Mercoledì, 03 Luglio 2024

                                                                                                                                                                             

 

                                                                                                                                                                                                          

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ANIMALI UMANI: BESTIALITÀ DELL’UOMO, UMANITÀ ANIMALE

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La concreta possibilità di trasformarsi fisicamente (teriantropicamente o antropomorficamente) appartiene alla mitologia, così come pure al folklore e alla narrativa fantastica, o speculativa, se si preferisce questa definizione. Rientra nelle eventualità involontarie, come in innaturali capacità consapevoli. E non mancano esempi, in zoologia, di alcune specie di Cefalopodi (Thaumoctopus mimicus) dotate di quest’abilità di modificare forma e colore del loro corpo, la qualcosa sfocia nel mimetismo fanerico.

Isteria

Molte volte, però, non si tratta di autentiche metamorfosi, ma di illusioni, persino collettive, che colpiscono con forza l’immaginazione degli astanti e della vittima, tanto che tutti ne restano convinti come se stessero sotto un effetto ipnotico, o di straordinaria suggestione magnetica.

Le espressioni usate dalle fonti nordiche per descrivere la condizione di berserksgangr suggerirebbero, infatti, l'idea d’uno stato di trance o d’isteria collettiva, tale da suscitare tentativi d’interpretazione di tipo psicologico. L'etimologia norrena parla d’un rivestimento con pelli di “berr”, bär in germanico, in olandese beer, orso, oppure baar, lupo, come per gli Úlfheðnar, altri leggendari guerrieri stregoni.

Simbolismo

Certo, tale potenzialità è assolutamente inscindibile da quelle strutture più arcaiche di sciamanesimo e totemismo, così come dalla cultura popolare più antica, o dalla più vecchia letteratura dei primissimi poemi epici, come l'Epopea di Gilgamesh o l'Odissea omerica, nei quali potrebbe aver ricoperto il ruolo dell’espediente narrativo finalizzato a un primo sviluppo concettuale del simbolismo, vedi Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1886) di Robert Louis B. Stevenson, Die Verwandlung (1915) di Franz Kafka, od Orlando: A Biography (1928) di Virginia Woolf.

Sopra ogni altra valga la vicenda di Circe, disgustata dal comportamento depravato dei compagni di Ulisse, rinchiusi in un porcile, che palesemente indica come gli istinti più bassi dell’uomo derivano da quel tanto di bestiale che è in lui.

Mutaforma

Il dio greco Proteus, l’etrusco Vertumno, o i norreni Loki, Fafnir, od Odino stesso, farebbero parte di quella dimensione mitologica in cui alle divinità s’attribuisce la virtualità di trasformarsi, e di trasformare i comuni mortali, in animali o piante.

Mentre l'idea popolare d’un “mutaforma” è quella d’un essere umano che si trasforma in qualcos'altro; e, alla stessa stregua delle storie di gnomi, silfi e spiriti elementali, non mancano, per esempio, quelle sulle “spose” o i mariti animali, incorporate nella favolistica, come "The Unseen Bridegroom" (or wedded for a week) di May Agnes Fleming, illustrata da John Dickson Batten, e sviluppate sulla scorta della leggenda relativa alla fondatrice della casata dei Lusignano, la Fata-Sirena Melusina, oppure dei miti di Io o di Callisto, tramutate dalla gelosa Giunone, moglie “legittima” del re dei numi, rispettivamente in giovenca e in orsa.

Ibridismo

Sirene, lamie, centauri e satiri sono tipicamente degli ibridi, ma la mitologia ci parla anche di Eracle che riuscì a rintracciare le mele delle Esperidi solo resistendo ai vari cambiamenti di Nereo, generato dal mare, per domarlo infine, mantenendo ben salda la presa su di lui in tutte le sue forme sfuggenti. Analogamente, sia Menelao che Aristeo, ottennero informazioni da Proteo, il mutaforma per antonomasia, da cui appunto l’etimo dell’aggettivo proteifórme.

Teriomorfismo

La concezione d’una divinità in quanto animale (teriomorfismo, da Θηριον, thēr/ thērós, bestia, e μορφή, morphē, forma), comporterebbe forse, almeno in teoria, il più rigoroso rispetto degli appartenenti a quella specie; così nell'antico Egitto, dove era venerata la dea-gatta Bastet, esisteva il divieto di molestare i felini; altre volte, tuttavia, e sempre in Egitto, il culto dei tori (come Api), e l'esistenza di divinità in forma bovina, non risparmiava affatto tali animali dalla macellazione.

Teriantropia

Altre volte ancora, gli elementi bestiali potevano essere parzialmente esclusi dalla rappresentazione delle divinità, a vantaggio d’una maggiore rappresentazione in forma antropica. Così, sempre nella religione egiziana, la dea Hathor può essere raffigurata da una vacca (teriantropia) o da una donna con la testa di vacca (teriocefalia). L’ellenico dio fluviale Acheloo, che originariamente aveva l'aspetto d’un toro, fu poi rappresentato in foggia umana con le sole corna.

Zoolatria

In ambito greco, s’assiste al fenomeno che oltrepassa la zoolatria egizia, per cui la divinità, ormai dall’aspetto completamente umano, ha solo per simbolo o per manifestazione ovvero suo animale sacro, quello che originariamente la rappresentava per intero: il caso di Atena e della civetta.

Teriocefalia

Un fenomeno contrario compare nell'induismo, in quanto i numi vedici possiedono tratti spiccatamente antropomorfici e, solo in epoca successiva, appaiono con aspetto teriomorfo o teriocefalo, come Ganeśa, il dio elefante, o dalla testa d’elefante. E ciò, presumibilmente, per l'influsso di quel sostrato preario (civiltà dell'Indo), in cui erano diffuse le raffigurazioni di divinità con testa animale.

Proteo

Anche Proteo potrebbe costituire una sorta di trasposizione egizia verso la mitologia greca d’un molto più antico nume cananeo, visto che il luogo dove sorvegliava le foche di Poseidone, l'isola di Faro, dove gli Egizi lo chiamavano Cete e dove Menelao lo catturò nell'Odissea, era una colonia commerciale fenicia. Anzi, più d’un autore lo considera un re d'Egitto, che prese in moglie Torone in Tracia; ma dopo l’eliminazione da parte di Eracle dei suoi due figli violenti, chiese al padre Poseidone di riportarlo in patria, attraverso la voragine generatasi a Pallene. E, solo in seguito, venne associato anche all'isola greca di Lemno.

Proteo e Menelao

Omero racconta di «Proteo d'Egitto, l'immortale vecchio del mare che non mente mai, che suona il profondo in tutte le sue profondità ed è servo di Poseidone» [Odissea libro IV, 430 ff]. Essendo solito uscire dalle onde a mezzogiorno per sdraiarsi a sonnecchiare all'ombra delle rocce, chi avesse desiderato conoscere il proprio destino doveva avvicinarglisi, giusto a quell'ora panica, per coglierlo di sorpresa, ricorrendo alla forza per trattenerlo in una delle tante sembianze in cui era in grado di trasformarsi. E, difatti, di ritorno dalla guerra di Troia, Menelao lo vide tramutarsi in leone, serpente, leopardo, maiale, persino in semplici gocce d’acqua e poi ancora in un albero, prima di farsi predire il futuro, finalmente in foggia umana.

Il termine greco protos  (πρῶτος), rende bene il senso di queste potenzialità primordiali, appunto quale protogonos  (πρωτόγονος).

Animali mannari

La letteratura classica include molti esempi di “Metamorfosi”, a partire dalle classiche ovidiane, o dalla trasformazione di Lucio in somaro, ne L'asino d'oro di Apuleio.  

Nel Folklore, invece, le creature “mutaforma” che ricorrono più spesso, oltre ai vampiri, sono indubbiamente i cosiddetti “mannari”; in Europa, prevalentemente i lupi, mentre in India i cobra (ichchadhari naag e ichchadhari naagin) e nell'Asia estremo-orientale le volpi, come l'huli jing cinese od obake nipponica. Lo spirito kitsune possiederebbe l'attitudine d’assumere l'aspetto di belle donne.

Tanuki

Basate sul tasso o sul cane procione, o nittereute (Nyctereutes procyonoides), sono le figure mujina e tanuki. L'immagine divertente del tanuki selvatico, dai testicoli insolitamente enormi, si sarebbe sviluppata durante l'epoca Kamakura; mentre, nella successiva epoca Muromachi, molte storie di tanuki divennero piuttosto sinistre.

Oltre ai tanuki, il Roo-chawa (1742) descrive volpi mannare dalle grandi orecchie, occhi rotondi, zigomi aguzzi, bocche larghe, prive della zampa destra, e altre dalla pelle maculata, rotondo il viso, aguzzo il naso, ma orbe d’un occhio.

Tricksters

Nella cultura Navajo, quello che viene chiamato in inglese skin-walker (“camminatore di pelle”, o yee naaldlooshii, "per mezzo di esso, va a quattro zampe") sarebbe un tipo di 'ánti'įhnii che può associare animali “tricksters”, amorali, come il coyote, oppure altre creature, solitamente annunciatrici di cattivi presagi o connesse alla morte, o alla stregoneria.

Loup garou

Il francese “garou”, di “Loup garou”, sarebbe una forma ellittica di “gardez vous”, in guardia, almeno secondo Gaston Phoebus, III comte de Foix et souverain de Béarn; oppure una sostantivizzazione del verbo “garer”, «se protéger». Per altri garoul sarebbe variante di garulf, garwaf, garval, garvalf, preso a prestito dall’antico basso franco wariwulf, da cui l’olandese weerwolf.

Etimologie

È possibile che l’inglese “wer” di wereanimal (werebeast, werewolf, o werebear) derivi dal latino “vir”, come anche da “versus”, participio passato di vertĕre «volgere, mutare», da cui “versipelle”. “Versiera”, per lo più usato al femminile, al posto di strega o diavolessa, proviene da “adversarius”, così come mannaro è la contrazione di hominarius.

A parte la licantropia clinica di pertinenza psichiatrica, il corpus mitologico che scaturisce dall’ambivalente simbologia dei canidi (guide sul terreno di caccia, rivali nel predare le greggi) avrà una punta di massima crescita in occasione dei processi intentati dall'Inquisizione contro le streghe.

Autrice/ autore muta forma

Particolarmente notevoli, da questo punto di vista, sono allora le coincidenze messe in risalto da Miss Frank (a suo modo mutaforma anch’ella, genere femminile, nome maschile, - una trasformazione che ricorda quella di Kainís, figlia di Elato, violentata da Poseidone e da lui trasformata in un uomo invulnerabile, Kaineús), cognome/ surname Hamel, fra il comportamento degli animali «mannari» e quello di streghe e stregoni, della cui compresenza esiste lunga documentazione sin dall’alba delle società umane. Grazie alla sovrabbondanza, ben organizzata, del materiale raccolto presso le tradizioni folkloristiche d’ogni latitudine, in “Animali umani” (Mediterranee, Roma 2024) non si focalizza solo l’interconnessione fra i diversi miti dell’umanità, ma anche in rapporto a un più sottile aspetto occultistico e magico.

Magia della trasformazione

Questo lavoro di Miss Hamel s’inserisce sulla scia tracciata dai vari Jean Bodin (La Démonomanie des Sorciers, 1580), Reginald Scot (The Discoverie of Witchcraft, 1584), Henry Boguet (Discours exécrable des Sorciers, 1602), Joseph Glanvill (Sadducismus Triumphatus, 1681), Charles Lamb (Witches and Other Night Fears, 1821), ecc., tuttavia la sua importanza consiste pure nell’aver forse dato l’avvio agli studi di quella personalità eccentrica che fu, nell’Inghilterra della prima parte del secolo scorso, Augustus Montague Summers, divenuto molto noto dopo la pubblicazione della sua History of Witchcraft and Demonology (1926), seguita da ancora altri studi sulla stregoneria (The Geography of Witchcraft, 1927; A Popular History of Witchcraft, 1937; Witchcraft and Black Magic, 1946), sui vampiri (The Vampire, His Kith and Kin: A Critical Edition, 1928; The Vampire in Europe: A Critical Edition, 1929), sui lupi mannari (The Werewolf, 1933), e sul paranormale in generale (The Physical Phenomena of Mysticism, 1947).

History of Witchcraft and Demonology

Summers aveva cominciato, fin dal 1916, a pubblicare regolarmente articoli sui periodici popolari dell'occulto, tra cui The Occult Review e il giornale spiritista Light, ma, nel 1926, quel suo lavoro su La storia della stregoneria e della demonologia apparve come parte della serie sulla "Storia della civiltà", curata dal famoso linguista, e fondatore della Heretics Society, Charles Kay Ogden, e pubblicata dal prestigioso editore Kegan Paul. Ed è forse per questo che è stato poi considerato "per la cultura pop del ventesimo secolo probabilmente il più importante divulgatore dell'occultismo".

Malleus Maleficarum

Nel 1929, tradusse in inglese moderno il classico manuale dei cacciatori di streghe del Quattrocento, il Malleus Maleficarum di Heinrich Kramer e Jacob Sprenger.

Nella sua introduzione, insistette sul fatto che la realtà della magia nera è una parte essenziale della dottrina cattolica, definendo il testo dei due frati domenicani un ammirevole resoconto, corretto, della stregoneria e dei metodi necessari per combatterla.

Di fatto, però, le stesse autorità ecclesiastiche di allora l’avevano condannato sia per motivi etici che giuridici [Jolly K. L., Raudvere C., & Peters E. (eds.): "Witchcraft and magic in Europe: the Middle Ages", Athlone, London 2001]. Ed  anche altri studiosi contemporanei di Summers furono molto critici nei suoi riguardi e nei confronti del trattato originariamente pubblicato in latino nel 1487.

The Confessions & Demoniality

Nel 1933, le copie delle traduzioni di Summers di “The confessions of Madeleine Bavent” e di “Demoniality: Or, Incubi And Succubi” di Ludovico Maria Sinistrari furono sequestrate per via dei loro espliciti resoconti di rapporti sessuali tra esseri umani e demoni. Al processo che ne seguì, per oscenità, testimoniò in difesa del valore accademico delle opere in questione uno dei massimi esponenti dell'antropologia sociale, Edward Evan Evans-Pritchard. Ciononostante, l'editore, Reginald Caton, venne condannato comunque e le copie invendute furono distrutte.

L’ombra di Stoker

L’introduzione al libro della Hamel, Human Animals (1915) firmata nel 1968 dall’etnomusicologo irlandese Leslie Allan Shepard, ammiratore e studioso di Bram Stoker, - che della società letteraria a questi dedicata fu pure animatore, bibliografo, collezionista e archivista - giustificherebbe la particolare attenzione prestata alla fenomenologia del vampirismo.

Ármin Vámbéry

Del resto, lo stesso Stoker, solo grazie all’amicizia con lo storico, linguista, e orientalista ungherese Hermann Bamberger/ Ármin Vámbéry sarebbe venuto a conoscenza della leggenda del principe rumeno Vlad Țepeș Dracul, almeno apparentemente, non affetto da palese sindrome di Reinfeld (ematolagnia), verso la quale invece sembrerebbe propendere, per via di quel titolo a essa allusivo (The Feast of Blood), Varney the Vampire (1845) di James Malcolm Rymer.

V for Vampire

In “V is for Vampire” (Plume, New York 1996), David J. Skal riconosce a quest’opera, omogenea ma fin troppo prolissa, il merito d’aver introdotto svariati topoi (τόποι) narrativi ancora presenti nell’attuale letteratura sui vampiri. Sebbene l’iniziale spiegazione delle azioni di Varney rientri nel tradizionale motivo della sete di sangue, sembra quasi, però, che a spingerlo contro la famiglia Bannerworth siano anche interessi economici: la metafora della sanguisuga!

Sheridan Le Fanu

Il tema della Carmilla (1872) di Sheridan Le Fanu è quello della morte prematura, in situazioni drammatiche, di persone giovani che restano attaccate al mondo terreno e riprendono vita, appunto, in veste di vampiri.

Polidori

Mentre, nel racconto The Vampyre (1819), John Polidori riversò lo sdegno per Byron, ritratto quale aristocratico, mascalzone, freddo, ed elegante sino all’inutile raffinatezza, Ruthven, - un nome già usato da lady Caroline Lamb, scrittrice occasionale ma anch’ella risentita con il poeta britannico. In modo, a dir poco, innocente Polidori rifletteva invece sé stesso in un giovane inglese di nome Aubrey, divenuto sventurato compagno di viaggio d’un personaggio avvertito tanto malvagio.

Revenant o zombi?

Il non-morto ((in inglese undead, in francese revenant), simile allo zombi haitiano, non era ignoto neanche ai coloni elleni della Sicilia sud-occidentale. Si credeva, infatti, pure allora, che alcuni cadaveri potessero rianimarsi, cosicché per trattenerli nelle loro tombe, dovessero essere ancora una volta uccisi ritualmente, oppure intrappolati all'interno di giare apposite (Enchytrismos, Eγχυτρισμός), ovvero bloccati nei sepolcri con grandi massi, come sembra sia stato fatto nella necropoli di Kamarina.

Strigoi o vrikòlakas

Il termine noto a noi oggi di "vampiro" divenne popolare solo agli inizi del XVIII secolo, in seguito all'influenza delle superstizioni presenti nell'Europa dell'est e nei Balcani, dove erano molto diffuse le leggende sugli strigoi rumeni e sui vrikòlakas (βρυκόλακας) greci.

Ubyr o dhampir

Il nome slavo вампир/vampir (in russo antico, Upir', Упирь) deriverebbe dal turco ubyr, che significa "strega"; mentre la traduzione dell’albanese ghego “dhampir” sarebbe "che beve (pir) per mezzo del dente (dham)".

Nella maggior parte dei casi, si tratta di redivive creature scellerate, suicide o vittime di streghe, o streghe esse stesse, così come pure di cadaveri posseduti da spiriti spietati e crudeli, o anche umani, a loro volta trasformati, magari dopo essere stati morsi da altri vampiri.

In Search of Dracula

Raymond T. McNally e Radu Florescu (In Search of Dracula, Houghton Mifflin, Boston 1994) riferiscono che da diversi secoli racconti di esseri soprannaturali che si nutrono di sangue, o di carne fresca, fanno parte di quasi tutte le culture del mondo. Quando ancora però, nei tempi antichi, esisteva una differente terminologia, la sete di sangue e attività consimili, tipo cannibalismo, venivano attribuite genericamente agli spiriti maligni o ai demoni, oppure a defunti di ritorno, e solo in alcuni casi a divinità.

Ghoul

In certi racconti sui Baital dell’India, raccolti nel libro Baital Pachisi, per esempio, possono entrare in possesso dei corpi viventi degli esseri simili a ghoul. Entità a metà tra l’umano e il demoniaco, tipo jinn, che spesso muta forma, la ghūl è esclusivamente di sesso femminile, abitante dei deserti e dedita decisamente all'aggressione di incauti viaggiatori.

Una delle possibili fonti d’ispirazione per la ghūl potrebbe essere derivata dal contatto con le civiltà mesopotamiche da parte dei beduini arabi e dall'essere stati questi influenzati dai sette tradizionali demoni Gallu, al servizio di Inanna, di cui rapirono l’amante, la divinità accadica Damuzi, per portarla nel reame dei morti a sostituirne la sovrana.

Vikram

Un racconto del libro Kathāsaritsāgara narra di Re Vikramāditya che intraprende una ricerca per trovare uno spirito particolarmente elusivo [Sir Richard R. Burton, Vikram and The Vampire: Classic Hindu Tales of Adventure, Magic, and Romance, Tylston and Edwards, London, 1870].

Pishacha

Alcune caratteristiche vengono rispecchiate anche negli spiriti inquieti di malfattori o di coloro che morirono pazzi, come pure in Pishacha, originariamente, forse, la personificazione dei fuochi fatui e così denominato per il suo colore giallo-rossastro (in sanscrito: piśaṇga), oltre che per la sua smodata passione per la carne sanguinolenta (piśāka). Pure di sangue si sarebbe sempre nutrita l'antica dea indiana Kālī, rappresentata mentre calpesta cadaveri, con una ghirlanda di teschi, e invidiabili zanne da vampiro.

Lilitu Lilith

Una delle prime civiltà a tramandare racconti di demoni bevitori di sangue fu quella persiana. Su dei cocci di porcellana erano state raffigurate creature nell’intento di succhiare il sangue degli uomini. Ma a tramandarci il mito della predilezione per i neonati da parte di Lilitu, che nella demologia ebraica diede vita a Lilith e a sua figlia Lilu, è stata la tradizione assiro-babilonese.

Strigi, lamie ed empuse

La mitologia greco-latina descrive strigi, lamie ed empuse, divenute, col passare del tempo, termini generali per indicare rispettivamente streghe, demoni e mostri. Empusa era figlia della dea Ecate e veniva descritta coi piedi di bronzo, in grado di trasformarsi in una giovane donna capace di sedurre gli uomini per berne il fluido vitale. Sempre di notte, Lamia banchettava nelle culle dei bambini, e Strige si cibava sia di questi ultimi, come anche di giovanetti, senza particolari distinzioni anagrafiche.

Strix striga

Il loro corpo era in generale aviforme, spesso di corvo, ma successivamente, nella mitologia romana, vennero immaginate nell’aspetto tipico dell’uccello notturno per eccellenza a cui venne poi attribuito il nome strix (στρίξ, da τρίζω, stridere), il gufo. Dal termine greco deriva la famiglia Strigidae, come anche la definizione scientifica dell'allocco (Strix).

Il latino "striga", sempre proveniente dal greco, conserva il tema dello "stridere"(τρίζω) e ha dato origine all’italiano "strega", come all'albanese shtriga. Con "istriga", in sardo, s’indica o un barbagianni o una civetta, il cui canto è considerato di cattivo presagio.

Metamorfosi di Antonino Liberale

La descrizione che leggiamo nelle Metamorfosi di Antonino Liberale, dove si narra la storia di Polifonte e dei suoi due figli Agrios e Oreios, puniti, come Licaone, per atti di cannibalismo, sembra più vicina a quella del pipistrello, "che grida nella notte, senza cibo o bevanda, con la testa in giù e le estremità inferiori in alto, portatore agli uomini di guerre e conflitti civili".

Fasti

Nei Fasti (VI, 101 sgg.), Ovidio descrive le strigi come esseri con "grande capo, occhi sporgenti, becchi adatti alla caccia ai ratti, penne grigie, artigli uncinati", che "volano di notte, attaccano i bambini privi di badanti e distruggono i corpi rapiti dalle loro culle. [...] Lacerano le viscere dei lattanti con i loro becchi ed hanno la gola piena del sangue bevuto".

Satyricon

Nel Satyricon (LXIII e CXXXIV) di Petronio, quale modo di dire (Che razza di strigi si son divorate i tuoi nervi?) verrebbe usata una probabile locuzione tipica: Quae striges comederunt nervos tuos? E, mentre le strigae si distinguono per l’uccisione con il semplice contatto della loro vittima, sostituendone il cadavere esangue con un manichino (manuciolum), le donne che effettuano le metamorfosi s’identificano genericamente come "mulieres  plussciae", donne che sanno di più.

Altre lingue

È successivamente, nelle lingue romanze del medioevo, che questo appellativo stryge s’è andato evolvendo quale peggiorativo sinonimo di "strega".

Il termine spagnolo bruja deriverebbe dal proto-celtico brixtā (magia), riflesso nell’antico irlandese bricht (fascino), che potrebbe essere ricollegato a Brigit (esaltata).

Witch, dall’antico inglese wiċċe sarebbe solo femminile, laddove il maschile, warlock, avrebbe un etimo differente, da wærloga, bugiardo, traditore.

L'ortografia moderna con la "t" mediale in wi-t-ch compare per la prima volta nel XVI secolo. Tuttavia, le origini della parola, radicate nel verbo inglese antico wiccian, che ha un affine nel medio basso tedesco wicken, sono inequivocabilmente germaniche.

Wicca

Il Deutsches Wörterbuch dei fratelli Grimm collega la parola "ingvaeonica" (nell'antichità classica, l’area comprendente Jutland, Holstein e Bassa Sassonia) wikkōn con il gotico weihs 'sacro', dal proto-indoeuropeo weik- 'separare, dividere', probabilmente attraverso le prime pratiche germaniche di cleromanzia, come quelle riportate da Tacito (sortilegio, dal latino sortem  e lego), per cui chi trae le «sortes», di conseguenza era chiamato «sortilegus», o sortiarius, da dove il francese sorcière/ sorcier.

La prof.ssa Rosemarie Lühr rimanda wikkōn al proto-germanico wigōn, ‘geminato’, e suggerisce il tedesco medio basso wichelen 'stregare', e wicker 'indovino', per wīglian 'praticare la divinazione' e wigol 'profetico, mantico'. La qualcosa spiegherebbe la forma base al femminile: wicce < *wikkæ < *wikkōn, con palatalizzazione dovuta alla “i” precedente e alla successiva *æ < *ōn dell'antico ingvaeonico. In wicca, quindi, il palatale -cc- /t͡ʃ/ equivarrebbe al genere femminile.

Il potere metamorfico

Il potere della metamorfosi permetteva alle streghe di commettere i loro misfatti senza essere riconosciute. Spesso, si riunivano sotto forma di lepri, perché la velocità offerta da questa configurazione permetteva di sfuggire agli inseguitori. Le lunghe orecchie erano di grande aiuto per spiare, od origliare, senza destare sospetti.

Il piede della lepre è considerato un portafortuna, appunto a riprova che a una strega è stato mutilato un arto, con conseguente privazione delle sue prerogative malefiche. Anche la civetta è stata associata alla stregoneria in quanto animale notturno, con grandi occhi per spiare e uno stridio (τρίζω, da cui Strigidae) talmente lugubre da apparire di cattivo augurio.

Filtri e pozioni

Ma, alle streghe, gli animali servono anche da immancabili ingredienti per pozioni e filtri: «Double, double toil and trouble;/ Fire burn and caldron bubble./ Fillet of a fenny snake,/ In the caldron boil and bake;/ Eye of newt and toe of frog,/ Wool of bat and tongue of dog,/ Adder's fork and blind-worm's sting,/ Lizard's leg and howlet's wing,/ For a charm of powerful trouble,/ Like a hell-broth boil and bubble. […] Double, double toil and trouble;/ Fire burn and caldron bubble./ Cool it with a baboon's blood,/ Then the charm is firm and good.» (A due a due, fatica e guai;/ Fuoco brucia e calderone bolle./ Filetto d’un serpente di palude,/ Nel calderone fai bollire e cuoci;/ Occhio di salamandra e punta di rana,/ Pelo di pipistrello e lingua di cane,/ Lingua biforcuta della vipera e pungiglione di rettile cieco,/ Zampa di lucertola e ala di gufo,/ Per un fascino dal male potente,/ Come una zuppa infernale lascia bollire e schiumare […] A due a due, fatica e guai/ Fuoco brucia e calderone bolle./ Raffreddalo col sangue d’un babbuino,/ Allora il fascino è saldo e buono. - W. Shakespeare, Macbeth, IV, 1: 10-19; 35-38).

Famigli e famuli

Essendo sempre sole e senza famiglia, le streghe, vivono circondate dai loro animali preferiti, che al contempo sono i loro aiutanti magici, nonché compagni di vita. Motivo per cui occorre distinguere la strega in forma animale dal suo “doppio”, o anima esterna, inviata sotto sembianze bestiali dalla strega che continua a mantenere aspetto umano. Il famulo o il folletto, animale autentico o spiritello in forma bestiale, sta sempre a disposizione per eseguire i comandi della padrona, proprio come qualcuno di famiglia.

Gatto nero, lepre, civetta, corvo, ragno, topo, rospo avrebbero in comune con le loro signore il fatto d’essere temuti. Una strega che si recava al sabba, secondo Paul Sébillot, si sarebbe potuta riconoscere per «un piccolo rospo sul bianco dell'occhio contro la pupilla o nella piega dell'orecchio» (Le Folklore de France, 1906). Del resto, nell'appena citato passo di Shakespeare, prima che Macbeth venga a conoscenza del suo destino, le tre streghe si riuniscono attorno al loro calderone e una di loro aggiunge al suo orribile contenuto, appena preparato, proprio un rospo.

Il volo magico

Gli uccelli sono prediletti dalle streghe che ne imitano il volo, in specie nelle notti di plenilunio; pertanto vanno di pari passo con la luna; un’idea risalente ai tempi del culto di Diana, quando le seguaci della dea romana credevano di potersi librare in cielo in sua presenza e in suo onore.

A tale scopo veniva utilizzato un unguento a base di droghe d’una piuttosto rischiosa farmacopea erboristica (Andrea Kaufmann: La chevauchée des sorcières. Histoire d'un merveilleux moyen de transport, Editions Véga, Epinal 2002). Le piante più spesso citate costituiscono una sorta di pericolosa miscela di quattro solanacee (giusquiamo, belladonna, mandragora, datura), associate all'aconito e alla cicuta, tutte ricche di alcaloidi fortemente tossici. In questo miscuglio rientrano però anche altri vegetali comuni, come il semprevivo, e le felci che, forse, servirebbero da controveleni per stemperare o mitigare la mortale tossicità degli alcaloidi.

L’unguento poteva essere applicato mediante sfregamento sulle parti più sottili della cute (tempie, ascelle, caviglie, interno dei polsi), come sulle mucose dove l'assorbimento è ovviamente molto più rapido e massiccio, anche se con un rischio maggiore d’avvelenamento (Robert Colle: Sorciers, sourciers et guérisseurs en Aunis et Saintonge, Rupella, La Rochelle 1979).

Un’estasi erotica

Dopo esserselo spalmato, entravano in trance e avevano l'impressione di venire trasportate immediatamente al sabba; da qui la leggenda d’un magico impiastro, equivalente a una droga psichedelica. Con questo preparato poteva essere rivestito pure il manico della tradizionale scopa, da “chevaucher” alla bisogna, la cui estremità si poteva strofinare sulla vulva, oppure inserire, anche a scopo voluttuario, nella mucosa sensibile della vagina, sia al fine d’un massiccio assorbimento degli alcaloidi sia per favorire l’orgasmo (Jean-Marie Pelt: Les langages secrets de la nature, Fayard, Paris 2014; Maryse Simon: Les affaires de sorcellerie dans le Val de Lièpvre, xvie et xviie siècles, Société savante d'Alsace, Strasbourg 2006). Probabilmente, fu un tale particolare a suscitare quello scandalo che costò il processo per oscenità a “The confessions of Madeleine Bavent, now first translated from the French of 1652” .

La natura della strega

Per molte caratteristiche la natura della strega o del mago è assai simile a quella dell'animale mannaro, e qualsiasi ferita venga inflitta a quest’ultimo si ripercuoterà inevitabilmente sul corpo umano che ha subito la trasformazione.

A stabilire un parallelismo tra streghe e animali mannari ha provato James G. Frazer, in "Balder the Beautiful" (The Macmillan Company, New York 1935), in un’analogia  che sembra confermare l'opinione secondo cui la ragione degli inquisitori per bruciare vivo un animale stregato sia stata la convinzione che in quell'animale si celasse l'uomo, che il fuoco avrebbe costretto ad assumere un'altra forma.

Secondo questa convinzione, che sembra prendere origine dal cosiddetto postulato fondamentale di Lavoisier, nell'universo, la somma dell'energia va ritenuta costante e invariabile; e la continua catena di mutazione vedrebbe insieme collegate all'infinito ogni forma che immancabilmente ne segue un’altra.

«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»

Una teoria questa in grado di spiegare i fenomeni della vita, e oltre, come la dottrina dell'immortalità, non più applicata, al solito, soltanto all'anima dell'uomo, ed estesa ragionevolmente anche agli animali. Un convincimento meno diffuso di quello sulla persistenza post mortem, questo delle anime umane e animali che possiedono potere ed entità persino qualora siano separate ed esteriorizzate dal corpo.

Nello sciamanesimo potrebbe essere sufficiente indossare una pelle, o un costume, per impersonare qualcun’altro, ma spesso il travestimento implica una trasformazione assai più profonda. Si tratta d’un tema che ha una forte attinenza con la metamorfosi, nonché con l'affinità che alcuni animali possiedono per alcune particolari famiglie, nient’affatto dissimile dal totemismo. E, al di là dei parallelismi tra umano e animale, maschio o femmina, apparenza ed essenza, il problema più vasto che viene a porsi è quello dei limiti dell’individualità e dell’eventuale superamento della linea di confine che separa un’esistenza da un’altra.

La condivisione dell’identità e della coscienza rientra in una questione metafisica. E l’ipotesi, d’un’origine della credenza nelle trasformazioni dalla teoria che tutta la creazione abbia in comune un’unica sostanza, riporta all’antica dottrina della metempsicosi e delle trasmigrazioni delle anime.

Giuseppe M. S. Ierace

Frank Hamel: “Animali umani. Storia occulta di mutaforma, trasformazioni e licantropi”, Mediterranee, Roma 2024

 

 


 

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29 Giugno 2024

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