Perché votare?
A meno di un mese dall’appuntamento elettorale del 25 settembre è questa la domanda che imperversa tra i giovani.
Nell’atipica campagna agostana ad alte temperature, la politica è in fibrillazione.
La decisione di sfiduciare il governo guidato da Mario Draghi senza attendere la fine della legislatura ha determinato una situazione di profonda instabilità, in continuità col panorama che negli ultimi anni ci siamo tristemente abituati a vedere. Un’instabilità che mina ancora una volta le certezze, già labili, della mia generazione, che si avvicina alla fatidica data senza i mezzi per affrontarla.
Sebbene, a seguito della riforma costituzionale approvata lo scorso luglio, 4 milioni di under 25 abbiano ampliato la platea dell’elettorato attivo per il voto in Senato, tale platea è percorsa, ad oggi, da una crescente insoddisfazione.
Dagli ultimi sondaggi condotti da Quorum/YouTrend si riscontra come 9 italiani su 10 ritengano che i giovani siano esclusi dall’agenda delle coalizioni.
Si stima inoltre che il cosiddetto partito dell’astensionismo oscilli tra il 42% e il 45%.
Numeri sconfortanti che rivelano una scomoda verità: lo scollamento definitivo della classe politica dalla realtà giovanile.
Mancanza di rappresentanza e di visione programmatica a lungo termine sono le ragioni che spiegano il malumore dei millennials, inascoltati.
In queste ultime settimane si cerca di intercettare il consenso degli indecisi.
L’iscrizione della maggioranza dei leader politici al social network del momento, TikTok, rappresenta un tentativo in zona Cesarini di mascherare una comunicazione spesso deficitaria di contenuti.
Un’invasione di campo in un mondo che non si addice a chi dovrebbe, auspicabilmente, assumere un atteggiamento istituzionale anche nello svolgimento della campagna elettorale.
Un atteggiamento istituzionale qualificante il rapporto tra cittadino e parlamentare, tra eletto e elettore, abbandonato, nostro malgrado, in favore dei più semplicisti slogan, del personalismo patologico, del trasformismo e dell’incoerenza assurta a vessillo da sbandierare con orgoglio.
Anomalie assorbite da un sistema irrimediabilmente compromesso.
Accanto a chi consapevolmente rifiuta di recarsi alle urne c’è poi chi vorrebbe esercitare il proprio diritto ma ne è impossibilitato: i fuorisede.
Come denunciato dalla Senatrice Emma Bonino (Più Europa) e dall’Onorevole Piero Fassino (Pd) 5 milioni di persone tra studenti e lavoratori lontani dal proprio comune di residenza rischiano di disertare i seggi.
Una circostanza che spingerà presumibilmente tanti giovani a rinunciare ad esprimere la propria preferenza.
La partita si giocherà con un pubblico sugli spalti molto ridotto e poco partecipe; la gente predilige lo streaming, anche se va a rilento.
Il giovane diciottenne, elettore debuttante, riluttante a dare il voto, quella domenica rimarrà sul divano per vedere la giornata di campionato.
Se si profila questo scenario a che serve quindi votare?
Per essere sistematicamente relegati in panchina?
Serve a scegliere, a capire e contribuire alla cosa pubblica. Il voto è un dovere costituzionale, prim’ancora che un diritto.
Perciò ragazzi andiamo a votare, diventando titolari del nostro presente.
Non avendo paura di sbagliare un calcio di rigore.