2021 a sostegno del popolo ezida: questa minoranza religiosa del Kurdistan iracheno, perseguitata per secoli in una terra lacerata da conflitti e nazionalismi, ha rischiato negli ultimi anni un vero e proprio genocidio. Un reportage per immagini che racconta la lotta di un popolo che resiste all’oppressione in condizioni difficilissime, cercando di dare vita a un confederalismo democratico che si fonda sulla convivenza pacifica tra diverse etnie e sulla liberazione della donna.
È noto l’impegno di controinformazione di Zerocalcare a favore della comunità curda, sancito dalla pubblicazione di uno dei lavori che lo ha reso più famoso, “Kobane Calling” nel 2015. Torna quindi con questo volume a puntare l’attenzione sul tema dei conflitti dimenticati, in un momento in cui il mondo, travolto da pandemia e crisi economica, guarda solo a un altro teatro di guerra, quello russo-ucraino. Lo fa con il consueto tratto tragicomico che ha conquistato i suoi fan. Senza nascondere gli orrori della guerra, con uno sguardo che non nasconde paure ed esitazioni, e cercando il più possibile di essere fedele e rispettoso delle mille contraddizioni di una realtà complessa da decifrare e pericolosa da raccontare, in una “lontana Mesopotamia”.
Spazio quindi, durante l’incontro reggino, al “pippone geopolitico”, come lo definisce lui, incalzato nella conversazione da Rosalba Marotta, attivista del “Cartella”, che spiega la situazione attuale nel Kurdistan.
Nel piccolo anfiteatro all’aperto del centro sociale alla periferia della città si è raccolta una platea trasversale di persone di varia età. Michele Rech - vero nome dell’artista - ha conquistato definitivamente il grande pubblico, infatti, con la recente serie Netflix “Strappare lungo i bordi”, racconto dolce-amaro di vita, irresistibilmente comico e malinconico allo stesso tempo, e ancora prima con la striscia “Rebibbia quarantine”, sul periodo del lockdown per il Covid19.
Per cui, anche se il freddo si fa sentire, sono centinaia i giovani e giovanissimi, quarantenni e sessantenni che si trattengono, e le domande non si fanno attendere; pazienza se un diciottenne si avventura in un “Lei” che lascia di stucco questo “giovane” alle soglie dei 40 che non sa di essere un punto di riferimento per chi si vuole avventurare nell’arte del fumetto o per chi è semplicemente un ammiratore della sua straordinaria abilità di trattare grandi temi con acuta sensibilità e umorismo graffiante.
Non c’è spazio, infatti, per incensi e onori nelle pieghe delle spalle ritirate e nella fedele parlata romana da eterno ragazzo di periferia, Rebibbia, - “il posto più bello del mondo!”; qui, racconta, i centri sociali e il punk sono stati la casa e l’humus dove sono cresciute la sua personalità e la sua arte. E alla domanda “Come sei diventato quello che sei?”, la risposta non può che essere, da perfetto kamikaze esistenziale, “Ma perché io chi sono?”.
Sguardo candido e posa dimessa, umiltà e schiettezza, serissimo nel non prendersi sul serio e nel riconoscere che è stato fortunato, davanti a chi gli chiede perché è rimasto in Italia, paese che non valorizza gli artisti, e neanche i giovani: ma rimanere a Rebibbia è una scelta consapevole e possibile, risponde, e c’è rispetto – sofferto - per quelli che se sono andati e ancora di più per chi è rimasto, standoci male. L’andare e il restare è un tema che risuona a queste latitudini, il pubblico lo capisce e non c’è bisogno di aggiungere altro.
Restano 250 copie da firmare, tutte. Seduto a un tavolino al freddo, per tre ore, con un succo di frutta e un po’ di pane “cunzato”, Zerocalcare regala a tutti una pazienza infinita, insieme a un armadillo, il suo alter ego, un sorriso, e soprattutto uno sguardo diretto occhi negli occhi, quasi a non volersi perdere nessuno dei volti che incrocerà probabilmente solo questa volta nella vita. Ed è probabilmente la sua più grande lezione, da uno che lezioni non ne vuole dare.
Grazie, Michele!