Lunedì, 01 Luglio 2024

                                                                                                                                                                             

 

                                                                                                                                                                                                          

C Cultura|Società

COSMICO, INTIMO BENCIVENGA

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Ermanno Bencivenga si dà alla poesia. In questa sua Cosmica, intima commedia (Gingko Edizioni, Verona, 2024) il confronto con Dante Alighieri è continuo e costante. Ma anche con l’Aristotele dell’Etica Nicomachea e l’Immanuel Kant della Critica della ragion pratica. In sostanza, Bencivenga «riscrive» la Divina Commedia (con tanto di «Inferno», «Purgatorio» e «Paradiso») e in 100 canti, tra l’altro molto ben scritti e poetati, ci conduce all’interno del suo «sistema filosofico». Il quale è una forma di «metafisica trascendentale» o «idealità filosofica» oppure ancora, detto altrimenti: «Con il mio collocarmi tributario del kantiano idealismo, e dell’io labile/ che risulta da tale armamentario». Personalmente preferisco dire che il «sistema» del filosofo di Reggio Calabria sia un’«idealismo razionale» o un «razionalismo idealistico» e cercherò di spiegare anche perché. Contorcendosi e dimenandosi, nel corso dei suoi «canti», fra una storia personale narrata (e per questo questa Commedia è «Intima») e una «storia» di «pensiero» (la «speculazione» sua personale che diventa «Cosmica» - ovvero, che abbraccia l’uomo, il mondo, la natura e l’intero Universo), Ermanno Bencivenga riesce a regalarci - con esisti a dire il vero sorprendenti - una vera e propria summa del suo pensiero. La sua «storia personale» è presto detta: l’«io narrante» (e «poetante») si trova «Nel mezzo della vita quotidiana»; faranno capo, infatti, nel «corpo del testo», anche immigrati, braccianti, il «lampo con il quale un giovanotto/accende gli occhi» oltre alla «mezza voce che/sotto un viadotto/farfuglia un mendicante»; fra le tante cose e persone c’è pure «Qualcuno era ben desto per gl’imbrogli» infatti «Mi toccai per cercare il portafogli/ che, potei constatare, era sparito». Questo è dunque lo «spunto» che fornisce all’autore l’«occasione» per mettersi a riflettere. Dirà, infatti, nel suo «Intimo» e «Cosmico» passaggio per il «Purgatorio»: «Avendo io con fuga cerebrale/intrapreso le strade del pensiero/ per discettare varietà di male». Non seguiremo passo passo le «vicissitudini» dell’«uomo» e del suo «pensiero». Basti solo dire che, nel momento stesso nel quale Ermanno Bencivenga traccia le coordinate della sua «metafisica», propone al lettore una «profonda digressione» intorno al tema: «Che cos’è il male?». Arrivando a stabilire una certa quale «interfaccia» tra la metafisica e l’etica: ovvero: «Tra l’essere e il bene esiste un ponte». Il «bene» appare essere lo stesso: esso è qualcosa di «cosmico»; nelle parole di Bencivenga: «Ho detto che un criterio di realtà/è la connessità della natura/ e che proprio la stessa affinità/in un cosmo il molteplice struttura/ e è criterio del bene». Esistono quindi due «forme» di «connessità» («unione», «convergenza», «armonia», «affinità» o «accordo»): la prima è quella «Cosmica» - cantata dalla Commedia -; la seconda è quella «Intima», vissuta dall’autore in tutto il periodo di tempo (attestato dalle altre sue opere) durante il quale ha maturato il suo «sistema» e perfezionato il suo «pensiero». Inoltre questo identico «bene» è «sacro»: «Io che non sono complice al massacro/e che quel dizionario non consulto/ credo che il mondo intero sia del sacro/ un testimone, e che lo sia ogni ente/senza obbligo di cedere al lavacro». Si tratta, però, di un «sacro» molto difforme da quello della «religione cristiana», tanto cara a Dante Alighieri e tanto «osteggiata» da Ermanno Bencivenga. Quest’ultimo alla fine ci propone un’etica «sobria», «gentile» e «garbata» - stavo quasi per dire «civile». Non mancano infatti, come esempi della philía, i richiami alle figure di Gandhi, Martin Luther King e Nelson Mandela. Un’etica basata su un’«idealismo razionale» per il quale la realtà è tenuta assieme da «connessioni» e «coerenza» che fanno sì che la «rappresentazione» non sia frutto di una «scelta» (come nel caso del realismo) tra «le cose di qua,/ le non-cose, i miraggi di là» ma, piuttosto sia «al contrario netta conseguenza/ d’un provvedere, il quale dentro un telo/raccolga quanto tenda a dissiparsi,/a soccombere mogio allo sfacelo». Insomma gli oggetti dei quali è popolata la realtà contengono, anche, un «increspatura»; c’è una «falla» (una «feritoia», un «pertugio»). Esiste una «statica», un «ordine», poi, eventualmente si crea un «disequilibrio»: e si tratta di ripristinare l’«ordine primigenio». «Il quieto si può aprire al truculento/senza preavviso; ciò che è conosciuto/divenire preda d’un violento vento/ e riconfigurarsi in insoluto/ enigma; insomma è sempre tutto in ballo»: non a caso Ermanno Bencivenga  descrive la «contingenza» come il regno della «frammentareità»; «Il mondo è difettoso/ di sostanza e bontà, non è antitetico/alle medesime» e «No: l’imprevisto è qui consustanziale/ alla natura stessa dell’oggetto,/il quale in sé contiene una fatale/ vocazione ad esprimere un difetto/ ontologico». Dunque mondo, uomo, natura, Universo sono tutti «difettosi»: esiste il «male». Come riparare a questo «male»? Il ragionamento di Bencivenga è semplice: l’essere umano è un «animale razionale», esiste dunque la «ragione»! «Se in cento/movenze che eseguiamo ce n’è una/ che mostra con ragione allineamento» allora si realizza la «compatibilità» tra il cieco «determinismo» della natura e la «libertà»; si tratta di produrre un’«azione» propria di «quel fare» che «per sé stesso è fine». «In quanto sono da ragione indotto/ alla 0speranza in una sua vittoria/posso solo augurarmi che nel fiotto/ il qual trascina la combinatoria/naturale si metta infine in luce/ un pattern razionale». Ma se tale «atto» è «conforme» alla «ragione», esso allontana da sé il «male». Per cui l’antico «ordine» viene, così, restaurato. Gli altri concetti ai quali fa ricorso Ermanno Bencivenga in questo libro sono, oltre al già citato concetto di philía, quello a lui molto caro di «gioco», ma anche quelli di «sublime», di «giustizia non retributiva» (una specie di «giustizia» che sta dalla parte delle «vittime»: «Abolire/la sproporzione e contabilità/ rettificare è compito impellente/appena emerga questa indegnità») e di «perdono». La «philía», fra gli uomini, rettifica il disordine in ordine: o meglio ancora, il disunito tende a unire. Il «gioco» il quale «ruolo t’accorgi che dinamitardo ha»! Infatti, il «gioco» rispetto al «celeste e domestico apparato» agisce da sabotatore! Il «sublime», invece: «A più che naturale regno/ affine mi dichiara, ove s’esprime/l’identità mia d’ente razionale». Infine il «perdono» è espresso con queste parole: «Se spezziamo le catene/ fra il prima e il dopo, ne verrà consunto/lo schema utilitario, e il nostro dono/ pelosa carità non è, ma è ingiunto/ ode determinare l’abbandono/ dell’economia tirchia dei baratti/e il regno istituire del perdono». L’etica «gentile» di questo «idealista razionale» consiste dunque in una forma di «ripristino», di «disinnesco» del «male» dando a chi lo ha subito il giusto «compenso» nella «speranza» che questo possa far «riabilitare» la passata «unione» - restaurata adesso dal principio «razionale» (che «non ha dimora nell’empiria») - e quindi il «gioco» (infatti «lo spirito che unisce» è proprio «il soave,/il ludico e creativo modularsi/ di un corpo») che trova riscontro a livello «empirico» nella philía. Attraverso tutti questi passaggi si ha accesso a un kantiano «regno dei fini» nel quale il ristabilito «equilibrio» prevede una «ricompensa» rispetto al «male» subito e il «perdono» con il quale «il nostro dono» (alle «vittime») si mostra come qualcosa rispetto a cui «un novo tono/d’amicizia inserisce»! Insomma, Ermanno Bencivenga, circumnavigando la Divina commedia, non si rifà a Dio, ad angeli o a demoni e neppure a Tommaso D’acquino (come Dante), o ancora alla salvezza o alla redenzione. Bencivenga, se si può, è molto più «garbato». E’ «razionale» il suo assunto (e quindi umano) ed è «idealista» il suo punto di partenza: da qualche parte, sembra ci stia dicendo, è «possibile» una qualche forma di «umanità» («Quello che suggerisco ai ragionanti/ è come umanità sia un assoluto/ dovere nostro, sia un’ideale compiuto/ da nessuno non mai ben adempiuto»)… Una forma di «umanità» che rende la sua Commedia un invito alla comprensione, all’aiuto reciproco e alla fratellanza.      

 


 

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