Sabato, 05 Ottobre 2024

                                                                                                                                                                             

 

                                                                                                                                                                                                          

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GIACOBBE INGANNA, I VOLTI DELL’AVVERSARIO DI R. ESPOSITO

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Dieci versetti. E precisamente: Genesi (32, 23-33). L’Antico Testamento. Ma poi… Anche: Giacobbe, l’Avversario, la lotta, la notte e il fiume. Il nome e la benedizione. Un «minuscolo» episodio della Bibbia, nel suo significato: oscuro, multivoco e ambivalente; probabilmente anche ambiguo, sfumato, vago, indefinito e disorientante. Roberto Esposito in questo suo brillante I volti dell’Avversario (Einaudi, Torino, 2014) esce fuori dai soliti binari nei quali, da anni, ha prodotto il proprio lavoro scientifico e, stavolta: si rende conto che: «Questo saggio inserisce un passaggio eterogeneo, uno scarto tematico, lessicale, timbrico - una rottura», appunto: nella «successione» dei suoi libri! Per quale motivo? Questa «rottura» conduce il filosofo di Piano di Sorrento a fare i conti con «Un diverso rapporto con la verità»; «Non parlo della Verità, ma della verità personale». La «figura» del patriarca Giacobbe (l’ingannatore ingannato dall’«angelo» - l’«Avversario del titolo del libro» - (mentre si trova ad aver attraversato «Il guado dello Iabbòq», «un piccolo affluente» del fiume Giordano) che lo spinge a uno «scontro, incontro, confronto» che si traduce nel «quadro» semantico di «Due esseri che lottano senza perché, fino all’alba e forse anche dopo, alla fine dei giorni». L’«Inganno dell’angelo» consiste nell’«Elemento violento, il colpo di forza, che lo sconosciuto sferrava nei confronti dell’aggredito». «All’intrasartu» si dice in dialetto reggino: senza che nulla lasciasse presagire il fatto; senza nessun avviso; appunto: «Senza perché»! Esposito, dunque, circoscrive quello che gli sta a cuore («Un diverso rapporto con la verità») nella messa in scena di una «condizione umana» segnata dalla «lotta». Esistono, a questo proposito: due livelli! Al primo livello la «forma dell’esistenza» (o «condizione umana»), che è sempre una caratteristica «generale» (potremmo dire: «universale») la quale riguarda tutti gli uomini. Al secondo livello, invece: c’è qualcosa che riguarda il «singolo» uomo ( Gianfranco, Roberto, eccetera): ovvero: il fatto precipuo che costui si «oppone» a qualcun altro. Per cui vi è lo stigma di una «duplice» lotta: una «lotta» più generale e una seconda «lotta» particolare. Questa «Duplice lotta» - che poi è quella che contrappone Giacobbe all’angelo - contraddistingue quella «verità personale» che Roberto Esposito stava cercando. Nelle parole del filosofo: «Il mondo, percorso dal Nemico e da tutte le figure malefiche in cui s’incarna, è destinato a restare sempre in bilico, in equilibrio precario, tra bene e male, luce e tenebre, nell’attesa, irragionevole, che la notte cessi». O, in altro luogo: «Per quanto possa procurare la morte, quella lotta non può che richiamare la vita: prima ancora che il profilo dei lottatori possa delinearsi, è la tensione che li tiene in vita». Esposito ci sta dicendo una cosa: «la verità di noi stessi» (probabilmente: «la verità di quello che noi stessi siamo») è una «tensione», è un «opposizione» ed è una «bilancia». Isacco e la moglie «sterile» Rebecca in virtù dell’«Aiuto del Signore» hanno, alla fine, due figli (due gemelli): Esaù e, appunto, Giacobbe. Quest’ultimo, con l’«inganno», si fa riconoscere «primogenito». Ma c’era il fatto che Dio aveva «promesso» una terra ad Abramo. Genesi (28, 10-22): «Giacobbe se ne uscì da Beersheba e si diresse verso Harràn, perché il sole era tramontato. Prese una delle pietre del luogo, se la mise sotto il capo e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo e gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Il SIGNORE stava sulla sommità e disse: “Io sono il SIGNORE, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. La terra sulla quale sei coricato la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra; ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. Tutte le famiglie della terra si diranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sono con te: ti proteggerò ovunque andrai e ti farò tornare su questo suolo. Sì, non ti abbandonerò senza aver fatto quanto ti ho promesso». Dopo questo «rinnovamento della promessa» «Fuggito da casa per sottrarsi alla vendetta di Esaù, Giacobbe si dirige verso Harran, cercando protezione verso Labano, fratello della madre». Esaù lo sta cercando/inseguendo con un «piccolo esercito»; dopo il «sogno della scala» passano «due giorni»: nella «seconda notte» vi è lo scontro con l’Avversario/angelo la cui «identità» è del tutto indefinita e che possiamo battezzare «X». A causa di questa «duplice lotta» - della quale abbiamo detto - Giacobbe ne ha: una «benedizione», il proprio «nome» cambiato in «Israele» e una «ferita» al «femore» che lo porterà a «zoppicare» per tutto il resto della sua vita. Che cos’è questa «X»? Roberto Esposito afferma che «la configurazione più frequente dell’Avversario nella letteratura teologica e soprattutto in ambito artistico, è quella angelica». Ma, «in realtà», cos’è questa «X» per Roberto Esposito? Abbiamo detto che la «dimensione» di una «duplice lotta» è la nostra condizione naturale. Gianfranco lotta contro Roberto e lotta anche contro «qualcosa che egli non sa», perché lui stesso è fatto così: «Deve lottare perché può lottare». E’ «necessario» che egli lotti contro questa «X» e che lotti, nello stesso tempo, contro Roberto. Dunque? La «verità» non è quella scema e semplice della Casalinga di Voghera: «la vita è una lotta». No. La «verità» è che si lotta costantemente e contemporaneamente contro qualcosa che si ha davanti e contro qualcosa che ci trascende. In questo senso: «Lottiamo sempre per la nostra verità. Per cercare di vederla, almeno per un attimo, “faccia a faccia”»; la «nostra verità» - ad un tempo e insieme metafisica e reale - è la presenza (fuori o dentro di noi; oppure meglio: fuori «e» dentro di noi) di un «Avversario». Quella «X» di cui si diceva, quella «tensione», quella «bilancia» (lo stare «in bilico») è la manifestazione di un destino. Nello stesso momento in cui cerchiamo di pagare le bollette, facciamo una ricarica al cellulare, ci innamoriamo … Non possiamo che renderci conto che «esiste qualcosa che ci sovrasta» e che non sono solo le tasse da pagare (l’«Avversario»), le malattie e la morte ma anche una «dimensione incognita» (una «X», appunto) che è la «nostra verità».

 


 

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