Secondo lo Svimez, nel prossimo triennio circa 20 miliardi di euro del Pnrr dovranno essere gestiti da Regioni e Comuni del Mezzogiorno.
Temo fortemente che non saranno in grado. Questa mia affermazione, che può sembrare lapidaria, nasce dalla considerazione che buona parte degli enti che saranno chiamati (c’è da capire quali e quanti progetti verranno presentati…) a gestire, spendere e rendicontare, possibilmente mettendo a frutto le risorse concesse, sono già in sofferenza, sia dal punto di vista della dotazione organica, sia dal punto di vista finanziario, quindi impossibilitati da vincoli di bilancio ad assumere competenze e profili specializzati per la partecipazione ai bandi né fare ricorso ad assistenza tecnica per le fasi successive. In questo senso, le regole stringenti del Pnrr rischiano di ampliare ancora di più ed irrimediabilmente le diseguaglianze tra Nord e Sud.
Non si possono applicare regole uniformi a condizioni territoriali differenti. A meno che non si intenda, furbescamente, favorire alcuni territori a danno di altri.
La debolezza istituzionale degli enti locali del Sud salterà agli occhi, ad esempio, quando ci saranno i bandi da cofinanziare, come è stato per gli asili nido. Non un solo Comune si può permettere di cofinanziare, con una quota accettabile, i progetti per la partecipazione ai bandi. Questo è un dato amaro ma incontrovertibile.
Per non parlare della capacità propositiva ed innovativa. Spalle al muro, gli enti stanno tirando fuori dai cassetti progetti vecchi, magari aggiornati nei prezzi, ma ormai datati e senza una “visione” strategica, nella speranza di realizzare qualche opera pubblica…interventi a moltiplicatore “zero”.
Per non parlare delle risorse previste da quelle linee di intervento che non prevedono allocazione territoriale, quelle insomma destinate alle “imprese”. Ovviamente quelle somme andranno dove c’è maggiore concentrazione e serviranno a potenziare settori strategici per il lavoro e per i consumi…al Nord!
Transizione Ecologica? Digitalizzazione spinta? Rischiamo di restare tagliati fuori anche da questo. Sarò pessimista, ma da quanto leggo sono in buona compagnia. Economisti del calibro di Gianfranco Viesti, intellettuali e giornalisti come Marco Esposito, ascoltato ieri a Reggio in occasione di un incontro organizzato dalla Fondazione Falcomatà per commemorare Italo a vent’anni dalla sua morte, hanno da tempo lanciato l’allarme, mentre in tanti gioivano e si accapigliavano sulle percentuali destinate al Sud.
Credo che una struttura centrale di alto profilo, che affianchi le Regioni e le Città “meno attrezzate”, diciamo, potrebbe rappresentare un aiuto, un’assistenza tecnica importante per dare una visione globale. Più o meno come fu negli anni ’70 con la Cassa per il Mezzogiorno.
Il Sud ha bisogno di un’ossatura infrastrutturale e di riforme, di zone economiche speciali e di coinvolgimento pieno e consapevole delle Università nel tradurre in “fatti” le “idee”.
Ed ha bisogno di meno politica autoreferenziale e miope e più consapevolezza nei propri mezzi. Lo Stato abbia il coraggio di azzerare il gap finanziario, conceda più opportunità a chi più ha bisogno, altrimenti il Pnrr sarà la pietra tombale, altro che ridurre le diseguaglianze.
Federico Curatola, urbanista, Presidente Centro Studi Enrico Costa