È importante la polemica politica e anche il confronto sui processi "sensibili" che investono direttamente il vivere civile e la responsabilità pubblica. La Società, infatti, si arricchisce nel dibattito!
Però c’è un limite al "cattivismo", anche al cattivismo motivato e “giustificato” dal collocarsi senza remore tra i "giusti" e gli "onesti", contro – ovviamente – i corrotti e i venduti al potente di turno (gli altri, si intende!).
In questi anni lo abbiamo visto alla prova questo facile populismo, la demagogia a buon mercato che sa individuare facilmente i nemici in un contesto artatamente manicheo ma che non sa offrire soluzioni, perché disconosce che la politica e la società sono complessità e articolazione delicata tra diritti, doveri e garanzie a tutela del Singolo, anche del singolo che affronta un processo come imputato.
In questo contesto, mi domando, quanto semplicismo e rozzo sostanzialismo si palesa nel coinvolgere gli avvocati "direttamente" nelle vicende dell’assistito, come fossero complici e sodali? Ciò è accaduto, sui social, in relazione ad uno specifico processo che coinvolge ex politici e amministratori reggini.
Come si fa a dimenticare furbescamente il principio costituzionale secondo il quale tutti - proprio tutti, anche il più feroce "Caino" - ha diritto alla difesa tecnica del legale di fiducia?
E che c'entra, poi, che l'avvocato di un politico o di un affarista (o di un “presunto” omicida) sotto processo sia del PD o di FI?
E che senso ha rivangare le esperienze politiche di questo o di quell’avvocato mettendole in relazione con l'impegno in tribunale? Delegittimando un ruolo indispensabile per fare, davvero, Giustizia?
Non si può rimestare così nel torbido, non si può prendere, ad esempio, un brogliaccio di polizia, una requisitoria del PM, e spacciarla come sentenza definitiva!
Tutto ciò è stucchevole e pericoloso non perché sono solitamente coinvolti in queste dinamiche ex potenti che saranno giudicati, si spera, "laicamente" per i loro torti, anche attraverso la possibilità di enucleare le proprie ragioni nel dibattimento, ma perché nel tritacarne mediatico/giudiziario - quello, lo ripeto, che squalifica il ruolo del difensore trascinandolo quasi in correità - ci cascano anche le persone comuni, normali.
Perché gli errori giudiziari ci sono, come le retate con pochi distinguo, come gli arresti poi annullati e forieri di risarcimenti per gli innocenti in carcere!
Per questo, per tutto questo, le forme e le garanzie sono importanti!
Per questo gli avvocati - anche e soprattutto gli avvocati dei mafiosi, dei colpevoli coram populo, dei condannati e “giustiziati” sulla stampa e sui social - vanno difesi e tutelati!
Perché la perdita di diritti (e di libertà) è un processo dinamico e progressivo che si nutre di facile giustizialismo, di indignazione e, così, partendo dai “mostri”, alla fine, coinvolge massivamente i deboli, i reietti, gli esclusi.
Il caso americano è in tal senso esemplare: l’utilizzo emergenziale del diritto ha condotto - attraverso il meccanismo delle recidive che moltiplicano spaventosamente la pena - all’applicazione dell’ergastolo anche per reati non di sangue, realizzando in ultima analisi una “giustizia di classe” che coinvolge principalmente afroamericani, minoranze, provenienze territoriali, ghetti.
E in Italia, purtroppo, per molti versi, non siamo distanti da queste logiche con la criminalizzazione di interi territori, con la narrazione, ad esempio, di una Calabria irredimibile.
Non si può essere offerti al pubblico ludibrio, sottoposti agli spifferi subdoli del moralismo, solo perché si fa il proprio lavoro, perché si accetta un incarico professionale, una difesa tecnica.
Dove c’è strage di Diritto c’è strage di popoli, di Comunità, di conoscenza, ce lo ha insegnato Marco Pannella.