Se la questione meridionale è stata e continua ad essere parecchio “approfondita” (oltre che strumentalizzata) da diverse prospettive, non possiamo dire altrettanto della questione settentrionale. Analizzare quest’ultima servirà a munirci di una chiave di lettura più onesta, sincera, logica di come “funziona” l’Italia.
Occorre fare alcune premesse. Anzitutto la questione settentrionale non va intesa allo stesso modo con il quale qualche “visionario” l’ha tradotta come problematica appartenente al Nord, nata con la fondazione del Regno d’Italia e che racconta di un settentrione attivo, progredito ed operoso contrapposto al potere centrale romano ed al popolo meridionale parassitario e arretrato. Non dovrebbe essere molto difficile stimare il peso di chi in passato ha sostenuto queste teorie. Basterebbe prendere atto che tale pensiero ha ispirato la nascita della “Lega nord, per l’indipendenza della Padania”: partito e, soprattutto, corrente di pensiero, che rivendica l’appartenenza ad una terra mai esistita né in storia, né in geografia (se non da poco), che conduce una battaglia a “difesa” di risorse illegittime delle quali gode mentre sostiene di subirne il furto.
In questi giorni leggiamo del boom degli iscritti nelle università del Sud. Solo in Calabria c’è un + 60% e si aspettano risultati simili anche in Puglia e Sicilia. Non sono mancate, quindi, le reazioni dei sostenitori della “padania” (di qualsiasi partito).
Questa è la prova (qualora ce ne fosse bisogno) che se il Sud si “muove” a Sud, al Nord si ferma quasi tutto. Pensate se nel giro di pochi anni le università nordiche si svuotassero di meridionali: meno soldi di tasse universitarie, meno affitti esorbitanti in quei buchi (o gallinai), meno vendite ai supermercati, meno entrate nelle attività della movida o nei negozi di abbigliamento, meno vendite di biglietti per i viaggi in treno ed aereo (feste, ponti, urgenze, scappatelle e via dicendo), meno pedaggi, meno tutto.
Per non parlare poi se la stessa cosa succedesse in ambito sanitario. Basti pensare che la Calabria trasferisce ¾ della sua spesa sanitaria alle regioni del nord (si chiama “mobilità passiva” e conoscerla aiuta a convincersi che i nostri malati “servono” e nessuno ci fa un favore a curarli).
Pensateci. Il Sud curandosi a Sud lascerebbe i propri soldi qui. Non parlo solo delle centinaia di milioni spostati presso strutture sanitarie del centronord che, invece, rimarrebbero sul territorio. Anche qui c’è da considerare tutto: attività ricettive, supermercati, carburante e persino il bar dell’ospedale che ospita il malato.
Stessa cosa al supermercato, se solo cominciassimo a comprare in massa prodotti di aziende meridionali. Queste ultime, fino ad oggi, destinate a rimanere minuscole rispetto a quelle del resto d’Italia. Senza sforzarsi troppo, abbiamo la soluzione in mano: comprare prodotti del Sud significherebbe far crescere le aziende; aziende cresciute significherebbe più posti di lavoro; più posti di lavoro significherebbe meno emigrazione; meno emigrazione significherebbe economia circolante (e meno mortificazioni); economia circolante significherebbe prosperità; prosperità significherebbe infrastrutture; infrastrutture significherebbe migliore condizione sociale. Si potrebbe continuare per pagine.
Bisogna saperlo e non dimenticarlo: legge colonialista vuole che qualcuno (Nord) deve produrre e qualche altro (Sud) deve comprare. Non è un caso, infatti, che dalle regioni settentrionali venga spedita verso il meridione d’Italia la maggior parte della produzione, superiore di gran lunga a quella che esportata nell’intero resto d’Europa.
In compenso abbiamo una soluzione pacifica e civile: scegliere come e cosa comprare.
Se il Sud agisse da e nel Sud la “ruota” non girerebbe più ed allora potremmo (purtroppo) assistere ai primi effetti devastanti della “questione settentrionale” sui settentrionali stessi.
È infimo il sistema delle due Italie ed è un peccato che sia così. Anche se, di certo, non lo abbiamo scelto noi terroni brutti e cattivi. È il caso di dirlo: chi di spada ferisce, di spada perisce.
Attualmente la soluzione della questione settentrionale poco interessa agli stessi settentrionali. Anche se non vi è dubbio vada comunque affrontata e, magari, risolta, in quanto essa funga da “semenza ed innaffiatoio” di un’altra questione che ci portiamo dietro da oltre un secolo e mezzo.
Per guardare al futuro occorre fare un piccolo salto nel “passato”.
Senza nascondere i problemi legati al periodo storico, non si può negare che dal Regno delle Due Sicilie si emigrava con una percentuale simile a quella con la quale oggi si emigra dalla Germania. Quando Garibaldi, prima del periodo unitario, si incontrò in diverse zone d’America con gli emigrati della penisola italiana, trovò quasi tutti settentrionali (lo scrive lui stesso nei suoi testi).
La Calabria (tenetevi forte!) era la regione con più occupati della penisola ed una delle terre più industrializzate d’Europa. In Calabria si veniva a lavorare dal Nord e dall’estero. Con la falsa Unità d’Italia non solo si ribaltò completamente la tendenza, si creò un vero e proprio sistema volto a mantenere le cose invariate nei secoli. Non a caso il genovese Carlo Bombrini, primo governatore della Banca Nazionale, in uno dei suoi primi discorsi in parlamento a Torino, riferendosi ai meridionali esclamò: “non dovranno mai essere più in grado di intraprendere”.
Sembra che si stia parlando di questione meridionale, vero?
Questa, però, è anche e soprattutto questione settentrionale.
Furono quelli gli anni in cui si misero le basi di un ambiente economico destinato a far piangere obbligatoriamente qualcuno. Fino ad oggi effettivamente ha pianto solo il Sud che, da quanto l’Italia esiste politicamente, è fonte vitale per la crescita del Nord, il quale nel frattempo vede (o forse no) sviluppare la sua “questione” che se mai dovesse “scoppiare” metterebbe in ginocchio quelle regioni.
Il divario colossale degli investimenti nelle infrastrutture di ogni genere e la mancanza di un sistema bancario autonomo meridionale, fanno risuonare le parole pronunciate da Bombrini al parlamento di Torino oltre 150 anni fa e dimostrano che non vi è davvero alcuna intenzione di far crescere qualsiasi fenomeno economico di importante rilevanza che parta da “giù”. Per questo bisogna gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Non vi è differenza tra il periodo del governatore Bombrini che, prima di smantellare tutto e spostare le commesse all’Ansaldo di Genova, fece gestire la Fabbrica di Pietrarsa a un milanese, il quale più passava il tempo e più aumentava le ore del lavoro e diminuiva i salari, e l’inganno dell’occulta gabbia salariale generata dalle condizioni pessime di lavoro delle imprese attuali meridionali, da un tasso di disoccupazione giovanile di oltre il 50% e di disoccupazione generale che supera del doppio il Centro-Nord; se non che nel 1863 a Pietrarsa seguì un massacro di circa 600 lavoratori ed oggi, nel 2020, segue un’emigrazione forzata di massa che annienta la dignità di milioni di persone.
Spaziando in ogni settore il meccanismo è sempre più o meno simile. Spostando il tiro sul turismo, sarebbe interessante conoscere chi avesse il coraggio di sostenere che a parità di servizi, mezzi di comunicazione e dignitoso immaginario globale, il turista (soprattutto straniero) preferirebbe la riviera Romagnola alle coste Pugliesi o la riviera Ligure alle Coste Calabresi.
Sembra puro campanilismo? Può anche esserlo. Ogni tanto serve anche quello (in giusta dose), soprattutto nella nostra condizione.
A fronte di tutto ciò, mentre c’è chi ancora crede al ministro delle infrastrutture “di turno” che racconta la barzelletta dell’impossibilità a portare l’alta velocità fino a Reggio Calabria per via dell’eccessiva presenza di montagne (magari ci spieghi come altrove è accaduto), chi prenderà atto che in Puglia vi è il 53,3% di pianure, il 45,3 di collina, l’1,5% di montagna e, nonostante questo, nemmeno lì arrivino queste opere?
Possiamo dire di trovarci, quindi, di fronte ad un’unica questione che ad oggi, pesando solo sugli italiani sfigati (ovvero noi del Sud), viene alimentata. Domani, forse, quando graverà su quelle zone del paese che fino a quel momento ne hanno solo tratto vantaggio, verrà affrontata con serietà.
Ci auspichiamo, ovviamente, che comunque vada nessuno si faccia male. Anche se, tirando le somme, a Sud ce ne siamo fatto tanto e a nessuno è interessato seriamente.