Gli abitanti di Melito non godono buona fama presso i paesi vicini, forse per l’invidia dei suoi viali: quello delle Rimembranze, dove nessuno più passeggia neanche d’estate, e quello intitolato a Garibaldi dove una volta pulsava la vita economica della cittadina e dove si affacciava il più importante motore di sviluppo e di occupazione: l’ospedale fondato da Tiberio Evoli dopo il terremoto del 1908 e oggi in stato di abbandono con i padiglioni, vecchi e nuovi, svuotati di personale e di malati.
Oggi l’ultrasessantenne dai buoni studi e dalla fortunata carriera, nato nel centro ionico e buon conoscitore della macchina e attività amministrative per essere stato segretario generale di grandi comuni italiani (da ultimo e prima della quiescenza nella Genova dimezzata dal crollo del ponte Morandi), è stato candidato dalla Lega a sindaco della città di Reggio Calabria.
Non è una candidatura condivisa la sua, anzi potrebbe portare il centrodestra alla spaccatura e alla sconfitta.
Il contrasto non è soltanto politico ma anche antropologico. È difficile che i reggini, dotati di smisurata autoconsiderazione, convergano i loro voti su un personaggio che è nato in provincia.
Già sono cominciati sui social i luoghi comuni veicolati dai proverbi: “E cu èravu supra ssa barca?” “ Tri cristiani e un melitoto!”; “Chi ndai chi ciangi?” “Mi dissi facci i melitoto!”; “Melitoti?” “Mangiasardeddhi!”.
Io aggiungo un aforisma che ho appreso da Otello Profazio: “Melitoti?” “Cori i nnannàta!” ove la nnannata altro non è che la ‘neonata’ del pesce azzurro da cui si ricavano gustosissime frittelle; si immagini quanto piccolo deve essere, nella considerazione dei cittadini di Reggio, il cuore del melitoto che ha osato aspirare alla carica di loro sindaco.
D’altra parte un esponente di primo piano del centrodestra come l’avvocato Aurelio Chizzoniti ha già ripetutamente dichiarato che vorrebbe si Minicuci sindaco ma… di Melito Porto Salvo; ergo i reggini non possono degradarsi a votare un provinciale sia pure di successo come il candidato del centrodestra.
Ma quali sono le origini di Antonino Minicuci? Il padre era comandante dei Vigili Urbani della cittadina ionica (Ntoni u guardia) ed era un uomo d’ordine; da lui saranno discese l’impalcatura mentale e il motivato cursus honorum del figlio. Nessuna influenza sembra aver avuto nella formazione del dottor Minicuci la famiglia della madre che era figlia di Peppi Romeo detto U Cafetteri, venditore di scarpe per diverse generazioni di melitesi nonché comunista incorruttibile e di buon ingegno anche politico.
L’impresa cui si è votato il dottor Minicuci è molto difficile ma diceva Bacone che chi vuol conquistare fama a imprese difficili deve dedicarsi; la sua figura appartiene ad un milieu culturale cui la lega di Salvini è assolutamente estranea ma di cui, nel contempo, ha assoluto bisogno per poter tornare nella stanza dei bottoni dopo che l’uomo del Papeete si è improvvidamente autoescluso da un governo di cui era il padrone assoluto.
Certo che ove Minicuci diventasse sindaco di Reggio potrebbe aspirare anche ad incarichi più importanti in un panorama politico fatto di analfabeti di ritorno e di uomini senza arte né parte (ahimè anche a sinistra!); ma la prospettiva di una proiezione nazionale della sua figura permarrebbe anche in caso di sconfitta.
In un’intervista il candidato leghista ha detto di aver chiesto a Salvini garanzie non personali ma per la città. Ma una persona di sì alte competenze e prestigio può ben aver chiesto al partito, in cui le menti fini non sono di casa, una contropartita in caso di sconfitta.
Temiamo però che alla lunga la preparazione amministrativa del dottor Minicuci potrebbe ritorcersi contro di lui. Nel partito dei ciechi quelli con un occhio solo che ne hanno il monopolio potrebbero ben coalizzarsi contro l’estraneo e il terrone binocolo che minaccia le loro cadreghe, grandi e piccole.