Mercoledì, 11 Settembre 2024

                                                                                                                                                                             

 

                                                                                                                                                                                                          

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"COLLOQUIA" LA NUOVA COLLANA DI CdS PRESENTA LA MONOGRAFIA SU SAVERIO STRATI. L'EDITORE INTERVISTA L'AUTORE GIUSEPPE TRIPODI

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«Colloquia», la nuova collana  di critica letteraria di «Città del Sole edizioni» inizia con una monografia di Giuseppe Tripodi su Saverio Strati scrittore di romanzi

L'autore in dialogo con Franco Arcidiaco, presenta il suo lavoro.

Arcidiaco: Abbiamo discusso sulla intitolazione della nostra nuova collana di critica  letteraria e lei ha proposto «Colloquia». Come mai?

Tripodi: È il titolo di un'opera di Erasmo che esprime, nella forma di dialogo, gli ideali di indipendenza intellettuale, di tolleranza, di dialogo tra i dotti, di parità tra i sessi, che costituiscono il nucleo della filosofia umanistica e rinascimentale nonché  l'anticipazione della migliore cultura europea dei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Auspichiamo per la collana testi di studiosi meridionali che, in dialogo anche immaginario con gli autori studiati, rendano esplicita la condizione di chi vive nel e scrive del Mezzogiorno italiano. 

A.: Ci può presentare brevemente il suo libro su Strati?

T.: Si tratta di un volumetto diviso in due parti: nella prima viene ripubblicato il ritratto critico che apparve nel 2010 su «Belfagor», rivista fondata da Luigi Russo e poi diretta fino all'ultimo numero, novembre 2012, dal figlio Carlo Ferdinando. Il profilo, assieme a quelli di Otello Profazio e Rosario Villari, fu ristampato una prima volta nel 2017 da «Città del Sole».

Nella seconda parte ci sono delle schede su tutti i romanzi stratiani e, infine, un numero considerevoli di pagine dedicate agli aspetti lessicali e linguistici nei romanzi di Saverio Strati, soprattutto sul rapporto in essi del dialetto con la lingua italiana. Queste pagine del libro sono una novità quasi assoluta perché c’è stata, nella critica del secolo scorso e di questi vent'anni del nuovo, poca aratura rispetto a questi temi.

Fa eccezione un lungo articolo, sul romanzo «Il nodo», di Stefano Lanuzza, un siciliano che ha vissuto la sua prima giovinezza nella Reggio Calabria degli anni Sessanta del secolo scorso e che poi è andato a vivere  a Firenze e ad insegnare all'Università.

A.: Dal libro emerge un rapporto intenso, da parte sua, con i romanzi di Strati. È stato così anche con la persona del narratore?

T.: Ho cominciato a leggere Strati dal 1972, con «Noi lazzaroni». Mi ha incantato. Allora avevo, come tutti i giovani, un «io ipertrofico» che privilegiava le situazioni in cui c'erano analogie con la propria esperienza, che poi è una condizione universale di ogni lettore che si accosta con entusiasmo alle pagine altrui. Strati era calabrese, aveva faticato nei campi, aveva fatto studi letterari, era emigrato, apparteneva alla sinistra politica: un archetipo per me che avevo già compiuto, o stavo per compiere, tutti quei passaggi e quelle stazioni. Ho riletto all'indietro le pubblicazioni precedenti e ho aspettato quasi con ansia i libri usciti dopo; ho invitato gli altri (parenti, colleghi, studenti, carcerati) a leggere Strati, spesso regalando i volumi. Poi ho riletto e riletto anche gli studi critici, fino alla realizzazione del presente lavoro. In conclusione una storia di letture e libri che dura da più di mezzo secolo.   

A.: E con Strati come persona?

T.: Strati era un uomo molto riservato. E poi c’era il detto dei nostri antichi che «pe’canusciri n’omu s’annu a mangiari setti sarmi di sali assiemi!». La salma, come tutte le unita di misura prima del sistema metrico decimale, equivale a molteplici quantità di aridi e di liquidi almeno una per ogni mercato locale siciliano; da circa 275 kg a sedici tomoli, più di sei quintali, di grano. Se contiamo che in un pasto si consumano pochi grammi di sale, si capisce che nessuno arriva a conoscere nessuno secondo quel parametro. Strati l’ho incontrato solo due volte: una volta a Melito, in un incontro del 1972 con Pasquino Crupi, in cui raccontò l'esperienza che aveva fatto come giovanissimo apprendista muratore in una frazione di quel comune (riportata anche in «Avventure in città») e, poi, mi parlò della visita a Polsi, da cui stava tornando, soffermandosi sulla macellazione selvaggia delle capre e sugli impressionanti rivoli di sangue che scorrevano nei pressi del convento e della chiesa.

Un’altra volta, dopo alcuni anni, lo incontrai alla biglietteria della stazione centrale di Reggio Calabria; stavamo facendo, su due file contigue, la fila per acquistare il biglietto e così scambiammo alcune battute più o meno estemporanee. Tutto qua!

A.: Nel libro, dopo l'entusiasmo della prima parte, c’è, nelle pagine ulteriori, una sorta di censura continua e, a volte, insisitita e irriverente. Come mai?

T.: Mah, Hegel diceva che a forza di approfondire una cosa si sfocia nel suo opposto. Senz’altro si tratta di ripensamenti che sono frutto di letture più intense e comparate nonché di sfasature nei contenuti e nello stile fra un’opera e l'altra. Su alcune vicende familiari ho ripreso e consolidato notizie fornitami da persone che hanno conosciuto Strati e la famiglia e poi, in ultimo, ho letto l'interessantissimo volume («Prima di tutto un uomo», Cosenza 2017) di Palma Comandè, nipote dello scrittore, sulle vicende paradossali della guerra familiare che oppose Saverio Strati e lo zio Filippo Romeo, fratello della mamma, in ordine all’eredità dell’altro di lei fratello Giovanni Romeo per la successione di quest’ultimo. Nella vicenda lo scrittore si comportò molto male, si fece accecare tanto dall’odio che finì per rovinare anche la vita della sorella Teresa rimanendo, alla fine, con un pugno di mosche in mano.   

    


 

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